COVID 19 - la svolta del sistema mondiale - riflessioni sulla disparita' dei trattamenti - provvedimenti inadeguati.

n'area pregna di argomenti non agevoli da affrontare, poiché sulla base della cosiddetta pandemia, esistono valutazioni geopolitiche e di carattere finanziario, che vanno oltre ogni semplice valutazione scientifica. Ancora oggi si discute se il virus sia di natura animale o artificiale, se creato in laboratorio o meno, quando ai più attenti credo non siano sfuggite le conclusioni di alcuni luminari, fra cui il premio Nobel “Luc Montagnier”, i quali affermano, contrariamente a quanto annunciato dall'OMS e da alcuni governi, che il virus è stato creato in laboratorio. Credo sia opportuno tralasciare gli approfondimenti del caso, sia di questo, che di altri argomenti affini, indubitabilmente troppo ampollosi e non di facile argomentazione. Si è comunque giunti alla seguente conclusione:” Mentre si attende di raggiungere l'immunità di massa, si è comunque giunti al condizionamento di massa”, con la maggior parte dei cittadini inebriati e sudditanti al potere politico-finanziario.
Alleghiamo l'intervento di un cittadino Italiano, titolare di un centro sportivo, che riflette ed argomenta sulla legittimità di alcuni provvedimenti abnormi adottati dai ns governanti.
26/03/2021
G.L.
Con la presente si propone d’intentare una causa collettiva del comparto sportivo a carico dello Stato Italiano per il risarcimento dei danni cagionati a tutte le strutture sportive per quelle che sono stati i costi fissi delle strutture e risarciti in maniera inadeguata se non inesistente a causa delle chiusure indiscriminate attuate senza criterio ed in assenza di studi scientifici a riguardo, che possano dimostrare in maniera chiara ed inequivocabile che vi sia una relazione tra aumento significativo di contagi negli ambienti sportivi al chiuso e nelle palestre in genere.
Al contrario vi sono tre studi che asseriscono esattamente l’opposto.
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Lo studio, condotto da UKActive nel Regno Unito e pubblicato sulla rivista Health Club Management, sostiene che il rischio di contagio è quasi azzerato mentre si pratica attività fisica nelle palestre ed i centri sportivi dove appunto vi è un rispetto delle norme e dei protocolli seguiti, il contagio è pressoché inesistente 0,02 % ovverossia (2 su 10.000 presenze).
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Roma, 30 ott. (Adnkronos Salute)
Quali sono i luoghi in cui il rischio di contrarre Covid-19 è più alto? "Non lo sappiamo, non esistono mezzi scientifici per conoscerli, ma possiamo sapere quali siano i luoghi dove ci si contagia meno o affatto: palestre, bar, ristoranti, cinema e teatri". E' quanto emerge da uno studio condotto dal centro Altamedica di Roma, e sottoposto al 'Journal of Medical Virology'.
"Si tratta - spiega il direttore scientifico di Altamedica, Claudio Giorlandino - del primo studio scientifico di esclusione della sede di contagio. Infatti, benché non sia possibile stabilire dove ci si contagi giacché i comportamenti, movimenti e contatti della popolazione siano estremamente vari ed i contagiati possano essere stati infettati in un numero indefinito di luoghi od occasioni anche contingenti od occasionali, è invece estremamente semplice verificare le sedi di frequentazione ed escludere quelle dove la popolazione dei positivi non si sia recata nei 10/15 giorni precedenti il riscontro del virus nel loro tratto respiratorio superiore".
Studio su 226 soggetti asintomatici: non li avevano mai frequentati nei 15 giorni prima di diventare positivi "Si tratta di valutare i luoghi definiti "sensibili" o "a rischio di trasmissione" e verificare, de facto, se i contagiati li avessero visitati, e con quale frequenza, nei 15 giorni precedenti il tampone positivo". I soggetti studiati "sono tutti asintomatici - ha precisato il direttore scientifico di Altamedica - E per i soggetti asintomatici o paucisintomatici la letteratura scientifica ritiene che il virus nel tampone rinofaringeo duri al massimo 15 giorni. Quindi basta tornare indietro di 15 giorni e verificare se, in quel lasso di tempo, si sono frequentati certi ambienti o meno per ipotizzare che questo possa essere un luogo di contagio o escluderlo". Dallo studio osservazionale retrospettivo, è emersa una realtà assolutamente inaspettata: ristoranti, palestre, teatri e cinema, ritenuti responsabili aprioristicamente della sede di contagio, non sono stati frequentati, o lo sono stati in minima parte, dai soggetti positivi.
Le sedi di esclusione sono state studiate retrospettivamente nello studio, interrogando 226 soggetti risultati positivi al test, su 5.100 casi analizzati. A questi è stato chiesto se nei 15 giorni precedenti al test avessero frequentato i suddetti ambienti: palestre, ristoranti, cinema o teatri.
"In quasi la totalità dei casi - afferma Giorlandino - queste sedi non sono state mai visitate dai soggetti positivi. E' di tutta evidenza, quindi, che il virus non si sia contratto lì. Benché non si possa dire se vi sia una responsabilità del mezzo, va comunque segnalato che, in via collaterale, più del 50% dei soggetti intervistati riferiva invece di aver frequentato mezzi pubblici. Ovviamente, questo non afferma ma neanche esclude che sia stata quella la sede di contagio". Dei soggetti intervistati il 93% ha dichiarato di non avere frequentato mai ristoranti nel periodo di riferimento, il 92% di non avere frequentato bar, il 94% di non avere frequentato cinema o teatri. "Se tali prime osservazioni venissero confermate da altri studi e ricerche non vi sarebbe alcuna ragione di limitare tali attività", conclude Giorlandino.
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Uno dei grandi temi dello sport durante questa pandemia è stato stabilire le potenziali dinamiche di trasmissione del coronavirus tra gli atleti durante l’attività sportiva. Quando, la scorsa primavera si discutevano i primi protocolli per permettere alle società di tornare a competere e si cominciava a parlare di sport di squadra e/o di contatto, c’era sempre un grande punto interrogativo: come limitare un’eventuale trasmissione attraverso gli strumenti dell’attività sportiva, a cominciare da palline e palloni? Sono argomenti quanto mai attuali anche a mesi di distanza, con la discussione che è tornata attiva sulla riapertura di impianti da sci e soprattutto palestre e piscine. Nel frattempo abbiamo imparato a conoscere meglio il coronavirus e i ricercatori non hanno mai smesso di studiarlo e indagare i principali veicoli di contagio. Gli scienziati della Liverpool School of Tropical Medicine sono giunti alla conclusione che il rischio di trasmissione del virus attraverso gli strumenti condivisi dello sport è "più basso di quanto si pensasse una volta", tanto da portare i ricercatori a dire che “sembra improbabile” che palloni e accessori sportivi possano essere una principale causa di trasmissione del virus.
LA RICERCA--
Lo studio è stato condotto su diverse discipline sportive e due quantità differenti di coronavirus (basse o alte) sono state applicate su un guanto e sulle palle da cricket, palloni da calcio e rugby, palline da golf e tennis, un attrezzo da palestra, la sella di un cavallo e su un pezzo di acciaio inossidabile come materiale di controllo. I test venivano ripetuti dopo 1, 5, 15, 30 e 90 minuti per valutare se fosse stato possibile trasferire il virus a intervalli di tempo compatibili con gli sport in questione. La ricerca ha mostrato che dei dieci oggetti su cui erano state applicate basse quantità di virus, su sette il virus era ancora presente dopo un minuto, su una dopo 5 minuti (la sella) e su nessuna dopo 15 minuti. Quando, invece, la quantità di virus applicata era alta, era ancora riscontrabile su nove superfici a distanza di uno e 5 minuti (ad eccezione del guanto da cricket), su sei dopo 30 minuti e su due dopo 90 minuti (la palla da rugby e la sella). Lo studio (che però, per essere ritenuto valido deve essere riprodotto in situazioni diverse, a parità di condizioni), in conclusione mostra che “la persistenza del virus valutata su tutti i materiali è scesa allo 0,74% in un minuto, allo 0,39% dopo 15 minuti e allo 0,003% dopo 90 minuti”.
PRIMA LE PERSONE--
La ricerca ha evidenziato come il virus tenda a essere meno “trasferibile” quando applicato su superfici assorbenti (come la palla da tennis o il guanto da cricket), in relazione a superfici non porose come le selle o i palloni da rugby. E anche che c’è un “rapido decadimento” delle particelle virali sui diversi materiali rendendo “molto difficile” la trasmissione del virus “vivo” a partire da questi ultimi. Questo, secondo gli scienziati, spiega che il “contatto stretto” tra gli atleti è un veicolo di diffusione del virus molto più importante che l’utilizzo di strumenti condivisi. Tanto che James Calder dell’Imperial College and Fortius Clinic ha detto alla Bbc che i risultati di questi studi “evidenziano l’importanza di promuovere ulteriori misure di prevenzione di contagio negli sport sollecitando i produttori di attrezzature sportive a identificare le superfici che potrebbero avere meno probabilità di trattenere virus”.
“Dobbiamo fare tutto il necessario affinché rimangano aperti tutti i luoghi dove le persone si allenano e possono essere attive, perché è una parte essenziale della vita” Doctor Robert Sallis La salute è l’obiettivo principale di tutta la filiera del fitness e del wellness.
Basti pensare che appena dichiarata la pandemia, si sono tutti mobilitati per fornire delle modalità alternative per aiutare le persone a rimanere attive nonostante la chiusura dei club. Successivamente al lockdown, l’attenzione degli operatori si è spostata sulle rigorose misure da adottare per ridurre al minimo i rischi e poter riaprire in totale sicurezza. Eppure, nonostante questi numerosi sforzi, i media (e spesso anche i funzionari pubblici) hanno erroneamente dipinto il settore sportivo come non sicuro.
IHRSA, da sempre al fianco degli operatori in difesa di una corretta pratica sportiva all’interno dei club, ha voluto approfondire il discorso ed ha incontrato medici ed esperti per smontare le false affermazioni e impedire la circolazione di notizie diffamatorie.
Questo articolo è il primo di una serie in cui condivideremo le opinioni di medici, scienziati e professionisti della sanità pubblica su tematiche che riguardano: come allenarsi in sicurezza nei club durante una pandemia, come i club contribuiscono significativamente a mantenere le persone in salute,i benefici dell’esercizio fisico per la salute.
Abbiamo intervistato il Doctor Robert Sallis, per avere il suo parere in merito. L’attività fisica è fondamentale per la prevenzione, la gestione e il trattamento di malattie croniche, oltre a favorire uno stato di salute generale anche in età adulta e la longevità. Circa il 20% degli americani fa esercizio fisico in uno dei 40.000 fitness club del Paese.
“Il COVID-19 non ha fatto altro che mettere in luce il nostro pessimo stile di vita… scorrendo l’elenco dei fattori di rischio per il Covid, quelli che portano addirittura al decesso o ad un contagio molto aggressivo; sono le malattie dell’inattività stessa”. Robert Sallis, M.D., Co-director of Sports Medicine Fellowship Program Kaiser Permanente – Fontana, CA Secondo i CDC (Centers for Disease Control and Prevention – i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie) appena la metà
degli adulti fa sufficiente esercizio fisico.
“Credo, come molti altri, che l’inattività fisica sia il principale problema di salute pubblica del nostro tempo”, afferma Sallis. Sallis è Co-Direttore del Programma di borse di studio di medicina dello sport presso la Kaiser Permanente di Fontana, California, Professore Clinico di Medicina della famiglia presso la University of California Riverside School of Medicine, e Presidente dell’Exercise is Medicine Health Advisory Board.
Non dovrebbe sorprenderci quindi che l’esercizio fisico è la prima forma di medicina che Sallis prescrive ai suoi pazienti – ancora oggi! Sallis racconta “In qualità di medico di famiglia da diversi anni, ritengo che l’attività fisica è in assoluto la medicina più importante da prescrivere ai miei pazienti”. Così la pensiamo anche noi.
L’attività fisica può: ridurre le possibilità di sviluppare malattie croniche, ridurre il rischio di contrarre malattie non trasmissibili o trasmissibili (come il coronavirus) migliorare il sistema immunitario. Senza voler menzionare tutti gli altri innumerevoli benefici mentali, emotivi e di salute generale dell’esercizio fisico stesso.
Il Covid-19 è una malattia dell’inattività “Il Covid-19 ha messo sotto i riflettori i nostri stili di vita”, dice Sallis. “E sono proprio le persone con uno stile di vita malsano ad essere più a rischio per il virus… scorrendo l’elenco dei fattori di rischio per il Covid, quelli che portano addirittura al decesso o ad un contagio molto aggressivo; sono le malattie dell’inattività stessa”. Facendo riferimento al CDC, l’inattività ha un forte impatto sulle malattie preesistenti che aumentano anche il rischio di un Covid-19 grave. Queste malattie includono:BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva), obesità (indice di massa corporea [IMC] di 30 o superiore), diabete mellito di tipo 2, malattia falciforme.
La pandemia ha drasticamente diminuito il livello di attività tra gli adulti e i bambini degli Stati Uniti. Un’indagine condotta su più di 185.000 persone riferisce che tra il 1° marzo e l’8 aprile i livelli di attività sono diminuiti del 48% tra gli adulti.
“È evidente quindi che dobbiamo fare del nostro meglio, adottando tutte le misure necessarie, per tenere aperti i luoghi dove le persone si possono allenare ed essere attive. È una parte essenziale della vita”.
È scoraggiante – per non dire altro – constatare lo scarso valore che tante persone danno all’esercizio fisico. “Siamo tutti seduti in casa rannicchiati, in attesa di un vaccino per Covid-19 invece di uscire, essere attivi ed allenarci, considerando che al momento è l’unico vaccino disponibile e utile per tutti”, dice Sallis.
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Come possiamo risolvere il problema dell’inattività durante una pandemia?
Dobbiamo far in modo che le persone si prendano cura della loro salute”. Questa è la migliore protezione che esiste contro il Covid-19″ dice Sallis “Questo virus rimarrà per un po’, dobbiamo capire come iniziare a conviverci o moriremo tutti per evitarlo”. Le istituzioni stanno erroneamente classificando i centri sportivi come luoghi ad alto rischio durante la pandemia. Nonostante l’aumento dei protocolli di pulizia e delle linee guida sulla sicurezza, così come dei dati e delle ricerche che dimostrano che i club non sono luoghi di contagio del COVID-19, alcune istituzioni non cambieranno la loro percezione e opinione. “Negano l’evidenza” afferma Sallis. E aggiunge “Stiamo permettendo alle persone di andare in aereo, fare shopping al “Costco” (n.d.t. importante catena di grandi magazzini negli USA), andare negli studi medici, con le dovute precauzioni [per tutte queste attività]. Perché non si può fare lo stesso per le palestre, che sono davvero essenziali per tante persone?” Tutti i club si sono impegnati per rendere le loro strutture sicure e igienizzate per i frequentatori, il personale e la comunità.
Tutto il settore fitness e sportivo deve diffondere il messaggio che le proprie strutture sono: sicure e pulite, in grado di aiutare a tracciare i contatti, essenziale per la salute generale e per combattere il virus. “La prevenzione è essenziale… è dimostrato che i fattori di rischio da Covid-19 sono tutti ridotti se si svolge una regolare attività fisica” continua Sallis.
I dati racconti dalla piattaforma “check-in MXM” dimostrano quanto siano sicuri e necessari i club. Al 7 agosto, i dati, compilati da 2.877 club con oltre 49 milioni di frequentatori che hanno effettuato il check-in, mostrano un tasso di incidenza di appena lo 0,002% o un rapporto di 42.731:1 visite-virus. Dei 49 milioni di check-in, solo 1.155 persone sono entrate in queste località e sono risultate positive al coronavirus. Sallis commenta “Praticamente tutti i decessi da Covid-19 hanno evidenziato malattie croniche; tutte malattie legate all’inattività fisica. Pertanto non considerare i centri sportivi come essenziali per prevenire i casi e diminuirne l’impatto non ha proprio senso per me”. Tuttavia Doctor Sallis insiste e consiglia a tutti, prima di entrare in un club, seguire le seguenti accortezze: Mantenere almeno un metro e 80 di distanza tra le persone anche quando ci si allena all’aperto, Indossare una mascherina e distanziarsi nella sala pesi o durante l’allenamento, pulire tutta l’attrezzatura dopo l’uso, Calcolare bene il proprio livello di rischio.
“È un errore sminuire l’importanza dei club e l’importante ruolo che giocano sulla salute. Le persone più a rischio sono effettivamente quelle che ne avrebbero anche più bisogno… Qualunque cosa serva per avere luoghi sicuri dove le persone si allenano e possono essere attive, dobbiamo farlo. È una parte essenziale della vita”.
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Non è stato spiegato in nessun modo come non ci si possa contagiare nei mezzi pubblici bus e treni, negli aerei o nelle navi, ma su questi mezzi non è stato preso alcun provvedimento se non una provvisoria, parziale riduzione della capienza senza che peraltro venga rispettata, ci si domanda del perché non è stato fatto nulla per potenziare il comparto ad esempio un potenziamento utilizzando mezzi privati quando la cosiddetta curva epidemiologica (si veda l’estate) era al minimo e non siano stati utilizzati tutti i sistemi affinché queste direttive venissero rispettate.
Chi decideva, forse non è al corrente che i mezzi pubblici non sempre sono utilizzati da individui che aspettano composti l’arrivo del mezzo, ma anche da persone che arrivano all’ultimo secondo utile, trafelati e col “fiatone”, e s’immergono nella calca emettendo ben più di qualche gocciolina di saliva, e non considerando che per istinto, non riuscendo a respirare bene con la mascherina in volto, in quasi al 100% dei casi la si abbassa favorendo di fatto la diffusione delle “goccioline” in ogni superficie che viene toccata da chiunque all’interno del mezzo anche solo per sorreggersi, ed il tutto senza personale che sanifichi il mezzo durante la corsa. Perché se per evitare il contagio il Governo ha ordinato la chiusura forzata del mondo dello sport, e ne ha impedito la riapertura pur in zona bianca, da loro stessi identificata ed ha permesso l’arrivo di 18.000 persone in Sardegna di cui molte contagiate dal covid, non effettuando alcun controllo e di fatto promuovendo così il contagio all’interno dell’isola? L’intervento dell’immunologa Antonella Viola nell’asserire la facilità di contagio nelle palestre e su cui si basano determinate decisioni, dimostra ancora una volta nonostante la stessa si professi assidua frequentatrice delle palestre, che per la gestione di un’attività diversa dalla propria, se non direttamente vissuta, non permette di rilevare le criticità e quelle soluzioni che si possono adottare per ovviare alle problematiche insorte.
Quando si parla di assembramenti da evitare nei centri sportivi si dimostra delle conoscenze praticamente nulle del mondo dello sport, dove negli allenamenti individuali, contingentati, e distanziati non vi può essere assembramento e ancor meno contagio. Quando si parla di emissione di particelle di saliva nell’espirazione non si tiene conto del fatto che un attrezzo posizionato di fronte ad un muro qualora intercettasse tale emissione non la trasmetterebbe a nessuno, primo perché non vi è nessuna ragione per venire a contatto con il muro finito l’esercizio, secondo perché la sanificazione dell’attrezzo mediante prodotti disinfettanti porterebbe anche alla sanificazione del muro poiché le particelle vaporizzate come da protocolli stabiliti precedentemente le chiusure, con getto più poderoso di quelle emesse dell’atleta, raggiungerebbero anche questa superficie oltre l’attrezzo ginnico inoltre negli stessi centri, gli spogliatoi e le docce sono rimasti chiusi anche dopo il 25 maggio 2020 data delle riapertura delle palestre in via precauzionale con decisione presa in molti casi unilateralmente da parte dei centri sportivi.
Non si è minimamente pensato che durante gli esercizi si sarebbero potute indossare delle visiere (utilizzate dai dentisti) che avrebbero evitato la diffusione di tali particelle, circoscritte nella sfera personale, senza peraltro facendo incorrere l’atleta in quelle che sono l’ipossia (carenza di ossigeno) e l’ipercapnia (eccesso di anidride carbonica) con l’uso delle mascherine. Si è scelta la via più facile (per loro) senza coinvolgere di concerto gli operatori del settore affinché si trovasse il giusto compromesso per non mettere in ginocchio definitivamente tutto il comparto già provato dalla precedente chiusura determinandone la fine quasi certa del 70% delle palestre.
Di contro si è permessa l’attività all’aperto (corsa), non tenendo conto che l’incrociarsi tra due atleti impegnati in una corsa quindi con il “fiatone” nell’emissione di “droplet” (goccioline di saliva) è molto più facile che vadano a colpire chi in quel momento passa loro di fronte atleta o meno. È stato utilizzato il metodo dello scaricabarile per poter addossare la colpa dell’aumento dei contagi alle strutture sportive e dell’intrattenimento in genere per mascherare l’inefficienza e l’inadeguatezza di coloro che hanno gestito la situazione e delle decisioni prese ad iniziare dalle misure per finire con la tempistica.
Non si capisce in base a quale principio un atleta dilettante si può infettare ed un professionista no. Per quale oscura ragione il calcio professionistico ha avuto uno stop momentaneo e una piena ripresa, mentre il restante comparto sportivo dilettantistico ed individuale, è sottoposto ad un massacro incessante e per il quale non si vede via di uscita. Massacro dettato da decisioni incomprensibili o forse no. Dette decisioni (calcio professionistico), ispirate esclusivamente da un fattore economico, non hanno ragioni e la spiegazione data al riguardo, appare incomprensibile. Viene detto infatti che il monitoraggio dei tamponi fatti (si presume) in maniera incessante e continua, tutelano i soggetti che intervengono. Ma dove? Qualcuno dovrebbe spiegare infatti, perché i giocatori che effettuano il tampone il sabato precedente e risultano negativi, la domenica giocano; il lunedì successivo in numero consistente sono stati trovati positivi. Ma se sono stati trovati positivi il lunedì, la domenica potrebbero aver contagiato tutte le persone con cui sono venuti a contatto. Ogni partita infatti, non è limitata ai 22 giocatori; ogni squadra fra titolari e riserve può arrivare a 25 giocatori; c'è poi lo staff tecnico (allenatori, preparatori atletici, massaggiatori, medico, dirigenti accompagnatori, presidente ecc.) c'è poi tutto il personale che lavora a corollario di ogni partita: arbitri, giornalisti, osservatori, stewards, operai, invitati a qualsiasi titolo. In certi stadi si è segnalata la presenza complessiva di diverse centinaia di persone a partita. Ed allora ? fanno tutti il tampone? E se si come hanno fatto a contagiarsi se sono tutti negativi? Nei contrasti e nelle azioni gli atleti si toccano, si alitano, si scambiano fluidi (sudore), c’è un contatto diretto e continuo … cos’è il covid viene escluso all’interno del campo di gioco. Con queste affermazioni non si vuole andare contro il calcio, sia ben chiaro.
Semplicemente si vuole affermare che con i provvedimenti presi, si è perpetrata una palese discriminazione ed un diverso trattamento dei cittadini, in aperta violazione della Costituzione. Tutto questo perché, probabilmente, i bilanci delle società sportive sono costituiti da poche decine di migliaia di euro; quelli delle società di calcio da centinaia di milioni di euro. Le società sportive vivono del sacrificio e del sudore di chi le porta avanti, svolgendo un fondamentale ruolo sociale. Le società di calcio catalizzano interessi economici rilevanti; basta pensare agli sponsor (multinazionali, società quotate in borsa, potentati economici).
Lo sport è stato riconosciuto come parte primaria ed essenziale a fini sociali e culturali, in quella che è la disciplina e l’educazione giovanile, l’aggregazione e la socializzazione, favorendo la forma e l’autostima in termini medici e psicologici, anche a livello preventivo su quelle che sono molte patologie, diabete, ipertensione, obesità, ecc…. affiancando lo Stato lì dove è carente e non può intervenire in maniera capillare così come si è formata nel corso di decenni la struttura sportiva, demandato all’iniziativa privata, dove lo sport ha affiancato lo Stato a livello sociale, portata avanti da tanti appassionati ed atleti che hanno dedicato la vita alla divulgazione della propria disciplina sportiva nessuna esclusa, nessuna migliore o peggiore delle altre, investendo tempo e risorse in maniera maggiore nell’ultimo periodo, affinché i propri associati potessero frequentare un ambiente confortevole, sicuro, nonché professionale pur gestito da amatori e dilettanti.
Definendo la categoria dei comparti inerenti la socializzazione, centri sportivi, centri culturali, e della socialità, bar, ristoranti, teatri, cinema, indicate come “attività sacrificabili” (dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte), ci chiediamo sacrificabili in nome di chi o cosa e sempre per lo stesso principio ci si deve spiegare con quale criterio si sia operato per stabilire le chiusure e determinare le aperture senza limitazioni di tabacchi, negozi di telefonia ed altre attività non certo indispensabili per la sopravvivenza, ma di interesse per le multinazionali.
Lo sport in genere ha avuto uno stop dal 09/03/2020 al 24/05/2020. Analizzando i dati pubblicati dal ministero della salute riguardo i contagi dal 25/05/2020, non si può non notare una diminuzione chiara e significativa della curva dei contagi dall’apertura delle palestre fino al mese di giugno ed oltre. Dopodiché si è reiterato lo stop allo sport dal 25/10/2020, nonostante si sia appurato con oltre 5.000 controlli, non vi sia stata riscontrata nessuna violazione dei protocolli stabiliti dal Governo. Anche qui i dati pubblicati dal ministero della salute riguardo i contagi dal 25/05/2020. Si evince chiaramente un aumento significativo della curva dei contagi dalla chiusura delle palestre fino al 31 dicembre e
oltre. Alla luce di questi dati nessuno ha finora dato delle spiegazioni esaurienti del perché nonostante i luoghi degli “untori” o "altamente pericolosi", quando chiusi, i contagi abbiano continuato ad aumentare in maniera vertiginosa e quando aperti a fine maggio i contagi siano crollati.
Costituzione Italiana
Articolo 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Articolo 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Articolo 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Articolo 13
La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà [cfr. art. 27 c. 3];.
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
Articolo 18
I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.
Articolo 28
I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.
Articolo 32
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Articolo 35
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.
Articolo 38
Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L'assistenza privata è libera.
Articolo 41
L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali [cfr. art. 43].
Articolo 96
Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale.
Articolo 97
Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari [28]. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge [51 c.1].
Conclusione
Violando in maniera arrogante e colpevole tutti o parte dei nostri diritti Costituzionali su citati, che sono i principi di uguaglianza, libertà di associazione, libertà personale, di libera iniziativa privata, è stato palesemente violato il principio dell'imparzialità nei provvedimenti presi, questo ha determinato, con una gestione scellerata e poco accorta, la demolizione di comparti produttivi e sociali, unitamente a tanti altri, si spera per incapacità e inadeguatezza, finanche volgere il pensiero al dolo. Il principio “prima la salute” su cui i governi hanno basato la loro linea di condotta, è sempre messo in secondo piano con quelli che sono i bisogni primari universalmente riconosciuti essenziali per la sopravvivenza e la vita della persona. Si tratta di bisogni fisiologici e istintivi. Fanno parte dei bisogni primari alcune azioni indispensabili per la sopravvivenza come bere, mangiare e dormire.
Azioni come il bere e mangiare, non possono essere svolte al meglio in mancanza di sostentamento economico adeguato e considerata la chiusura improvvisa e prolungata, c’è chi non ha potuto accantonare le risorse necessarie per il fabbisogno minimo proprio, e per la propria attività.
E chi di doveva provvedere almeno a limitare il contraccolpo improvviso subìto, è stato colpevolmente latitante. Di fatto anche il dormire riconosciuto come fabbisogno primario per la sopravvivenza è stato compromesso a causa di situazioni di forte stress causato dalla motivazione di dover far fronte a delle scadenze di bollette, tasse, mutui, affitti, che in mancanza delle risorse necessarie per poter far fronte e di cui gli effetti potrebbero protrarsi a lungo, entrando di fatto in una spirale debitoria infinita pregiudicando tutto quanto finora costruito e compromettendo la vita futura di centinaia di migliaia di persone incolpevoli. Che tutto ciò ha, ed avrà immense ripercussioni a carico dei soggetti interessati, dal punto di vista finanziario e medico, probabilmente ciò non è stato preso in considerazione o è stato fatto in maniera superficiale, con un comportamento inadeguato per chi dovrebbe guidare un paese e di cui lo Stato unitamente a coloro che hanno causato tale situazione dovranno farsi carico civilmente e penalmente. Si chiede alla Magistratura, indipendente, ultimo baluardo della legalità e del rispetto dei diritti Costituzionali e Universali dell'uomo, che intervenga contro chi si è reso colpevole od abbia concorso all'attuazione di tali azioni criminali.
V.Z.
Alleghiamo l'intervento di un cittadino Italiano, titolare di un centro sportivo, che riflette ed argomenta sulla legittimità di alcuni provvedimenti abnormi adottati dai ns governanti.
26/03/2021
G.L.
Con la presente si propone d’intentare una causa collettiva del comparto sportivo a carico dello Stato Italiano per il risarcimento dei danni cagionati a tutte le strutture sportive per quelle che sono stati i costi fissi delle strutture e risarciti in maniera inadeguata se non inesistente a causa delle chiusure indiscriminate attuate senza criterio ed in assenza di studi scientifici a riguardo, che possano dimostrare in maniera chiara ed inequivocabile che vi sia una relazione tra aumento significativo di contagi negli ambienti sportivi al chiuso e nelle palestre in genere.
Al contrario vi sono tre studi che asseriscono esattamente l’opposto.
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Lo studio, condotto da UKActive nel Regno Unito e pubblicato sulla rivista Health Club Management, sostiene che il rischio di contagio è quasi azzerato mentre si pratica attività fisica nelle palestre ed i centri sportivi dove appunto vi è un rispetto delle norme e dei protocolli seguiti, il contagio è pressoché inesistente 0,02 % ovverossia (2 su 10.000 presenze).
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Roma, 30 ott. (Adnkronos Salute)
Quali sono i luoghi in cui il rischio di contrarre Covid-19 è più alto? "Non lo sappiamo, non esistono mezzi scientifici per conoscerli, ma possiamo sapere quali siano i luoghi dove ci si contagia meno o affatto: palestre, bar, ristoranti, cinema e teatri". E' quanto emerge da uno studio condotto dal centro Altamedica di Roma, e sottoposto al 'Journal of Medical Virology'.
"Si tratta - spiega il direttore scientifico di Altamedica, Claudio Giorlandino - del primo studio scientifico di esclusione della sede di contagio. Infatti, benché non sia possibile stabilire dove ci si contagi giacché i comportamenti, movimenti e contatti della popolazione siano estremamente vari ed i contagiati possano essere stati infettati in un numero indefinito di luoghi od occasioni anche contingenti od occasionali, è invece estremamente semplice verificare le sedi di frequentazione ed escludere quelle dove la popolazione dei positivi non si sia recata nei 10/15 giorni precedenti il riscontro del virus nel loro tratto respiratorio superiore".
Studio su 226 soggetti asintomatici: non li avevano mai frequentati nei 15 giorni prima di diventare positivi "Si tratta di valutare i luoghi definiti "sensibili" o "a rischio di trasmissione" e verificare, de facto, se i contagiati li avessero visitati, e con quale frequenza, nei 15 giorni precedenti il tampone positivo". I soggetti studiati "sono tutti asintomatici - ha precisato il direttore scientifico di Altamedica - E per i soggetti asintomatici o paucisintomatici la letteratura scientifica ritiene che il virus nel tampone rinofaringeo duri al massimo 15 giorni. Quindi basta tornare indietro di 15 giorni e verificare se, in quel lasso di tempo, si sono frequentati certi ambienti o meno per ipotizzare che questo possa essere un luogo di contagio o escluderlo". Dallo studio osservazionale retrospettivo, è emersa una realtà assolutamente inaspettata: ristoranti, palestre, teatri e cinema, ritenuti responsabili aprioristicamente della sede di contagio, non sono stati frequentati, o lo sono stati in minima parte, dai soggetti positivi.
Le sedi di esclusione sono state studiate retrospettivamente nello studio, interrogando 226 soggetti risultati positivi al test, su 5.100 casi analizzati. A questi è stato chiesto se nei 15 giorni precedenti al test avessero frequentato i suddetti ambienti: palestre, ristoranti, cinema o teatri.
"In quasi la totalità dei casi - afferma Giorlandino - queste sedi non sono state mai visitate dai soggetti positivi. E' di tutta evidenza, quindi, che il virus non si sia contratto lì. Benché non si possa dire se vi sia una responsabilità del mezzo, va comunque segnalato che, in via collaterale, più del 50% dei soggetti intervistati riferiva invece di aver frequentato mezzi pubblici. Ovviamente, questo non afferma ma neanche esclude che sia stata quella la sede di contagio". Dei soggetti intervistati il 93% ha dichiarato di non avere frequentato mai ristoranti nel periodo di riferimento, il 92% di non avere frequentato bar, il 94% di non avere frequentato cinema o teatri. "Se tali prime osservazioni venissero confermate da altri studi e ricerche non vi sarebbe alcuna ragione di limitare tali attività", conclude Giorlandino.
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Uno dei grandi temi dello sport durante questa pandemia è stato stabilire le potenziali dinamiche di trasmissione del coronavirus tra gli atleti durante l’attività sportiva. Quando, la scorsa primavera si discutevano i primi protocolli per permettere alle società di tornare a competere e si cominciava a parlare di sport di squadra e/o di contatto, c’era sempre un grande punto interrogativo: come limitare un’eventuale trasmissione attraverso gli strumenti dell’attività sportiva, a cominciare da palline e palloni? Sono argomenti quanto mai attuali anche a mesi di distanza, con la discussione che è tornata attiva sulla riapertura di impianti da sci e soprattutto palestre e piscine. Nel frattempo abbiamo imparato a conoscere meglio il coronavirus e i ricercatori non hanno mai smesso di studiarlo e indagare i principali veicoli di contagio. Gli scienziati della Liverpool School of Tropical Medicine sono giunti alla conclusione che il rischio di trasmissione del virus attraverso gli strumenti condivisi dello sport è "più basso di quanto si pensasse una volta", tanto da portare i ricercatori a dire che “sembra improbabile” che palloni e accessori sportivi possano essere una principale causa di trasmissione del virus.
LA RICERCA--
Lo studio è stato condotto su diverse discipline sportive e due quantità differenti di coronavirus (basse o alte) sono state applicate su un guanto e sulle palle da cricket, palloni da calcio e rugby, palline da golf e tennis, un attrezzo da palestra, la sella di un cavallo e su un pezzo di acciaio inossidabile come materiale di controllo. I test venivano ripetuti dopo 1, 5, 15, 30 e 90 minuti per valutare se fosse stato possibile trasferire il virus a intervalli di tempo compatibili con gli sport in questione. La ricerca ha mostrato che dei dieci oggetti su cui erano state applicate basse quantità di virus, su sette il virus era ancora presente dopo un minuto, su una dopo 5 minuti (la sella) e su nessuna dopo 15 minuti. Quando, invece, la quantità di virus applicata era alta, era ancora riscontrabile su nove superfici a distanza di uno e 5 minuti (ad eccezione del guanto da cricket), su sei dopo 30 minuti e su due dopo 90 minuti (la palla da rugby e la sella). Lo studio (che però, per essere ritenuto valido deve essere riprodotto in situazioni diverse, a parità di condizioni), in conclusione mostra che “la persistenza del virus valutata su tutti i materiali è scesa allo 0,74% in un minuto, allo 0,39% dopo 15 minuti e allo 0,003% dopo 90 minuti”.
PRIMA LE PERSONE--
La ricerca ha evidenziato come il virus tenda a essere meno “trasferibile” quando applicato su superfici assorbenti (come la palla da tennis o il guanto da cricket), in relazione a superfici non porose come le selle o i palloni da rugby. E anche che c’è un “rapido decadimento” delle particelle virali sui diversi materiali rendendo “molto difficile” la trasmissione del virus “vivo” a partire da questi ultimi. Questo, secondo gli scienziati, spiega che il “contatto stretto” tra gli atleti è un veicolo di diffusione del virus molto più importante che l’utilizzo di strumenti condivisi. Tanto che James Calder dell’Imperial College and Fortius Clinic ha detto alla Bbc che i risultati di questi studi “evidenziano l’importanza di promuovere ulteriori misure di prevenzione di contagio negli sport sollecitando i produttori di attrezzature sportive a identificare le superfici che potrebbero avere meno probabilità di trattenere virus”.
“Dobbiamo fare tutto il necessario affinché rimangano aperti tutti i luoghi dove le persone si allenano e possono essere attive, perché è una parte essenziale della vita” Doctor Robert Sallis La salute è l’obiettivo principale di tutta la filiera del fitness e del wellness.
Basti pensare che appena dichiarata la pandemia, si sono tutti mobilitati per fornire delle modalità alternative per aiutare le persone a rimanere attive nonostante la chiusura dei club. Successivamente al lockdown, l’attenzione degli operatori si è spostata sulle rigorose misure da adottare per ridurre al minimo i rischi e poter riaprire in totale sicurezza. Eppure, nonostante questi numerosi sforzi, i media (e spesso anche i funzionari pubblici) hanno erroneamente dipinto il settore sportivo come non sicuro.
IHRSA, da sempre al fianco degli operatori in difesa di una corretta pratica sportiva all’interno dei club, ha voluto approfondire il discorso ed ha incontrato medici ed esperti per smontare le false affermazioni e impedire la circolazione di notizie diffamatorie.
Questo articolo è il primo di una serie in cui condivideremo le opinioni di medici, scienziati e professionisti della sanità pubblica su tematiche che riguardano: come allenarsi in sicurezza nei club durante una pandemia, come i club contribuiscono significativamente a mantenere le persone in salute,i benefici dell’esercizio fisico per la salute.
Abbiamo intervistato il Doctor Robert Sallis, per avere il suo parere in merito. L’attività fisica è fondamentale per la prevenzione, la gestione e il trattamento di malattie croniche, oltre a favorire uno stato di salute generale anche in età adulta e la longevità. Circa il 20% degli americani fa esercizio fisico in uno dei 40.000 fitness club del Paese.
“Il COVID-19 non ha fatto altro che mettere in luce il nostro pessimo stile di vita… scorrendo l’elenco dei fattori di rischio per il Covid, quelli che portano addirittura al decesso o ad un contagio molto aggressivo; sono le malattie dell’inattività stessa”. Robert Sallis, M.D., Co-director of Sports Medicine Fellowship Program Kaiser Permanente – Fontana, CA Secondo i CDC (Centers for Disease Control and Prevention – i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie) appena la metà
degli adulti fa sufficiente esercizio fisico.
“Credo, come molti altri, che l’inattività fisica sia il principale problema di salute pubblica del nostro tempo”, afferma Sallis. Sallis è Co-Direttore del Programma di borse di studio di medicina dello sport presso la Kaiser Permanente di Fontana, California, Professore Clinico di Medicina della famiglia presso la University of California Riverside School of Medicine, e Presidente dell’Exercise is Medicine Health Advisory Board.
Non dovrebbe sorprenderci quindi che l’esercizio fisico è la prima forma di medicina che Sallis prescrive ai suoi pazienti – ancora oggi! Sallis racconta “In qualità di medico di famiglia da diversi anni, ritengo che l’attività fisica è in assoluto la medicina più importante da prescrivere ai miei pazienti”. Così la pensiamo anche noi.
L’attività fisica può: ridurre le possibilità di sviluppare malattie croniche, ridurre il rischio di contrarre malattie non trasmissibili o trasmissibili (come il coronavirus) migliorare il sistema immunitario. Senza voler menzionare tutti gli altri innumerevoli benefici mentali, emotivi e di salute generale dell’esercizio fisico stesso.
Il Covid-19 è una malattia dell’inattività “Il Covid-19 ha messo sotto i riflettori i nostri stili di vita”, dice Sallis. “E sono proprio le persone con uno stile di vita malsano ad essere più a rischio per il virus… scorrendo l’elenco dei fattori di rischio per il Covid, quelli che portano addirittura al decesso o ad un contagio molto aggressivo; sono le malattie dell’inattività stessa”. Facendo riferimento al CDC, l’inattività ha un forte impatto sulle malattie preesistenti che aumentano anche il rischio di un Covid-19 grave. Queste malattie includono:BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva), obesità (indice di massa corporea [IMC] di 30 o superiore), diabete mellito di tipo 2, malattia falciforme.
La pandemia ha drasticamente diminuito il livello di attività tra gli adulti e i bambini degli Stati Uniti. Un’indagine condotta su più di 185.000 persone riferisce che tra il 1° marzo e l’8 aprile i livelli di attività sono diminuiti del 48% tra gli adulti.
“È evidente quindi che dobbiamo fare del nostro meglio, adottando tutte le misure necessarie, per tenere aperti i luoghi dove le persone si possono allenare ed essere attive. È una parte essenziale della vita”.
È scoraggiante – per non dire altro – constatare lo scarso valore che tante persone danno all’esercizio fisico. “Siamo tutti seduti in casa rannicchiati, in attesa di un vaccino per Covid-19 invece di uscire, essere attivi ed allenarci, considerando che al momento è l’unico vaccino disponibile e utile per tutti”, dice Sallis.
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Come possiamo risolvere il problema dell’inattività durante una pandemia?
Dobbiamo far in modo che le persone si prendano cura della loro salute”. Questa è la migliore protezione che esiste contro il Covid-19″ dice Sallis “Questo virus rimarrà per un po’, dobbiamo capire come iniziare a conviverci o moriremo tutti per evitarlo”. Le istituzioni stanno erroneamente classificando i centri sportivi come luoghi ad alto rischio durante la pandemia. Nonostante l’aumento dei protocolli di pulizia e delle linee guida sulla sicurezza, così come dei dati e delle ricerche che dimostrano che i club non sono luoghi di contagio del COVID-19, alcune istituzioni non cambieranno la loro percezione e opinione. “Negano l’evidenza” afferma Sallis. E aggiunge “Stiamo permettendo alle persone di andare in aereo, fare shopping al “Costco” (n.d.t. importante catena di grandi magazzini negli USA), andare negli studi medici, con le dovute precauzioni [per tutte queste attività]. Perché non si può fare lo stesso per le palestre, che sono davvero essenziali per tante persone?” Tutti i club si sono impegnati per rendere le loro strutture sicure e igienizzate per i frequentatori, il personale e la comunità.
Tutto il settore fitness e sportivo deve diffondere il messaggio che le proprie strutture sono: sicure e pulite, in grado di aiutare a tracciare i contatti, essenziale per la salute generale e per combattere il virus. “La prevenzione è essenziale… è dimostrato che i fattori di rischio da Covid-19 sono tutti ridotti se si svolge una regolare attività fisica” continua Sallis.
I dati racconti dalla piattaforma “check-in MXM” dimostrano quanto siano sicuri e necessari i club. Al 7 agosto, i dati, compilati da 2.877 club con oltre 49 milioni di frequentatori che hanno effettuato il check-in, mostrano un tasso di incidenza di appena lo 0,002% o un rapporto di 42.731:1 visite-virus. Dei 49 milioni di check-in, solo 1.155 persone sono entrate in queste località e sono risultate positive al coronavirus. Sallis commenta “Praticamente tutti i decessi da Covid-19 hanno evidenziato malattie croniche; tutte malattie legate all’inattività fisica. Pertanto non considerare i centri sportivi come essenziali per prevenire i casi e diminuirne l’impatto non ha proprio senso per me”. Tuttavia Doctor Sallis insiste e consiglia a tutti, prima di entrare in un club, seguire le seguenti accortezze: Mantenere almeno un metro e 80 di distanza tra le persone anche quando ci si allena all’aperto, Indossare una mascherina e distanziarsi nella sala pesi o durante l’allenamento, pulire tutta l’attrezzatura dopo l’uso, Calcolare bene il proprio livello di rischio.
“È un errore sminuire l’importanza dei club e l’importante ruolo che giocano sulla salute. Le persone più a rischio sono effettivamente quelle che ne avrebbero anche più bisogno… Qualunque cosa serva per avere luoghi sicuri dove le persone si allenano e possono essere attive, dobbiamo farlo. È una parte essenziale della vita”.
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Non è stato spiegato in nessun modo come non ci si possa contagiare nei mezzi pubblici bus e treni, negli aerei o nelle navi, ma su questi mezzi non è stato preso alcun provvedimento se non una provvisoria, parziale riduzione della capienza senza che peraltro venga rispettata, ci si domanda del perché non è stato fatto nulla per potenziare il comparto ad esempio un potenziamento utilizzando mezzi privati quando la cosiddetta curva epidemiologica (si veda l’estate) era al minimo e non siano stati utilizzati tutti i sistemi affinché queste direttive venissero rispettate.
Chi decideva, forse non è al corrente che i mezzi pubblici non sempre sono utilizzati da individui che aspettano composti l’arrivo del mezzo, ma anche da persone che arrivano all’ultimo secondo utile, trafelati e col “fiatone”, e s’immergono nella calca emettendo ben più di qualche gocciolina di saliva, e non considerando che per istinto, non riuscendo a respirare bene con la mascherina in volto, in quasi al 100% dei casi la si abbassa favorendo di fatto la diffusione delle “goccioline” in ogni superficie che viene toccata da chiunque all’interno del mezzo anche solo per sorreggersi, ed il tutto senza personale che sanifichi il mezzo durante la corsa. Perché se per evitare il contagio il Governo ha ordinato la chiusura forzata del mondo dello sport, e ne ha impedito la riapertura pur in zona bianca, da loro stessi identificata ed ha permesso l’arrivo di 18.000 persone in Sardegna di cui molte contagiate dal covid, non effettuando alcun controllo e di fatto promuovendo così il contagio all’interno dell’isola? L’intervento dell’immunologa Antonella Viola nell’asserire la facilità di contagio nelle palestre e su cui si basano determinate decisioni, dimostra ancora una volta nonostante la stessa si professi assidua frequentatrice delle palestre, che per la gestione di un’attività diversa dalla propria, se non direttamente vissuta, non permette di rilevare le criticità e quelle soluzioni che si possono adottare per ovviare alle problematiche insorte.
Quando si parla di assembramenti da evitare nei centri sportivi si dimostra delle conoscenze praticamente nulle del mondo dello sport, dove negli allenamenti individuali, contingentati, e distanziati non vi può essere assembramento e ancor meno contagio. Quando si parla di emissione di particelle di saliva nell’espirazione non si tiene conto del fatto che un attrezzo posizionato di fronte ad un muro qualora intercettasse tale emissione non la trasmetterebbe a nessuno, primo perché non vi è nessuna ragione per venire a contatto con il muro finito l’esercizio, secondo perché la sanificazione dell’attrezzo mediante prodotti disinfettanti porterebbe anche alla sanificazione del muro poiché le particelle vaporizzate come da protocolli stabiliti precedentemente le chiusure, con getto più poderoso di quelle emesse dell’atleta, raggiungerebbero anche questa superficie oltre l’attrezzo ginnico inoltre negli stessi centri, gli spogliatoi e le docce sono rimasti chiusi anche dopo il 25 maggio 2020 data delle riapertura delle palestre in via precauzionale con decisione presa in molti casi unilateralmente da parte dei centri sportivi.
Non si è minimamente pensato che durante gli esercizi si sarebbero potute indossare delle visiere (utilizzate dai dentisti) che avrebbero evitato la diffusione di tali particelle, circoscritte nella sfera personale, senza peraltro facendo incorrere l’atleta in quelle che sono l’ipossia (carenza di ossigeno) e l’ipercapnia (eccesso di anidride carbonica) con l’uso delle mascherine. Si è scelta la via più facile (per loro) senza coinvolgere di concerto gli operatori del settore affinché si trovasse il giusto compromesso per non mettere in ginocchio definitivamente tutto il comparto già provato dalla precedente chiusura determinandone la fine quasi certa del 70% delle palestre.
Di contro si è permessa l’attività all’aperto (corsa), non tenendo conto che l’incrociarsi tra due atleti impegnati in una corsa quindi con il “fiatone” nell’emissione di “droplet” (goccioline di saliva) è molto più facile che vadano a colpire chi in quel momento passa loro di fronte atleta o meno. È stato utilizzato il metodo dello scaricabarile per poter addossare la colpa dell’aumento dei contagi alle strutture sportive e dell’intrattenimento in genere per mascherare l’inefficienza e l’inadeguatezza di coloro che hanno gestito la situazione e delle decisioni prese ad iniziare dalle misure per finire con la tempistica.
Non si capisce in base a quale principio un atleta dilettante si può infettare ed un professionista no. Per quale oscura ragione il calcio professionistico ha avuto uno stop momentaneo e una piena ripresa, mentre il restante comparto sportivo dilettantistico ed individuale, è sottoposto ad un massacro incessante e per il quale non si vede via di uscita. Massacro dettato da decisioni incomprensibili o forse no. Dette decisioni (calcio professionistico), ispirate esclusivamente da un fattore economico, non hanno ragioni e la spiegazione data al riguardo, appare incomprensibile. Viene detto infatti che il monitoraggio dei tamponi fatti (si presume) in maniera incessante e continua, tutelano i soggetti che intervengono. Ma dove? Qualcuno dovrebbe spiegare infatti, perché i giocatori che effettuano il tampone il sabato precedente e risultano negativi, la domenica giocano; il lunedì successivo in numero consistente sono stati trovati positivi. Ma se sono stati trovati positivi il lunedì, la domenica potrebbero aver contagiato tutte le persone con cui sono venuti a contatto. Ogni partita infatti, non è limitata ai 22 giocatori; ogni squadra fra titolari e riserve può arrivare a 25 giocatori; c'è poi lo staff tecnico (allenatori, preparatori atletici, massaggiatori, medico, dirigenti accompagnatori, presidente ecc.) c'è poi tutto il personale che lavora a corollario di ogni partita: arbitri, giornalisti, osservatori, stewards, operai, invitati a qualsiasi titolo. In certi stadi si è segnalata la presenza complessiva di diverse centinaia di persone a partita. Ed allora ? fanno tutti il tampone? E se si come hanno fatto a contagiarsi se sono tutti negativi? Nei contrasti e nelle azioni gli atleti si toccano, si alitano, si scambiano fluidi (sudore), c’è un contatto diretto e continuo … cos’è il covid viene escluso all’interno del campo di gioco. Con queste affermazioni non si vuole andare contro il calcio, sia ben chiaro.
Semplicemente si vuole affermare che con i provvedimenti presi, si è perpetrata una palese discriminazione ed un diverso trattamento dei cittadini, in aperta violazione della Costituzione. Tutto questo perché, probabilmente, i bilanci delle società sportive sono costituiti da poche decine di migliaia di euro; quelli delle società di calcio da centinaia di milioni di euro. Le società sportive vivono del sacrificio e del sudore di chi le porta avanti, svolgendo un fondamentale ruolo sociale. Le società di calcio catalizzano interessi economici rilevanti; basta pensare agli sponsor (multinazionali, società quotate in borsa, potentati economici).
Lo sport è stato riconosciuto come parte primaria ed essenziale a fini sociali e culturali, in quella che è la disciplina e l’educazione giovanile, l’aggregazione e la socializzazione, favorendo la forma e l’autostima in termini medici e psicologici, anche a livello preventivo su quelle che sono molte patologie, diabete, ipertensione, obesità, ecc…. affiancando lo Stato lì dove è carente e non può intervenire in maniera capillare così come si è formata nel corso di decenni la struttura sportiva, demandato all’iniziativa privata, dove lo sport ha affiancato lo Stato a livello sociale, portata avanti da tanti appassionati ed atleti che hanno dedicato la vita alla divulgazione della propria disciplina sportiva nessuna esclusa, nessuna migliore o peggiore delle altre, investendo tempo e risorse in maniera maggiore nell’ultimo periodo, affinché i propri associati potessero frequentare un ambiente confortevole, sicuro, nonché professionale pur gestito da amatori e dilettanti.
Definendo la categoria dei comparti inerenti la socializzazione, centri sportivi, centri culturali, e della socialità, bar, ristoranti, teatri, cinema, indicate come “attività sacrificabili” (dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte), ci chiediamo sacrificabili in nome di chi o cosa e sempre per lo stesso principio ci si deve spiegare con quale criterio si sia operato per stabilire le chiusure e determinare le aperture senza limitazioni di tabacchi, negozi di telefonia ed altre attività non certo indispensabili per la sopravvivenza, ma di interesse per le multinazionali.
Lo sport in genere ha avuto uno stop dal 09/03/2020 al 24/05/2020. Analizzando i dati pubblicati dal ministero della salute riguardo i contagi dal 25/05/2020, non si può non notare una diminuzione chiara e significativa della curva dei contagi dall’apertura delle palestre fino al mese di giugno ed oltre. Dopodiché si è reiterato lo stop allo sport dal 25/10/2020, nonostante si sia appurato con oltre 5.000 controlli, non vi sia stata riscontrata nessuna violazione dei protocolli stabiliti dal Governo. Anche qui i dati pubblicati dal ministero della salute riguardo i contagi dal 25/05/2020. Si evince chiaramente un aumento significativo della curva dei contagi dalla chiusura delle palestre fino al 31 dicembre e
oltre. Alla luce di questi dati nessuno ha finora dato delle spiegazioni esaurienti del perché nonostante i luoghi degli “untori” o "altamente pericolosi", quando chiusi, i contagi abbiano continuato ad aumentare in maniera vertiginosa e quando aperti a fine maggio i contagi siano crollati.
Costituzione Italiana
Articolo 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Articolo 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Articolo 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Articolo 13
La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà [cfr. art. 27 c. 3];.
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
Articolo 18
I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.
Articolo 28
I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.
Articolo 32
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Articolo 35
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.
Articolo 38
Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L'assistenza privata è libera.
Articolo 41
L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali [cfr. art. 43].
Articolo 96
Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale.
Articolo 97
Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari [28]. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge [51 c.1].
Conclusione
Violando in maniera arrogante e colpevole tutti o parte dei nostri diritti Costituzionali su citati, che sono i principi di uguaglianza, libertà di associazione, libertà personale, di libera iniziativa privata, è stato palesemente violato il principio dell'imparzialità nei provvedimenti presi, questo ha determinato, con una gestione scellerata e poco accorta, la demolizione di comparti produttivi e sociali, unitamente a tanti altri, si spera per incapacità e inadeguatezza, finanche volgere il pensiero al dolo. Il principio “prima la salute” su cui i governi hanno basato la loro linea di condotta, è sempre messo in secondo piano con quelli che sono i bisogni primari universalmente riconosciuti essenziali per la sopravvivenza e la vita della persona. Si tratta di bisogni fisiologici e istintivi. Fanno parte dei bisogni primari alcune azioni indispensabili per la sopravvivenza come bere, mangiare e dormire.
Azioni come il bere e mangiare, non possono essere svolte al meglio in mancanza di sostentamento economico adeguato e considerata la chiusura improvvisa e prolungata, c’è chi non ha potuto accantonare le risorse necessarie per il fabbisogno minimo proprio, e per la propria attività.
E chi di doveva provvedere almeno a limitare il contraccolpo improvviso subìto, è stato colpevolmente latitante. Di fatto anche il dormire riconosciuto come fabbisogno primario per la sopravvivenza è stato compromesso a causa di situazioni di forte stress causato dalla motivazione di dover far fronte a delle scadenze di bollette, tasse, mutui, affitti, che in mancanza delle risorse necessarie per poter far fronte e di cui gli effetti potrebbero protrarsi a lungo, entrando di fatto in una spirale debitoria infinita pregiudicando tutto quanto finora costruito e compromettendo la vita futura di centinaia di migliaia di persone incolpevoli. Che tutto ciò ha, ed avrà immense ripercussioni a carico dei soggetti interessati, dal punto di vista finanziario e medico, probabilmente ciò non è stato preso in considerazione o è stato fatto in maniera superficiale, con un comportamento inadeguato per chi dovrebbe guidare un paese e di cui lo Stato unitamente a coloro che hanno causato tale situazione dovranno farsi carico civilmente e penalmente. Si chiede alla Magistratura, indipendente, ultimo baluardo della legalità e del rispetto dei diritti Costituzionali e Universali dell'uomo, che intervenga contro chi si è reso colpevole od abbia concorso all'attuazione di tali azioni criminali.
V.Z.
lettera a trump dell'arcivescovo carlo maria vigano' - piano denominato "great reset".
Pubblichiamo la lettera dell’Arcivescovo Mons. Carlo Maria Viganò, Nunzio Apostolico, al presidente degli Stati Uniti d’America Donald J.Trump: Nella lettera denuncia un piano denominato Great Reset, da parte di un’élite che vuole sottomettere l’umanità intera, imponendo misure coercitive con cui limitare drasticamente le libertà delle persone e dei popoli”.
Crediamo che possa indurre ad una giusta riflessione tutti coloro che definiscono complottisti chi matura un pensiero diverso da quello dei più. Probabilmente sarà un complottista anche l'Arcivescovo Carlo Maria Viganò!? Beh, a questo punto ci si può domandare, se può essere lui, un complottista, perché non possono esserlo gli altri ?
LETTERA APERTA
al Presidente degli Stati Uniti d’America
Donald J. Trump
Domenica 25 Ottobre 2020
Solennità di Cristo Re
Signor Presidente,
mi consenta di rivolgermi a Lei, in quest’ora in cui le sorti del mondo intero sono minacciate da una cospirazione globale contro Dio e contro l’umanità. Le scrivo come Arcivescovo, come Successore degli Apostoli, come ex-Nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America. Le scrivo nel silenzio delle autorità civili e religiose: voglia accogliere queste mie parole come la «voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1, 23).
Come ho avuto modo di scriverLe nella mia Lettera dello scorso Giugno, questo momento storico vede schierate le forze del Male in una battaglia senza quartiere contro le forze del Bene; forze del Male che sembrano potenti e organizzate dinanzi ai figli della Luce, disorientati e disorganizzati, abbandonati dai loro capi temporali e spirituali.
Sentiamo moltiplicarsi gli attacchi di chi vuole demolire le basi stesse della società: la famiglia naturale, il rispetto per la vita umana, l’amore per la Patria, la libertà di educazione e di impresa. Vediamo i capi delle Nazioni e i leader religiosi assecondare questo suicidio della cultura occidentale e della sua anima cristiana, mentre ai cittadini e ai credenti sono negati i diritti fondamentali, in nome di un’emergenza sanitaria che sempre più si rivela come strumentale all’instaurazione di una disumana tirannide senza volto.
Un piano globale, denominato Great Reset, è in via di realizzazione. Ne è artefice un’élite che vuole sottomettere l’umanità intera, imponendo misure coercitive con cui limitare drasticamente le libertà delle persone e dei popoli. In alcune nazioni questo progetto è già stato approvato e finanziato; in altre è ancora in uno stadio iniziale. Dietro i leader mondiali, complici ed esecutori di questo progetto infernale, si celano personaggi senza scrupoli che finanziano il World Economic Forum e l’Event 201, promuovendone l’agenda.
Scopo del Great Reset è l’imposizione di una dittatura sanitaria finalizzata all’imposizione di misure liberticide, nascoste dietro allettanti promesse di assicurare un reddito universale e di cancellare il debito dei singoli. Prezzo di queste concessioni del Fondo Monetario Internazionale dovrebbe essere la rinuncia alla proprietà privata e l’adesione ad un programma di vaccinazione Covid-19 e Covid-21 promosso da Bill Gates con la collaborazione dei principali gruppi farmaceutici. Aldilà degli enormi interessi economici che muovono i promotori del Great Reset, l’imposizione della vaccinazione si accompagnerà all’obbligo di un passaporto sanitario e di un ID digitale, con il conseguente tracciamento dei contatti di tutta la popolazione mondiale. Chi non accetterà di sottoporsi a queste misure verrà confinato in campi di detenzione o agli arresti domiciliari, e gli verranno confiscati tutti i beni.
Signor Presidente, immagino che questa notizia Le sia già nota: in alcuni Paesi, il Great Reset dovrebbe essere attivato tra la fine di quest’anno e il primo trimestre del 2021. A tal scopo, sono previsti ulteriori lockdown, ufficialmente giustificati da una presunta seconda e terza ondata della pandemia. Ella sa bene quali mezzi siano stati dispiegati per seminare il panico e legittimare draconiane limitazioni delle libertà individuali, provocando ad arte una crisi economica mondiale. Questa crisi serve per rendere irreversibile, nelle intenzioni dei suoi artefici, il ricorso degli Stati al Great Reset, dando il colpo di grazia a un mondo di cui si vuole cancellare completamente l’esistenza e lo stesso ricordo. Ma questo mondo, Signor Presidente, porta con sé persone, affetti, istituzioni, fede, cultura, tradizioni, ideali: persone e valori che non agiscono come automi, che non obbediscono come macchine, perché dotate di un’anima e di un cuore, perché legate tra loro da un vincolo spirituale che trae la propria forza dall’alto, da quel Dio che i nostri avversari vogliono sfidare, come all’inizio dei tempi fece Lucifero con il suo «non serviam».
Molti – lo sappiamo bene – considerano con fastidio questo richiamo allo scontro tra Bene e Male, l’uso di toni “apocalittici”, che secondo loro esasperano gli animi e acuiscono le divisioni. Non c’è da stupirsi che il nemico si senta scoperto proprio quando crede di aver raggiunto indisturbato la cittadella da espugnare. C’è da stupirsi invece che non vi sia nessuno a lanciare l’allarme. La reazione del deep state a chi denuncia il suo piano è scomposta e incoerente, ma comprensibile. Proprio quando la complicità dei media mainstream era riuscita a rendere quasi indolore e inosservato il passaggio al Nuovo Ordine Mondiale, vengono alla luce inganni, scandali e crimini.
Fino a qualche mese fa, sminuire come «complottisti» coloro che denunciavano quei piani terribili, che ora vediamo compiersi fin nei minimi dettagli, era cosa facile. Nessuno, fino allo scorso febbraio, avrebbe mai pensato che si sarebbe giunti, in tutte le nostre città, ad arrestare i cittadini per il solo fatto di voler camminare per strada, di respirare, di voler tenere aperto il proprio negozio, di andare a Messa la domenica. Eppure avviene in tutto il mondo, anche in quell’Italia da cartolina che molti Americani considerano come un piccolo paese incantato, con i suoi antichi monumenti, le sue chiese, le sue incantevoli città, i suoi caratteristici villaggi. E mentre i politici se ne stanno asserragliati nei loro palazzi a promulgare decreti come dei satrapi persiani, le attività falliscono, chiudono i negozi, si impedisce alla popolazione di vivere, di muoversi, di lavorare, di pregare. Le disastrose conseguenze psicologiche di questa operazione si stanno già vedendo, ad iniziare dai suicidi di imprenditori disperati, e dai nostri figli, segregati dagli amici e dai compagni per seguire le lezioni davanti a un computer.
Nella Sacra Scrittura, San Paolo ci parla di «colui che si oppone» alla manifestazione del mistero dell’iniquità, il kathèkon (2Tess 2, 6-7). In ambito religioso, questo ostacolo è la Chiesa e in particolare il Papato; in ambito politico, è chi impedisce l’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale.
Come ormai è evidente, colui che occupa la Sede di Pietro, fin dall’inizio ha tradito il proprio ruolo, per difendere e promuovere l’ideologia globalista, assecondando l’agenda della deep church, che lo ha scelto dal suo gremio.
Signor Presidente, Ella ha chiaramente affermato di voler difendere la Nazione – One Nation under God, le libertà fondamentali, i valori non negoziabili oggi negati e combattuti. È Lei, Caro Presidente, «colui che si oppone» al deep state, all’assalto finale dei figli delle tenebre.
Per questo occorre che tutte le persone di buona volontà si persuadano dell’importanza epocale delle imminenti elezioni: non tanto per questo o quel punto del programma politico, quanto piuttosto perché è l’ispirazione generale della Sua azione che meglio incarna – in questo particolare contesto storico – quel mondo, quel nostro mondo, che si vorrebbe cancellare a colpi di lockdown. Il Suo avversario è anche il nostro: è il Nemico del genere umano, colui che è «omicida sin dal principio» (Gv 8, 44).
Attorno a Lei si riuniscono con fiducia e coraggio coloro che La considerano l’ultimo presidio contro la dittatura mondiale. L’alternativa è votare un personaggio manovrato dal deep state, gravemente compromesso in scandali e corruzione, che farà agli Stati Uniti ciò che Jorge Mario Bergoglio sta facendo alla Chiesa, il Primo Ministro Conte all’Italia, il Presidente Macron alla Francia, il Primo Ministro Sanchez alla Spagna, e via dicendo. La ricattabilità di Joe Biden – al pari di quella dei Prelati del “cerchio magico” vaticano – consentirà di usarlo spregiudicatamente, consentendo a poteri illegittimi di interferire nella politica interna e negli equilibri internazionali. È evidente che chi lo manovra ha già pronto uno peggiore di lui con cui sostituirlo non appena se ne presenterà l’occasione.
Eppure, in questo quadro desolante, in questa avanzata apparentemente inesorabile del «Nemico invisibile», emerge un elemento di speranza. L’avversario non sa amare, e non comprende che non basta assicurare un reddito universale o cancellare i mutui per soggiogare le masse e convincerle a farsi marchiare come capi di bestiame. Questo popolo, che per troppo tempo ha sopportato i soprusi di un potere odioso e tirannico, sta riscoprendo di avere un’anima; sta comprendendo di non esser disposto a barattare la propria libertà con l’omologazione e la cancellazione della propria identità; sta iniziando a capire il valore dei legami familiari e sociali, dei vincoli di fede e di cultura che uniscono le persone oneste. Questo Great Reset è destinato a fallire perché chi lo ha pianificato non capisce che ci sono persone ancora disposte a scendere nelle strade per difendere i propri diritti, per proteggere i propri cari, per dare un futuro ai propri figli. L’inumanità livellatrice del progetto mondialista si infrangerà miseramente dinanzi all’opposizione ferma e coraggiosa dei figli della Luce. Il nemico ha dalla sua parte Satana, che non sa che odiare. Noi abbiamo dalla nostra parte il Signore Onnipotente, il Dio degli eserciti schierati in battaglia, e la Santissima Vergine, che schiaccerà il capo dell’antico Serpente. «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8, 31).
Signor Presidente, Ella sa bene quanto gli Stati Uniti d’America, in quest’ora cruciale, siano considerati l’antemurale contro cui si è scatenata la guerra dichiarata dai fautori del globalismo. Riponga la Sua fiducia nel Signore, forte delle parole dell’Apostolo: «Posso tutto in Colui che mi dà forza» (Fil 4, 13). Essere strumento della divina Provvidenza è una grande responsabilità, alla quale corrisponderanno certamente le grazie di stato necessarie, ardentemente implorate dai tanti che La sostengono con le loro preghiere.
Con questo celeste auspicio e l’assicurazione della mia preghiera per Lei, per la First Lady, e per i Suoi collaboratori, di tutto cuore Le giunga la mia Benedizione.
God bless the United States of America!
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo Titolare di Ulpiana
già Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America
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Crediamo che possa indurre ad una giusta riflessione tutti coloro che definiscono complottisti chi matura un pensiero diverso da quello dei più. Probabilmente sarà un complottista anche l'Arcivescovo Carlo Maria Viganò!? Beh, a questo punto ci si può domandare, se può essere lui, un complottista, perché non possono esserlo gli altri ?
LETTERA APERTA
al Presidente degli Stati Uniti d’America
Donald J. Trump
Domenica 25 Ottobre 2020
Solennità di Cristo Re
Signor Presidente,
mi consenta di rivolgermi a Lei, in quest’ora in cui le sorti del mondo intero sono minacciate da una cospirazione globale contro Dio e contro l’umanità. Le scrivo come Arcivescovo, come Successore degli Apostoli, come ex-Nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America. Le scrivo nel silenzio delle autorità civili e religiose: voglia accogliere queste mie parole come la «voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1, 23).
Come ho avuto modo di scriverLe nella mia Lettera dello scorso Giugno, questo momento storico vede schierate le forze del Male in una battaglia senza quartiere contro le forze del Bene; forze del Male che sembrano potenti e organizzate dinanzi ai figli della Luce, disorientati e disorganizzati, abbandonati dai loro capi temporali e spirituali.
Sentiamo moltiplicarsi gli attacchi di chi vuole demolire le basi stesse della società: la famiglia naturale, il rispetto per la vita umana, l’amore per la Patria, la libertà di educazione e di impresa. Vediamo i capi delle Nazioni e i leader religiosi assecondare questo suicidio della cultura occidentale e della sua anima cristiana, mentre ai cittadini e ai credenti sono negati i diritti fondamentali, in nome di un’emergenza sanitaria che sempre più si rivela come strumentale all’instaurazione di una disumana tirannide senza volto.
Un piano globale, denominato Great Reset, è in via di realizzazione. Ne è artefice un’élite che vuole sottomettere l’umanità intera, imponendo misure coercitive con cui limitare drasticamente le libertà delle persone e dei popoli. In alcune nazioni questo progetto è già stato approvato e finanziato; in altre è ancora in uno stadio iniziale. Dietro i leader mondiali, complici ed esecutori di questo progetto infernale, si celano personaggi senza scrupoli che finanziano il World Economic Forum e l’Event 201, promuovendone l’agenda.
Scopo del Great Reset è l’imposizione di una dittatura sanitaria finalizzata all’imposizione di misure liberticide, nascoste dietro allettanti promesse di assicurare un reddito universale e di cancellare il debito dei singoli. Prezzo di queste concessioni del Fondo Monetario Internazionale dovrebbe essere la rinuncia alla proprietà privata e l’adesione ad un programma di vaccinazione Covid-19 e Covid-21 promosso da Bill Gates con la collaborazione dei principali gruppi farmaceutici. Aldilà degli enormi interessi economici che muovono i promotori del Great Reset, l’imposizione della vaccinazione si accompagnerà all’obbligo di un passaporto sanitario e di un ID digitale, con il conseguente tracciamento dei contatti di tutta la popolazione mondiale. Chi non accetterà di sottoporsi a queste misure verrà confinato in campi di detenzione o agli arresti domiciliari, e gli verranno confiscati tutti i beni.
Signor Presidente, immagino che questa notizia Le sia già nota: in alcuni Paesi, il Great Reset dovrebbe essere attivato tra la fine di quest’anno e il primo trimestre del 2021. A tal scopo, sono previsti ulteriori lockdown, ufficialmente giustificati da una presunta seconda e terza ondata della pandemia. Ella sa bene quali mezzi siano stati dispiegati per seminare il panico e legittimare draconiane limitazioni delle libertà individuali, provocando ad arte una crisi economica mondiale. Questa crisi serve per rendere irreversibile, nelle intenzioni dei suoi artefici, il ricorso degli Stati al Great Reset, dando il colpo di grazia a un mondo di cui si vuole cancellare completamente l’esistenza e lo stesso ricordo. Ma questo mondo, Signor Presidente, porta con sé persone, affetti, istituzioni, fede, cultura, tradizioni, ideali: persone e valori che non agiscono come automi, che non obbediscono come macchine, perché dotate di un’anima e di un cuore, perché legate tra loro da un vincolo spirituale che trae la propria forza dall’alto, da quel Dio che i nostri avversari vogliono sfidare, come all’inizio dei tempi fece Lucifero con il suo «non serviam».
Molti – lo sappiamo bene – considerano con fastidio questo richiamo allo scontro tra Bene e Male, l’uso di toni “apocalittici”, che secondo loro esasperano gli animi e acuiscono le divisioni. Non c’è da stupirsi che il nemico si senta scoperto proprio quando crede di aver raggiunto indisturbato la cittadella da espugnare. C’è da stupirsi invece che non vi sia nessuno a lanciare l’allarme. La reazione del deep state a chi denuncia il suo piano è scomposta e incoerente, ma comprensibile. Proprio quando la complicità dei media mainstream era riuscita a rendere quasi indolore e inosservato il passaggio al Nuovo Ordine Mondiale, vengono alla luce inganni, scandali e crimini.
Fino a qualche mese fa, sminuire come «complottisti» coloro che denunciavano quei piani terribili, che ora vediamo compiersi fin nei minimi dettagli, era cosa facile. Nessuno, fino allo scorso febbraio, avrebbe mai pensato che si sarebbe giunti, in tutte le nostre città, ad arrestare i cittadini per il solo fatto di voler camminare per strada, di respirare, di voler tenere aperto il proprio negozio, di andare a Messa la domenica. Eppure avviene in tutto il mondo, anche in quell’Italia da cartolina che molti Americani considerano come un piccolo paese incantato, con i suoi antichi monumenti, le sue chiese, le sue incantevoli città, i suoi caratteristici villaggi. E mentre i politici se ne stanno asserragliati nei loro palazzi a promulgare decreti come dei satrapi persiani, le attività falliscono, chiudono i negozi, si impedisce alla popolazione di vivere, di muoversi, di lavorare, di pregare. Le disastrose conseguenze psicologiche di questa operazione si stanno già vedendo, ad iniziare dai suicidi di imprenditori disperati, e dai nostri figli, segregati dagli amici e dai compagni per seguire le lezioni davanti a un computer.
Nella Sacra Scrittura, San Paolo ci parla di «colui che si oppone» alla manifestazione del mistero dell’iniquità, il kathèkon (2Tess 2, 6-7). In ambito religioso, questo ostacolo è la Chiesa e in particolare il Papato; in ambito politico, è chi impedisce l’instaurazione del Nuovo Ordine Mondiale.
Come ormai è evidente, colui che occupa la Sede di Pietro, fin dall’inizio ha tradito il proprio ruolo, per difendere e promuovere l’ideologia globalista, assecondando l’agenda della deep church, che lo ha scelto dal suo gremio.
Signor Presidente, Ella ha chiaramente affermato di voler difendere la Nazione – One Nation under God, le libertà fondamentali, i valori non negoziabili oggi negati e combattuti. È Lei, Caro Presidente, «colui che si oppone» al deep state, all’assalto finale dei figli delle tenebre.
Per questo occorre che tutte le persone di buona volontà si persuadano dell’importanza epocale delle imminenti elezioni: non tanto per questo o quel punto del programma politico, quanto piuttosto perché è l’ispirazione generale della Sua azione che meglio incarna – in questo particolare contesto storico – quel mondo, quel nostro mondo, che si vorrebbe cancellare a colpi di lockdown. Il Suo avversario è anche il nostro: è il Nemico del genere umano, colui che è «omicida sin dal principio» (Gv 8, 44).
Attorno a Lei si riuniscono con fiducia e coraggio coloro che La considerano l’ultimo presidio contro la dittatura mondiale. L’alternativa è votare un personaggio manovrato dal deep state, gravemente compromesso in scandali e corruzione, che farà agli Stati Uniti ciò che Jorge Mario Bergoglio sta facendo alla Chiesa, il Primo Ministro Conte all’Italia, il Presidente Macron alla Francia, il Primo Ministro Sanchez alla Spagna, e via dicendo. La ricattabilità di Joe Biden – al pari di quella dei Prelati del “cerchio magico” vaticano – consentirà di usarlo spregiudicatamente, consentendo a poteri illegittimi di interferire nella politica interna e negli equilibri internazionali. È evidente che chi lo manovra ha già pronto uno peggiore di lui con cui sostituirlo non appena se ne presenterà l’occasione.
Eppure, in questo quadro desolante, in questa avanzata apparentemente inesorabile del «Nemico invisibile», emerge un elemento di speranza. L’avversario non sa amare, e non comprende che non basta assicurare un reddito universale o cancellare i mutui per soggiogare le masse e convincerle a farsi marchiare come capi di bestiame. Questo popolo, che per troppo tempo ha sopportato i soprusi di un potere odioso e tirannico, sta riscoprendo di avere un’anima; sta comprendendo di non esser disposto a barattare la propria libertà con l’omologazione e la cancellazione della propria identità; sta iniziando a capire il valore dei legami familiari e sociali, dei vincoli di fede e di cultura che uniscono le persone oneste. Questo Great Reset è destinato a fallire perché chi lo ha pianificato non capisce che ci sono persone ancora disposte a scendere nelle strade per difendere i propri diritti, per proteggere i propri cari, per dare un futuro ai propri figli. L’inumanità livellatrice del progetto mondialista si infrangerà miseramente dinanzi all’opposizione ferma e coraggiosa dei figli della Luce. Il nemico ha dalla sua parte Satana, che non sa che odiare. Noi abbiamo dalla nostra parte il Signore Onnipotente, il Dio degli eserciti schierati in battaglia, e la Santissima Vergine, che schiaccerà il capo dell’antico Serpente. «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8, 31).
Signor Presidente, Ella sa bene quanto gli Stati Uniti d’America, in quest’ora cruciale, siano considerati l’antemurale contro cui si è scatenata la guerra dichiarata dai fautori del globalismo. Riponga la Sua fiducia nel Signore, forte delle parole dell’Apostolo: «Posso tutto in Colui che mi dà forza» (Fil 4, 13). Essere strumento della divina Provvidenza è una grande responsabilità, alla quale corrisponderanno certamente le grazie di stato necessarie, ardentemente implorate dai tanti che La sostengono con le loro preghiere.
Con questo celeste auspicio e l’assicurazione della mia preghiera per Lei, per la First Lady, e per i Suoi collaboratori, di tutto cuore Le giunga la mia Benedizione.
God bless the United States of America!
+ Carlo Maria Viganò
Arcivescovo Titolare di Ulpiana
già Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America
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COVID 19 - DPCM E DUBBI DI COSTITUZIONALITA'

Data l'importanza degli argomenti di rilevanza pubblica e l'autorevolezza degli autori, ci permettiamo di editare il seguente articolo pubblicato sul sito www.questionidigiustizia.it affinché ne sia data la più ampia diffusione
I limiti costituzionali della situazione d’emergenza provocata dal Covid-19
di Gaetano Azzariti
Professore ordinario di diritto costituzionale, Università La Sapienza di Roma
Lo stato di necessità legittima gli interventi extra ordinem, limitativi delle nostre libertà costituzionali, ma la stessa base normativa e di fatto impone la loro piena riespansione appena sarà cessata, anzi solo migliorata, la situazione emergenziale
Sono legittime le misure di divieto di circolazione e riunione, nonché di svolgere attività produttiva posta in essere a seguito della emergenza sanitaria in cui versa il nostro Paese? La Costituzione prevede espressamente, all’articolo 16, che la libertà di circolazione possa essere limitata“per motivi di sanità o di sicurezza”. L’articolo 17, sulla libertà di riunione, dispone che essa possa essere vietata per “comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”. L’iniziativa economica, scrive ancora la Costituzione all’articolo 41, non può svolgersi “in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà alla dignità umana”. Infine, l’articolo 32 sulla tutela della salute non solo esplicita che questa è un “diritto fondamentale dell’individuo”, ma che costituisce anche un “interesse della collettività". Dal punto di vista della Costituzione si tratta, dunque, anzitutto di verificare se sussistono le condizioni per potere applicare i limiti e i divieti a salvaguardia del diritto fondamentale alla salute.
È da tenere presente, in proposito, che lo stato di emergenza sanitaria è stato dichiarato non solo dalle autorità italiane ma anche, e soprattutto, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Quindi stiamo parlando certamente di un rischio elevatissimo alla salute individuale e collettiva che determina uno stato d’emergenza di fatto. Situazione non paragonabile con le tante “emergenze” nazionali che, in base a discutibili valutazioni politiche, si pongono alla base di specifici indirizzi e programmi di alterne maggioranze parlamentari e di governo.
È questo stato di necessità che legittima gli interventi extra ordinem del Governo in carica, limitativi delle nostre libertà costituzionali. È però altresì evidente che questa stessa base normativa e di fatto, impone la piena riespansione di tutte le libertà che deve essere assicurata appena cessata, anzi appena migliorata, la situazione emergenziale.
Alla legittimità del fine delle azioni poste in essere che in questo caso si riscontra a livello costituzionale (ed è imposta dalla necessità della salvaguardia della salute e della vita dei concittadini) non sempre può corrispondere una legalità dei mezzi. In alcuni casi per impossibilità di fatto, in altri – assai più critici – per valutazioni di opportunità o legati alla situazione emergenziale che si è venuta a determinare.
Secondo Costituzione, in effetti, le pur legittime limitazioni alla libertà di circolazione devono essere stabilite dalla legge “in via generale”. In assenza di questa e nell’impossibilità di una approvazione immediata di una o più leggi d’emergenza approvate dal Parlamento in questa fase (in queste drammatiche ore) è il Governo a dovere intervenire con atti aventi forza di legge e che la nostra costituzione espressamente individua come gli strumenti da utilizzare in casi straordinari di necessità e d’urgenza. Subito dopo aver dichiarato lo stato di emergenza (il 31 gennaio) il Governo ha varato un decreto legge (23 febbraio 2020, n. 6 ora convertito in legge n. 13 del 5 marzo 2020) in cui ha sostanzialmente definito la cornice giuridica che ha permesso i successivi interventi adottati nei giorni successivi prevalentemente con atti del Presidente del Consiglio (Dpcm) ovvero dei singoli Ministri. Sono seguiti altri decreti legge che sono intervenuti per adottare misure di sostegno per le famiglie, i lavoratori e le imprese (dl 2 marzo 2020, n. 9); per contenere gli effetti negativi sull’attività giudiziaria (dl 8 marzo 2020, n. 11); per potenziare il Servizio Sanitario Nazionale (dl 9 marzo 20920, n. 14); per adottare altre misure al fine di potenziare il Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico (dl 17 marzo 2020, n. 18). Infine, un ultimo (per ora) decreto legge in parte sostitutivo del primo (l’unico convertito in legge) che si propone di definire in via generale le misure urgenti che possono essere adottate per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, prova a coordinare e dare ordine all’assetto normativo, nonché a stabilire i rapporti e le misure che possono essere adottati dalle autorità regionali e comunali (dl 25 marzo 2020, n. 19).
Per quanto riguarda il primo decreto legge, che, s’è detto, predispone il sistema generale di limitazione delle libertà di circolazione e soggiorno messo poi in atto (ma ora anche l’ultimo dl richiamato, il quale si propone di riordinare l’intero assetto dei provvedimenti che possono essere adottati e gli strumenti per darne attuazione), potrebbe rilevarsi la non conformità allo schema costituzionale, che individua nella legge formale del Parlamento la fonte idonea a limitare in generale la libertà di circolazione per motivi di sanità. Ma di fatto lo stato di necessità provocato dalla terribile espansione del contagio non lascia molto spazio per questi rilievi. Bene dunque ha fatto il Governo ad adottare questo strumento di normazione. D’altronde, i decreti legge sono pur sempre atti emanati da Capo dello Stato e dunque da questi controllati ex ante, inoltre essi devono essere convertiti in legge dal Parlamento che ha ex post l’ultima parola.
Diverso il discorso con riferimento agli atti successivi del Governo che hanno dato attuazione alle misure e definito i limiti alle libertà costituzionalmente tutelate. Atti che hanno assunto la veste dei Dpcm ovvero delle ordinanze del Ministero della Salute o degli Interni (oltre ad una serie di ordinanze, direttive, decreti di varie autorità: dalla protezione civile ai presidenti di regione e sindaci dei comuni italiani).
In questi casi non deve negarsi che si è operato al di fuori del costituzionalmente previsto. Contra constitutionem? Probabilmente no, perché sono tutti atti posti in essere in stato di necessità, al fine di tutelare il diritto fondamentale più rilevante che la costituzione protegge: il bene supremo della vita dei consociati. Ma se questo è il fondamento legittimante gli atti e i comportamenti del Governo attualmente in carica, che ha operato nella drammatica situazione presente, devono essere chiari anche i limiti, presenti e futuri, che devono essere rigorosamente e inderogabilmente rispettati.
Anzitutto una specifica delimitazione temporale: le limitazioni dei diritti costituzionali non potranno essere prorogati oltre lo stretto necessario, con immediato e diretto riferimento alla situazione che di fatto ha imposto le misure di sicurezza sanitaria. È per questo che tutti gli atti del governo (e delle altre autorità) devono contenere un termine a breve di scadenza. Scaduto il quale si riespande automaticamente e senza bisogno di ulteriori interventi dell’autorità la sfera piena della libertà. Ciò – è vero – può comportare, come ahimè sta avvenendo, che a termine del periodo breve fissato l’epidemia (dunque lo stato di necessità) non rallenti, ma anzi acceleri e dunque sia necessario prevedere un ulteriore intervento. È questo un costo necessario, ma che non inficia la necessità di porre un termine di scadenza dei decreti adottati assai breve, per assicurare che le misure siano prese in riferimento alla situazione concreta e solo nello spazio temporale necessario a superare l’emergenza sanitaria più acuta.
Un secondo requisito deve essere tenuto fermo se si vuole dare fondamento legittimante ai comportamenti posti in essere del Governo. Non solo si tratta di atti provvisori, ma anche di comportamenti irripetibili. La natura eccezionale ed extra ordinem di tutti i provvedimenti adottati per arginare la pandemia deve esser ribadita con forza, per evitare che qualcuno passata l’emergenza possa solo immaginare di proseguire, nella ordinaria amministrazione, ad utilizzare certe misure. Qui ed ora si tratta di contrastare un pericolo unico nel suo genere, non siamo di fronte alle nostre ordinarie emergenze, neppure a quelle ritenute politicamente più allarmanti. Queste misure non potranno costituire alcun precedente per nessun governo futuro.
A chi dovesse pensare di estendere lo stato di necessità, magari teorizzando uno “stato d’eccezione permanente”, bisogna chiarire che porrebbe in essere non tanto fatti o comportamenti incostituzionali, quanto – ancor peggio – atti eversivi della legalità costituzionale, nei confronti dei quali sarebbe legittimata la resistenza sociale. Nessuna assimilazione è pertanto possibile tra l’attuale stato di necessità e le ordinarie, logoranti crisi perpetue o le emergenze perenni cui siamo abituati in tempi “normali”. Riconoscere, limitare e circoscrivere gli stati d’eccezione serve per evitare che un futuro Governo si senta autorizzato, fosse anche con il consenso del “popolo” (che in tempi di populismo ben poco vuole dire) ovvero della stessa maggioranza parlamentare, ad utilizzare gli stessi mezzi per affrontare la crisi economica e sociale, ovvero per imporre le proprie politiche nelle materie più controverse. Soprattutto nei settori sensibili (dalla gestione dell’ordine pubblico, alle politiche sicuritarie) si dovrà vigilare perché nessuno abusi della situazione presente. Dopo la pandemia spetterà a tutti noi ricordare che la costituzione si pone a fondamento delle libertà rivendicandone il valore e l’essenza.
Da questa tragica vicenda potremmo uscire in due modi. Riscoprendo le ragioni della solidarietà e del vivere assieme: valori che in molti hanno ritenuto non più perseguibili trascinati dall’ansia di una società votata al consumo e all’individualismo proprietario. Forse la guerra (al virus) e il dolore che essa sta provocando può farci comprendere che vale la pena pensare più in grande, guardando oltre i nostri egoismi. Se il trauma di questa vicenda dovesse insegnarci a prestare maggiore attenzione alla tutela della salute, all’ambiente che ci circonda, alla necessità di garantire un servizio sanitario nazionale in grado di assicurare il diritto fondamentale alla salute e le cure a tutti non soltanto nei casi eccezionali, ma nelle emergenze di tutti i giorni, tutto ciò sarebbe sicuramente una conseguenza positiva rispetto a questa tragedia. Se invece si dovesse pensare di poter stabilizzare, in via ordinaria, una drastica riduzione della socialità, un esponenziale aumento dell’individualismo, un aggravamento della paura dell’altro e dell’ignoto, allora al rischio sanitario conseguirebbe un nefasto regresso culturale che ci allontanerebbe anni luce dalla prospettiva di libertà e di progresso garantita dalla Costituzione.
I limiti costituzionali della situazione d’emergenza provocata dal Covid-19
di Gaetano Azzariti
Professore ordinario di diritto costituzionale, Università La Sapienza di Roma
Lo stato di necessità legittima gli interventi extra ordinem, limitativi delle nostre libertà costituzionali, ma la stessa base normativa e di fatto impone la loro piena riespansione appena sarà cessata, anzi solo migliorata, la situazione emergenziale
Sono legittime le misure di divieto di circolazione e riunione, nonché di svolgere attività produttiva posta in essere a seguito della emergenza sanitaria in cui versa il nostro Paese? La Costituzione prevede espressamente, all’articolo 16, che la libertà di circolazione possa essere limitata“per motivi di sanità o di sicurezza”. L’articolo 17, sulla libertà di riunione, dispone che essa possa essere vietata per “comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”. L’iniziativa economica, scrive ancora la Costituzione all’articolo 41, non può svolgersi “in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà alla dignità umana”. Infine, l’articolo 32 sulla tutela della salute non solo esplicita che questa è un “diritto fondamentale dell’individuo”, ma che costituisce anche un “interesse della collettività". Dal punto di vista della Costituzione si tratta, dunque, anzitutto di verificare se sussistono le condizioni per potere applicare i limiti e i divieti a salvaguardia del diritto fondamentale alla salute.
È da tenere presente, in proposito, che lo stato di emergenza sanitaria è stato dichiarato non solo dalle autorità italiane ma anche, e soprattutto, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Quindi stiamo parlando certamente di un rischio elevatissimo alla salute individuale e collettiva che determina uno stato d’emergenza di fatto. Situazione non paragonabile con le tante “emergenze” nazionali che, in base a discutibili valutazioni politiche, si pongono alla base di specifici indirizzi e programmi di alterne maggioranze parlamentari e di governo.
È questo stato di necessità che legittima gli interventi extra ordinem del Governo in carica, limitativi delle nostre libertà costituzionali. È però altresì evidente che questa stessa base normativa e di fatto, impone la piena riespansione di tutte le libertà che deve essere assicurata appena cessata, anzi appena migliorata, la situazione emergenziale.
Alla legittimità del fine delle azioni poste in essere che in questo caso si riscontra a livello costituzionale (ed è imposta dalla necessità della salvaguardia della salute e della vita dei concittadini) non sempre può corrispondere una legalità dei mezzi. In alcuni casi per impossibilità di fatto, in altri – assai più critici – per valutazioni di opportunità o legati alla situazione emergenziale che si è venuta a determinare.
Secondo Costituzione, in effetti, le pur legittime limitazioni alla libertà di circolazione devono essere stabilite dalla legge “in via generale”. In assenza di questa e nell’impossibilità di una approvazione immediata di una o più leggi d’emergenza approvate dal Parlamento in questa fase (in queste drammatiche ore) è il Governo a dovere intervenire con atti aventi forza di legge e che la nostra costituzione espressamente individua come gli strumenti da utilizzare in casi straordinari di necessità e d’urgenza. Subito dopo aver dichiarato lo stato di emergenza (il 31 gennaio) il Governo ha varato un decreto legge (23 febbraio 2020, n. 6 ora convertito in legge n. 13 del 5 marzo 2020) in cui ha sostanzialmente definito la cornice giuridica che ha permesso i successivi interventi adottati nei giorni successivi prevalentemente con atti del Presidente del Consiglio (Dpcm) ovvero dei singoli Ministri. Sono seguiti altri decreti legge che sono intervenuti per adottare misure di sostegno per le famiglie, i lavoratori e le imprese (dl 2 marzo 2020, n. 9); per contenere gli effetti negativi sull’attività giudiziaria (dl 8 marzo 2020, n. 11); per potenziare il Servizio Sanitario Nazionale (dl 9 marzo 20920, n. 14); per adottare altre misure al fine di potenziare il Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico (dl 17 marzo 2020, n. 18). Infine, un ultimo (per ora) decreto legge in parte sostitutivo del primo (l’unico convertito in legge) che si propone di definire in via generale le misure urgenti che possono essere adottate per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, prova a coordinare e dare ordine all’assetto normativo, nonché a stabilire i rapporti e le misure che possono essere adottati dalle autorità regionali e comunali (dl 25 marzo 2020, n. 19).
Per quanto riguarda il primo decreto legge, che, s’è detto, predispone il sistema generale di limitazione delle libertà di circolazione e soggiorno messo poi in atto (ma ora anche l’ultimo dl richiamato, il quale si propone di riordinare l’intero assetto dei provvedimenti che possono essere adottati e gli strumenti per darne attuazione), potrebbe rilevarsi la non conformità allo schema costituzionale, che individua nella legge formale del Parlamento la fonte idonea a limitare in generale la libertà di circolazione per motivi di sanità. Ma di fatto lo stato di necessità provocato dalla terribile espansione del contagio non lascia molto spazio per questi rilievi. Bene dunque ha fatto il Governo ad adottare questo strumento di normazione. D’altronde, i decreti legge sono pur sempre atti emanati da Capo dello Stato e dunque da questi controllati ex ante, inoltre essi devono essere convertiti in legge dal Parlamento che ha ex post l’ultima parola.
Diverso il discorso con riferimento agli atti successivi del Governo che hanno dato attuazione alle misure e definito i limiti alle libertà costituzionalmente tutelate. Atti che hanno assunto la veste dei Dpcm ovvero delle ordinanze del Ministero della Salute o degli Interni (oltre ad una serie di ordinanze, direttive, decreti di varie autorità: dalla protezione civile ai presidenti di regione e sindaci dei comuni italiani).
In questi casi non deve negarsi che si è operato al di fuori del costituzionalmente previsto. Contra constitutionem? Probabilmente no, perché sono tutti atti posti in essere in stato di necessità, al fine di tutelare il diritto fondamentale più rilevante che la costituzione protegge: il bene supremo della vita dei consociati. Ma se questo è il fondamento legittimante gli atti e i comportamenti del Governo attualmente in carica, che ha operato nella drammatica situazione presente, devono essere chiari anche i limiti, presenti e futuri, che devono essere rigorosamente e inderogabilmente rispettati.
Anzitutto una specifica delimitazione temporale: le limitazioni dei diritti costituzionali non potranno essere prorogati oltre lo stretto necessario, con immediato e diretto riferimento alla situazione che di fatto ha imposto le misure di sicurezza sanitaria. È per questo che tutti gli atti del governo (e delle altre autorità) devono contenere un termine a breve di scadenza. Scaduto il quale si riespande automaticamente e senza bisogno di ulteriori interventi dell’autorità la sfera piena della libertà. Ciò – è vero – può comportare, come ahimè sta avvenendo, che a termine del periodo breve fissato l’epidemia (dunque lo stato di necessità) non rallenti, ma anzi acceleri e dunque sia necessario prevedere un ulteriore intervento. È questo un costo necessario, ma che non inficia la necessità di porre un termine di scadenza dei decreti adottati assai breve, per assicurare che le misure siano prese in riferimento alla situazione concreta e solo nello spazio temporale necessario a superare l’emergenza sanitaria più acuta.
Un secondo requisito deve essere tenuto fermo se si vuole dare fondamento legittimante ai comportamenti posti in essere del Governo. Non solo si tratta di atti provvisori, ma anche di comportamenti irripetibili. La natura eccezionale ed extra ordinem di tutti i provvedimenti adottati per arginare la pandemia deve esser ribadita con forza, per evitare che qualcuno passata l’emergenza possa solo immaginare di proseguire, nella ordinaria amministrazione, ad utilizzare certe misure. Qui ed ora si tratta di contrastare un pericolo unico nel suo genere, non siamo di fronte alle nostre ordinarie emergenze, neppure a quelle ritenute politicamente più allarmanti. Queste misure non potranno costituire alcun precedente per nessun governo futuro.
A chi dovesse pensare di estendere lo stato di necessità, magari teorizzando uno “stato d’eccezione permanente”, bisogna chiarire che porrebbe in essere non tanto fatti o comportamenti incostituzionali, quanto – ancor peggio – atti eversivi della legalità costituzionale, nei confronti dei quali sarebbe legittimata la resistenza sociale. Nessuna assimilazione è pertanto possibile tra l’attuale stato di necessità e le ordinarie, logoranti crisi perpetue o le emergenze perenni cui siamo abituati in tempi “normali”. Riconoscere, limitare e circoscrivere gli stati d’eccezione serve per evitare che un futuro Governo si senta autorizzato, fosse anche con il consenso del “popolo” (che in tempi di populismo ben poco vuole dire) ovvero della stessa maggioranza parlamentare, ad utilizzare gli stessi mezzi per affrontare la crisi economica e sociale, ovvero per imporre le proprie politiche nelle materie più controverse. Soprattutto nei settori sensibili (dalla gestione dell’ordine pubblico, alle politiche sicuritarie) si dovrà vigilare perché nessuno abusi della situazione presente. Dopo la pandemia spetterà a tutti noi ricordare che la costituzione si pone a fondamento delle libertà rivendicandone il valore e l’essenza.
Da questa tragica vicenda potremmo uscire in due modi. Riscoprendo le ragioni della solidarietà e del vivere assieme: valori che in molti hanno ritenuto non più perseguibili trascinati dall’ansia di una società votata al consumo e all’individualismo proprietario. Forse la guerra (al virus) e il dolore che essa sta provocando può farci comprendere che vale la pena pensare più in grande, guardando oltre i nostri egoismi. Se il trauma di questa vicenda dovesse insegnarci a prestare maggiore attenzione alla tutela della salute, all’ambiente che ci circonda, alla necessità di garantire un servizio sanitario nazionale in grado di assicurare il diritto fondamentale alla salute e le cure a tutti non soltanto nei casi eccezionali, ma nelle emergenze di tutti i giorni, tutto ciò sarebbe sicuramente una conseguenza positiva rispetto a questa tragedia. Se invece si dovesse pensare di poter stabilizzare, in via ordinaria, una drastica riduzione della socialità, un esponenziale aumento dell’individualismo, un aggravamento della paura dell’altro e dell’ignoto, allora al rischio sanitario conseguirebbe un nefasto regresso culturale che ci allontanerebbe anni luce dalla prospettiva di libertà e di progresso garantita dalla Costituzione.
GEOPOLITICA E DINAMICHE INTERNAZIONALI.
Ringraziamo il sito "Rete Voltaire" per la disponibilità di concedere la pubblicazione dell'articolo, solo ad organizzazioni non a scopo di lucro.
Pubblichiamo di seguito un articolo di geopolitica, che non necessariamente riproduce la nostra visione delle cose trattate, ma offre comunque spunti di comune interesse in un indubbio momento di passaggio nelle dinamiche internazionali.
Guerra economica o “guerra assoluta”?di Jean-Claude PayePartendo dalla Strategia per la Sicurezza Nazionale di Donald Trump, Jean-Claude Paye riprende il collegamento tra politica economica e politica militare della Casa Bianca. Paye analizza il contrasto tra due paradigmi economici che promuovono, l’uno, la mondializzazione del capitale (sostenuto dal partito Democratico), l’altro l’industrializzazione (sostenuto da Trump e da parte del partito Repubblicano). Mentre il primo induce a eliminare ogni ostacolo con la guerra, il secondo utilizza la minaccia della guerra per riequilibrare gli scambi in un’ottica nazionale.
Rete Voltaire | Bruxelles (Belgio) | 8 giugno 2018
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Nel 2001, adducendo come pretesto la risposta agli attentati dell’11 settembre, il presidente George W. Bush lancia una “lunga guerra” contro il “Medio Oriente Allargato”. Una guerra che, 17 anni dopo, in Siria e nello Yemen non è ancora terminata. Il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, teorizza il concetto di guerra totale, in particolare abolendo il la distinzione tra “civili” e “militari”.
Nel testo precedente USA: imperialismo contro ultra-imperialismo [1] abbiamo sostenuto che, deindustrializzando il Paese, l’ultra-imperialismo statunitense ha indebolito la potenza degli Stati Uniti come nazione. Il progetto di partenza dell’amministrazione Trump era procedere a una ricostruzione economica su base protezionistica. Due campi si stanno fronteggiando: l’uno, fautore di una rinascita economica degli USA, l’altro che auspica una conflittualità militare sempre più dichiarata. Opzione, quest’ultima, che sembra essere portata avanti principalmente dal partito Democratico. La lotta tra i Democratici e la maggioranza dei Repubblicani può così essere letta come conflitto tra due tendenze del capitalismo statunitense, una fautrice della mondializzazione del capitale, l’altra che spinge per il rilancio dello sviluppo industriale di un Paese economicamente in declino.
Quindi, il ripristino di competitività dell’economia statunitense è, per la presidenza Trump, obiettivo prioritario. La volontà della sua amministrazione di mettere in atto un nuovo protezionismo deve essere interpretata come un atto politico, uno strappo nel processo di mondializzazione del capitale, ossia una decisione eccezionale, nel senso sviluppato da Carl Schmitt: « sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione» [2]. La decisione di Trump appare come tentativo di rottura rispetto alla regola della trans-nazionalizzazione del capitare, come atto di ripristino della sovranità nazionale USA dinnanzi alla struttura imperiale organizzata attorno agli Stati Uniti.
Il ritorno alla politicaIl tentativo dell’amministrazione Trump si pone come un’eccezione di fronte alla mondializzazione del capitalismo. Si manifesta come un tentativo di ristabilire il primato della politica, a seguito del dato di fatto che gli Stati Uniti non sono più la super-potenza economica e militare i cui interessi si confondono con l’internazionalizzazione del capitale.
Il ritorno alla politica si traduce innanzitutto con la volontà di attuare una politica economica nazionale, di rinforzare l’attività in territorio USA grazie a una riforma fiscale destinata a ristabilire i termini di scambio tra gli Stati Uniti e i concorrenti. Attualmente, questi termini sono nettamente deteriorati a discapito degli Stati Uniti: il deficit commerciale globale degli Stati Uniti è peggiorato nel 2017 del 12,1% e ammonta a 566 miliardi di dollari. Sottraendo l’eccedenza nei servizi e limitandosi unicamente agli scambi di beni, il saldo negativo sale addirittura a 796,1 miliardi di dollari. Ovviamente, il deficit più imponente è con la Cina: nel 2017 ha raggiunto il record di 375,2 miliardi di dollari per i soli beni [3].
La lotta al deficit del commercio estero permane centrale nella politica economica dell’amministrazione USA. Privata dal parlamento della riforma economica fondamentale – il Border Adjusment Tax [4], destinato a promuovere il rilancio economico grazie a una politica protezionistica – l’amministrazione Trump tenta di riequilibrare gli scambi caso per caso, con azioni bilaterali, esercitando pressioni sui partner economici, soprattutto sulla Cina, per indurli a diminuire le esportazioni verso gli Stati Uniti e aumentare le importazioni dagli Stati Uniti. Importanti negoziati si sono da poco conclusi. Il 20 maggio Washington e Pechino hanno annunciato un accordo per ridurre significativamente il deficit commerciale USA negli scambi con la Cina [5]. L’amministrazione Trump pretendeva una riduzione di 200 miliardi di dollari dell’eccedenza commerciale cinese e una forte riduzione dei dazi. Trump ha minacciato di imporre dazi per 150 miliardi di dollari sulle importazioni di prodotti cinesi, e, per ritorsione, la Cina ha annunciato di voler prendere di mira le esportazioni USA, soprattutto soia e aereonautica.
Contrasto strategico tra Democratici e RepubblicaniIl contrasto tra la maggioranza del Partito Repubblicano e i Democratici poggia, complessivamente, sull’antagonismo di due visioni strategiche, a livello economico e a livello militare, due aspetti intimamente collegati.
Per l’amministrazione Trump il risanamento dell’economia è basilare. La questione militare si pone come sostegno a una politica economica protezionistica, come momento tattico della strategia di sviluppo economico. Questa tattica consiste nell’incrementare conflitti locali, destinati a frenare lo sviluppo di nazioni concorrenti e a sabotare progetti globali che si contrappongono alla struttura imperiale degli Stati Uniti, come, per esempio, la Nuova Via della Seta – una serie di “corridoi” ferroviari e marittimi per collegare la Cina all’Europa, aggregandovi la Russia. I livelli economico e militare sono strettamente collegati, ma, contrariamente alla posizione dei Democratici, permangono distinti. La finalità economica non viene confusa con i mezzi militari messi in atto. La riorganizzazione dell’economia nazionale è condizione che permette di evitare o, perlomeno, di posporre un conflitto globale. La possibilità di una guerra totale diviene mezzo di pressione per imporre nuove condizioni nei termini di scambio con i partner economici. L’alternativa offerta ai concorrenti è la scelta tra il consentire agli Stati Uniti la ricostituzione delle proprie capacità offensive, a livello di forze produttive, oppure l’essere rapidamente coinvolti in una guerra totale.
La distinzione tra obiettivi e mezzi, tra presente e futuro, non appartiene più al modo di operare dei democratici. I momenti strategici e tattici si confondono. La soppressione di questi due aspetti è caratteristica dello schema della “guerra assoluta”, di una guerra sbarazzata di ogni controllo politico, che obbedisce unicamente alle proprie leggi, quelle dell’”ascesa fino ai limiti estremi”.
Il 18 febbraio 1943, al Palazzo dello Sport di Berlino, Joseph Goebbels proclama la «guerra totale». Di fronte ai rovesci militari (la disfatta di Stalingrado), tutte le forze della nazione tedesca, senza eccezioni, devono essere messe in gioco per vincere il bolscevismo, veicolo della dittatura ebrea.
Verso una guerra “assoluta”?Conseguenza della facoltà del Partito Democratico di bloccare il rilancio interno è che, se gli Stati Uniti rinunciano a svilupparsi economicamente, l’unico obiettivo che rimane loro è impedire ai concorrenti e agli avversari, con ogni mezzo, compresa la guerra, di farlo. Tuttavia, lo scenario non è più quello dell’èra Bush o dell’èra Obama, di guerre limitate, di aggressione a medie potenze già indebolite, come l’Iraq, bensì quello della “guerra totale” – secondo il concetto del teorico tedesco Carl Schmitt – ossia di un conflitto che richiede la mobilitazione completa delle risorse economiche e sociali del Paese, come furono quelli del 14-18 e del 40-45.
La guerra totale può però acquisire, a causa dell’esistenza dell’arma nucleare, una nuova dimensione, quella della nozione, sviluppata da Clausewitz, di «guerra assoluta».
Secondo Clausewitz, la «guerra assoluta» è la guerra conforme al proprio concetto, è volontà astratta di distruggere il nemico. La «guerra reale» [6], invece, è lotta nella sua attuazione concreta, impiego limitato di violenza. Clausewitz contrapponeva le due nozioni, perché «l’ascesa fino ai limiti estremi», caratteristica della guerra assoluta, non poteva che essere un’idea astratta, riferimento per valutare le guerre concrete. Nel quadro di un conflitto nucleare, la guerra reale diventa invece conforme al concetto di guerra. La guerra assoluta perde lo status di astrazione normativa per trasformarsi in un reale concreto.
Così, come categoria di una società capitalista sviluppata, l’astrazione della guerra assoluta funziona in concreto, si trasforma in un’«astrazione reale» [7], ossia in un’astrazione che non rientra più soltanto nel campo del processo di pensiero, bensì risulta anche dal processo reale della società capitalista [8].
La “guerra assoluta” come “astrazione reale”Secondo il concetto espresso dal fenomenologo italiano Enzo Paci, «la caratteristica fondamentale del capitalismo … risiede nella tendenza a far esistere categorie astratte come categorie concrete» [9]. Già nel 1857 Marx nei Gundrisse (Fondamentali) scriveva che «le astrazioni, le più generali, nascono appieno solo con lo sviluppo concreto più ricco…».
Questo processo di astrazione dal reale non esiste soltanto tramite le categorie della «critica dell’economia politica», quali quelle sviluppate da Marx, come il «lavoro astratto», ma riguarda l’insieme dell’evoluzione della società capitalista. Così la nozione di “guerra assoluta” abbandona, attraverso i rapporti politici e sociali contemporanei, il terreno esclusivo dell’astrazione di pensiero per diventare anche una categoria che acquisisce esistenza reale. Essa non riveste più unicamente la funzione di orizzonte teorico, di «concreto di pensiero», ma diviene un reale concreto. La guerra assoluta cessa così di essere un semplice orizzonte teorico, un limite concettuale, per diventare un modo di esistenza, una forma possibile, effettiva di ostilità tra le nazioni.
Già in un articolo del 1937, Nemico totale, guerra totale, Stato totale [10], Carl Schmitt suggerisce che i progressi tecnici e politici contemporanei concretizzano un’identità tra la realtà della guerra e l’idea stessa dell’ostilità. Quest’identificazione conduce a un aumento degli antagonismi e culmina nella «ascesa fino all’estremo» della violenza. Equivale a dire implicitamente che la «guerra reale» diviene conforme al proprio concetto, che la «guerra assoluta» perde lo status di astrazione normativa per realizzarsi in «guerra totale».
Allora, il rapporto guerra-politica si rovescia, la guerra non è più il concetto sviluppato da Clausewitz per caratterizzare la propria epoca storica, ossia la forma più alta della politica e il suo compimento momentaneo. La guerra totale, diventando guerra assoluta, sfugge al calcolo politico e al controllo dello Stato. Non è sottoposta ad altro che alla propria logica, «non obbedisce che alla propria grammatica», quella dell’ascesa fino agli estremi [11]. Così, una volta scatenata, la guerra totale si sottrae al congegno di sicurezza rappresentata dalla decisione politica, allo stesso modo in cui la mondializzazione del capitale sfugge al controllo dello Stato nazionale, delle organizzazioni sovranazionali e, più in generale, a ogni forma di regolamentazione.
Per Donald Trump, le forze armate non servono più a distruggere gli Stati che non partecipano alla mondializzazione del capitale, per scelta o per necessità, ma per minacciare qualunque potenza voglia frenare la reindustrializzazione degli Stati Uniti.
Dalla “guerra al terrorismo” alla “guerra assoluta”?Il 19 gennaio 2018, parlando all’Università Johns Hopkins nel Maryland, il segretario della Difesa del governo Trump, James Mattis, ha svelato la nuova strategia di difesa nazionale, poggiata sull’eventualità di uno scontro militare diretto tra Stati Uniti, Russia e Cina [12]. Nel suo discorso, Mattis ha precisato che si tratta di un cambiamento storico, rispetto alla strategia perseguita negli ultimi due decenni: quella della guerra al terrorismo. Mattis ha così precisato: «È la concorrenza tra le grandi potenze – e non il terrorismo – che ora è l’obiettivo prioritario per la sicurezza nazionale americana».
Un documento declassificato di 11 pagine, che descrive in termini generali la Strategia della Difesa Nazionale [13], è stato consegnato alla stampa. Una versione confidenziale più lunga, con le proposte dettagliate del Pentagono per un aumento massiccio delle spese militari, è stata sottoposta all’esame del Congresso [14]. La Casa Bianca chiede un aumento di 54 miliardi di dollari del budget militare, giustificandolo con il fatto che «oggi stiamo uscendo da un periodo di atrofia strategica, consapevoli che il nostro vantaggio militare competitivo si è eroso» [15]. Il documento prosegue: «La potenza militare – la modernizzazione della forza d’urto nucleare – implica un incremento di opzioni suscettibili di contrastare le strategie coercitive dei concorrenti, fondate sulla minaccia di ricorrere ad attacchi strategici nucleari e non-nucleari».
Per l’amministrazione Trump, il dopo-Guerra Fredda è terminato. Il periodo in cui gli Stati Uniti potevano dispiegare la propria forza militare quando volevano, intervenendo a loro piacimento, non è più di attualità. «Oggi, tutti i domini sono oggetto di contesa, l’aria, la terra, il mare, lo spazio e il cyber-spazio» [16].
“Guerra assoluta” o guerra economicaLa possibilità di una guerra degli Stati Uniti contro Russia e Cina, ossia lo scoppio di una guerra assoluta, fa parte delle ipotesi strategiche, sia dell’amministrazione Usa, sia degli analisti russi e cinesi. Questa facoltà appare come il filo conduttore che sottende e rende comprensibile la politica estera e le operazioni militari di questi Paesi, per esempio, l’estrema prudenza della Russia nelle reazioni alle provocazioni degli Stati Uniti in Siria, indugi che non possono essere dovuti a indecisione o rinuncia. La difficoltà della posizione russa non deriva dalle divisioni interne, dal rapporto di forza tra le tendenze mondialiste e nazionaliste, bensì dalle divisioni interne statunitensi, che oscillano tra guerra economica e guerra nucleare. L’articolazione tra minacce militari e nuovi negoziati economici sono proprio due aspetti della nuova “politica di difesa” USA.
Elbrige Colby, assistente del segretario della Difesa, ha tuttavia affermato che, malgrado il discorso di Mattis ponga chiaramente l’accento sulla rivalità con Cina e Russia, l’amministrazione Trump vuole «proseguire nella ricerca di ambiti di cooperazione con queste nazioni». Colby ha così affermato: «Non si tratta di un confronto, bensì di un modo di procedere strategico, di prendere atto della realtà competitiva e del fatto importante che “ buoni steccati fanno buoni vicini”» [17].
Questa politica, perseguendo il ristabilimento delle frontiere, si oppone frontalmente alla visione imperialista USA. Quest’ultima mette di fronte a un’alternativa, ben riassunta dal Washington Post: la persistenza di un Impero statunitense «garante della pace mondiale» oppure la guerra totale. Questa visione si oppone al ristabilimento di egemonie regionali, ossia di un mondo multipolare il cui risultato, secondo il Washington Post, «sarebbe la futura guerra mondiale» [18].
Jean-Claude PayeTraduzione
Rachele Marmetti
Il Cronista
Pubblichiamo di seguito un articolo di geopolitica, che non necessariamente riproduce la nostra visione delle cose trattate, ma offre comunque spunti di comune interesse in un indubbio momento di passaggio nelle dinamiche internazionali.
Guerra economica o “guerra assoluta”?di Jean-Claude PayePartendo dalla Strategia per la Sicurezza Nazionale di Donald Trump, Jean-Claude Paye riprende il collegamento tra politica economica e politica militare della Casa Bianca. Paye analizza il contrasto tra due paradigmi economici che promuovono, l’uno, la mondializzazione del capitale (sostenuto dal partito Democratico), l’altro l’industrializzazione (sostenuto da Trump e da parte del partito Repubblicano). Mentre il primo induce a eliminare ogni ostacolo con la guerra, il secondo utilizza la minaccia della guerra per riequilibrare gli scambi in un’ottica nazionale.
Rete Voltaire | Bruxelles (Belgio) | 8 giugno 2018
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Nel 2001, adducendo come pretesto la risposta agli attentati dell’11 settembre, il presidente George W. Bush lancia una “lunga guerra” contro il “Medio Oriente Allargato”. Una guerra che, 17 anni dopo, in Siria e nello Yemen non è ancora terminata. Il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, teorizza il concetto di guerra totale, in particolare abolendo il la distinzione tra “civili” e “militari”.
Nel testo precedente USA: imperialismo contro ultra-imperialismo [1] abbiamo sostenuto che, deindustrializzando il Paese, l’ultra-imperialismo statunitense ha indebolito la potenza degli Stati Uniti come nazione. Il progetto di partenza dell’amministrazione Trump era procedere a una ricostruzione economica su base protezionistica. Due campi si stanno fronteggiando: l’uno, fautore di una rinascita economica degli USA, l’altro che auspica una conflittualità militare sempre più dichiarata. Opzione, quest’ultima, che sembra essere portata avanti principalmente dal partito Democratico. La lotta tra i Democratici e la maggioranza dei Repubblicani può così essere letta come conflitto tra due tendenze del capitalismo statunitense, una fautrice della mondializzazione del capitale, l’altra che spinge per il rilancio dello sviluppo industriale di un Paese economicamente in declino.
Quindi, il ripristino di competitività dell’economia statunitense è, per la presidenza Trump, obiettivo prioritario. La volontà della sua amministrazione di mettere in atto un nuovo protezionismo deve essere interpretata come un atto politico, uno strappo nel processo di mondializzazione del capitale, ossia una decisione eccezionale, nel senso sviluppato da Carl Schmitt: « sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione» [2]. La decisione di Trump appare come tentativo di rottura rispetto alla regola della trans-nazionalizzazione del capitare, come atto di ripristino della sovranità nazionale USA dinnanzi alla struttura imperiale organizzata attorno agli Stati Uniti.
Il ritorno alla politicaIl tentativo dell’amministrazione Trump si pone come un’eccezione di fronte alla mondializzazione del capitalismo. Si manifesta come un tentativo di ristabilire il primato della politica, a seguito del dato di fatto che gli Stati Uniti non sono più la super-potenza economica e militare i cui interessi si confondono con l’internazionalizzazione del capitale.
Il ritorno alla politica si traduce innanzitutto con la volontà di attuare una politica economica nazionale, di rinforzare l’attività in territorio USA grazie a una riforma fiscale destinata a ristabilire i termini di scambio tra gli Stati Uniti e i concorrenti. Attualmente, questi termini sono nettamente deteriorati a discapito degli Stati Uniti: il deficit commerciale globale degli Stati Uniti è peggiorato nel 2017 del 12,1% e ammonta a 566 miliardi di dollari. Sottraendo l’eccedenza nei servizi e limitandosi unicamente agli scambi di beni, il saldo negativo sale addirittura a 796,1 miliardi di dollari. Ovviamente, il deficit più imponente è con la Cina: nel 2017 ha raggiunto il record di 375,2 miliardi di dollari per i soli beni [3].
La lotta al deficit del commercio estero permane centrale nella politica economica dell’amministrazione USA. Privata dal parlamento della riforma economica fondamentale – il Border Adjusment Tax [4], destinato a promuovere il rilancio economico grazie a una politica protezionistica – l’amministrazione Trump tenta di riequilibrare gli scambi caso per caso, con azioni bilaterali, esercitando pressioni sui partner economici, soprattutto sulla Cina, per indurli a diminuire le esportazioni verso gli Stati Uniti e aumentare le importazioni dagli Stati Uniti. Importanti negoziati si sono da poco conclusi. Il 20 maggio Washington e Pechino hanno annunciato un accordo per ridurre significativamente il deficit commerciale USA negli scambi con la Cina [5]. L’amministrazione Trump pretendeva una riduzione di 200 miliardi di dollari dell’eccedenza commerciale cinese e una forte riduzione dei dazi. Trump ha minacciato di imporre dazi per 150 miliardi di dollari sulle importazioni di prodotti cinesi, e, per ritorsione, la Cina ha annunciato di voler prendere di mira le esportazioni USA, soprattutto soia e aereonautica.
Contrasto strategico tra Democratici e RepubblicaniIl contrasto tra la maggioranza del Partito Repubblicano e i Democratici poggia, complessivamente, sull’antagonismo di due visioni strategiche, a livello economico e a livello militare, due aspetti intimamente collegati.
Per l’amministrazione Trump il risanamento dell’economia è basilare. La questione militare si pone come sostegno a una politica economica protezionistica, come momento tattico della strategia di sviluppo economico. Questa tattica consiste nell’incrementare conflitti locali, destinati a frenare lo sviluppo di nazioni concorrenti e a sabotare progetti globali che si contrappongono alla struttura imperiale degli Stati Uniti, come, per esempio, la Nuova Via della Seta – una serie di “corridoi” ferroviari e marittimi per collegare la Cina all’Europa, aggregandovi la Russia. I livelli economico e militare sono strettamente collegati, ma, contrariamente alla posizione dei Democratici, permangono distinti. La finalità economica non viene confusa con i mezzi militari messi in atto. La riorganizzazione dell’economia nazionale è condizione che permette di evitare o, perlomeno, di posporre un conflitto globale. La possibilità di una guerra totale diviene mezzo di pressione per imporre nuove condizioni nei termini di scambio con i partner economici. L’alternativa offerta ai concorrenti è la scelta tra il consentire agli Stati Uniti la ricostituzione delle proprie capacità offensive, a livello di forze produttive, oppure l’essere rapidamente coinvolti in una guerra totale.
La distinzione tra obiettivi e mezzi, tra presente e futuro, non appartiene più al modo di operare dei democratici. I momenti strategici e tattici si confondono. La soppressione di questi due aspetti è caratteristica dello schema della “guerra assoluta”, di una guerra sbarazzata di ogni controllo politico, che obbedisce unicamente alle proprie leggi, quelle dell’”ascesa fino ai limiti estremi”.
Il 18 febbraio 1943, al Palazzo dello Sport di Berlino, Joseph Goebbels proclama la «guerra totale». Di fronte ai rovesci militari (la disfatta di Stalingrado), tutte le forze della nazione tedesca, senza eccezioni, devono essere messe in gioco per vincere il bolscevismo, veicolo della dittatura ebrea.
Verso una guerra “assoluta”?Conseguenza della facoltà del Partito Democratico di bloccare il rilancio interno è che, se gli Stati Uniti rinunciano a svilupparsi economicamente, l’unico obiettivo che rimane loro è impedire ai concorrenti e agli avversari, con ogni mezzo, compresa la guerra, di farlo. Tuttavia, lo scenario non è più quello dell’èra Bush o dell’èra Obama, di guerre limitate, di aggressione a medie potenze già indebolite, come l’Iraq, bensì quello della “guerra totale” – secondo il concetto del teorico tedesco Carl Schmitt – ossia di un conflitto che richiede la mobilitazione completa delle risorse economiche e sociali del Paese, come furono quelli del 14-18 e del 40-45.
La guerra totale può però acquisire, a causa dell’esistenza dell’arma nucleare, una nuova dimensione, quella della nozione, sviluppata da Clausewitz, di «guerra assoluta».
Secondo Clausewitz, la «guerra assoluta» è la guerra conforme al proprio concetto, è volontà astratta di distruggere il nemico. La «guerra reale» [6], invece, è lotta nella sua attuazione concreta, impiego limitato di violenza. Clausewitz contrapponeva le due nozioni, perché «l’ascesa fino ai limiti estremi», caratteristica della guerra assoluta, non poteva che essere un’idea astratta, riferimento per valutare le guerre concrete. Nel quadro di un conflitto nucleare, la guerra reale diventa invece conforme al concetto di guerra. La guerra assoluta perde lo status di astrazione normativa per trasformarsi in un reale concreto.
Così, come categoria di una società capitalista sviluppata, l’astrazione della guerra assoluta funziona in concreto, si trasforma in un’«astrazione reale» [7], ossia in un’astrazione che non rientra più soltanto nel campo del processo di pensiero, bensì risulta anche dal processo reale della società capitalista [8].
La “guerra assoluta” come “astrazione reale”Secondo il concetto espresso dal fenomenologo italiano Enzo Paci, «la caratteristica fondamentale del capitalismo … risiede nella tendenza a far esistere categorie astratte come categorie concrete» [9]. Già nel 1857 Marx nei Gundrisse (Fondamentali) scriveva che «le astrazioni, le più generali, nascono appieno solo con lo sviluppo concreto più ricco…».
Questo processo di astrazione dal reale non esiste soltanto tramite le categorie della «critica dell’economia politica», quali quelle sviluppate da Marx, come il «lavoro astratto», ma riguarda l’insieme dell’evoluzione della società capitalista. Così la nozione di “guerra assoluta” abbandona, attraverso i rapporti politici e sociali contemporanei, il terreno esclusivo dell’astrazione di pensiero per diventare anche una categoria che acquisisce esistenza reale. Essa non riveste più unicamente la funzione di orizzonte teorico, di «concreto di pensiero», ma diviene un reale concreto. La guerra assoluta cessa così di essere un semplice orizzonte teorico, un limite concettuale, per diventare un modo di esistenza, una forma possibile, effettiva di ostilità tra le nazioni.
Già in un articolo del 1937, Nemico totale, guerra totale, Stato totale [10], Carl Schmitt suggerisce che i progressi tecnici e politici contemporanei concretizzano un’identità tra la realtà della guerra e l’idea stessa dell’ostilità. Quest’identificazione conduce a un aumento degli antagonismi e culmina nella «ascesa fino all’estremo» della violenza. Equivale a dire implicitamente che la «guerra reale» diviene conforme al proprio concetto, che la «guerra assoluta» perde lo status di astrazione normativa per realizzarsi in «guerra totale».
Allora, il rapporto guerra-politica si rovescia, la guerra non è più il concetto sviluppato da Clausewitz per caratterizzare la propria epoca storica, ossia la forma più alta della politica e il suo compimento momentaneo. La guerra totale, diventando guerra assoluta, sfugge al calcolo politico e al controllo dello Stato. Non è sottoposta ad altro che alla propria logica, «non obbedisce che alla propria grammatica», quella dell’ascesa fino agli estremi [11]. Così, una volta scatenata, la guerra totale si sottrae al congegno di sicurezza rappresentata dalla decisione politica, allo stesso modo in cui la mondializzazione del capitale sfugge al controllo dello Stato nazionale, delle organizzazioni sovranazionali e, più in generale, a ogni forma di regolamentazione.
Per Donald Trump, le forze armate non servono più a distruggere gli Stati che non partecipano alla mondializzazione del capitale, per scelta o per necessità, ma per minacciare qualunque potenza voglia frenare la reindustrializzazione degli Stati Uniti.
Dalla “guerra al terrorismo” alla “guerra assoluta”?Il 19 gennaio 2018, parlando all’Università Johns Hopkins nel Maryland, il segretario della Difesa del governo Trump, James Mattis, ha svelato la nuova strategia di difesa nazionale, poggiata sull’eventualità di uno scontro militare diretto tra Stati Uniti, Russia e Cina [12]. Nel suo discorso, Mattis ha precisato che si tratta di un cambiamento storico, rispetto alla strategia perseguita negli ultimi due decenni: quella della guerra al terrorismo. Mattis ha così precisato: «È la concorrenza tra le grandi potenze – e non il terrorismo – che ora è l’obiettivo prioritario per la sicurezza nazionale americana».
Un documento declassificato di 11 pagine, che descrive in termini generali la Strategia della Difesa Nazionale [13], è stato consegnato alla stampa. Una versione confidenziale più lunga, con le proposte dettagliate del Pentagono per un aumento massiccio delle spese militari, è stata sottoposta all’esame del Congresso [14]. La Casa Bianca chiede un aumento di 54 miliardi di dollari del budget militare, giustificandolo con il fatto che «oggi stiamo uscendo da un periodo di atrofia strategica, consapevoli che il nostro vantaggio militare competitivo si è eroso» [15]. Il documento prosegue: «La potenza militare – la modernizzazione della forza d’urto nucleare – implica un incremento di opzioni suscettibili di contrastare le strategie coercitive dei concorrenti, fondate sulla minaccia di ricorrere ad attacchi strategici nucleari e non-nucleari».
Per l’amministrazione Trump, il dopo-Guerra Fredda è terminato. Il periodo in cui gli Stati Uniti potevano dispiegare la propria forza militare quando volevano, intervenendo a loro piacimento, non è più di attualità. «Oggi, tutti i domini sono oggetto di contesa, l’aria, la terra, il mare, lo spazio e il cyber-spazio» [16].
“Guerra assoluta” o guerra economicaLa possibilità di una guerra degli Stati Uniti contro Russia e Cina, ossia lo scoppio di una guerra assoluta, fa parte delle ipotesi strategiche, sia dell’amministrazione Usa, sia degli analisti russi e cinesi. Questa facoltà appare come il filo conduttore che sottende e rende comprensibile la politica estera e le operazioni militari di questi Paesi, per esempio, l’estrema prudenza della Russia nelle reazioni alle provocazioni degli Stati Uniti in Siria, indugi che non possono essere dovuti a indecisione o rinuncia. La difficoltà della posizione russa non deriva dalle divisioni interne, dal rapporto di forza tra le tendenze mondialiste e nazionaliste, bensì dalle divisioni interne statunitensi, che oscillano tra guerra economica e guerra nucleare. L’articolazione tra minacce militari e nuovi negoziati economici sono proprio due aspetti della nuova “politica di difesa” USA.
Elbrige Colby, assistente del segretario della Difesa, ha tuttavia affermato che, malgrado il discorso di Mattis ponga chiaramente l’accento sulla rivalità con Cina e Russia, l’amministrazione Trump vuole «proseguire nella ricerca di ambiti di cooperazione con queste nazioni». Colby ha così affermato: «Non si tratta di un confronto, bensì di un modo di procedere strategico, di prendere atto della realtà competitiva e del fatto importante che “ buoni steccati fanno buoni vicini”» [17].
Questa politica, perseguendo il ristabilimento delle frontiere, si oppone frontalmente alla visione imperialista USA. Quest’ultima mette di fronte a un’alternativa, ben riassunta dal Washington Post: la persistenza di un Impero statunitense «garante della pace mondiale» oppure la guerra totale. Questa visione si oppone al ristabilimento di egemonie regionali, ossia di un mondo multipolare il cui risultato, secondo il Washington Post, «sarebbe la futura guerra mondiale» [18].
Jean-Claude PayeTraduzione
Rachele Marmetti
Il Cronista
COGLIONI IN DIVISA - UN TITOLO E UNA PROVOCAZIONE
Un titolo provocatorio, seguito da un articolo ed una descrizione della realtà che abbiamo deciso di condividere.
COGLIONI IN DIVISA
infodifesa.it |
(di Aldo Grandi per la Gazzetta di Lucca) – Negli anni Sessanta e Settanta erano carne da macello, servi dello stato e dei padroni, gente senza testa per pensare, ma solo un cervello e nemmeno tanto sviluppato, per obbedire. Al punto che ucciderne non doveva essere e, per molti, non fu, un reato. Cadevano a grappoli, dentro le auto blu dei politici che dovevano proteggere e dai quali non erano protetti, sulle Gazzelle o sulle Volanti fatti saltare in aria come birilli o crivellati come sagome al poligono di tiro. Loro, poliziotti e carabinieri, avevano la colpa di essere alle dipendenze di uno stato che li gestiva a modo proprio, utilizzandoli quando servivano per dar loro, poi, un calcio nel culo quando, all’occorrenza, diventano se non inutili, imbarazzanti o ingombranti. Guadagnavano poco e nulla, giusto a sufficienza per campare, vestivano non alla marinara, come qualcuno ben più benestante di loro, ma con divise di panno pesanti che, se bagnate, pesavano un macigno. Dovevano fronteggiare cortei, spranghe, bastoni, biglie, sampietrini, bottiglie incendiarie lanciati e impugnati dai rampolli della grande, media e piccola borghesia di un Paese, l’Italia, che si era dimenticato del proprio passato per correre incontro ad un avvenire rivoluzionario che di rivoluzionario non aveva niente.
Agenti e militari presi a sassate e calci in faccia da destra e, soprattutto, da sinistra, gambizzati e dimezzati, uccisi e sopraffatti non solo dalla violenza delle armi, ma dalla vigliaccheria di una classe politica che li ha sempre abbandonati a se stessi servendosene come cani da guardia, fedeli fino alla cieca obbedienza, mantenuti e coltivati
nell’ignoranza e nel disprezzo di ogni autonomia di pensiero. Poi, un giorno, il 16 marzo 1978, un commando delle Brigate Rosse mise a segno la strage di via Fani e da quel giorni niente fu più come prima.
Lo stato o quel che sembrava tale, la classe politica di ladri, debosciati, corrotti, incapaci, inutili e presuntuosi scoprì di essere nel mirino o, meglio ancora, prese atto che così come era stato colpito Aldo Moro, chiunque avrebbe potuto esserlo e con la paura e il terrore di fare la stessa fine, scelse di procedere ad una guerra senza quartiere contro il terrorismo.
Oggi, a distanza di quarant’anni, agenti e carabinieri sono sempre come allora con la differenza che, adesso, non hanno nemmeno, a proteggerli, i propri superiori, quelli di nomina politica, le cui carriere dipendono dai bastardi senza gloria seduti sugli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama.
A Lucca gli uomini dell’Arma e gli agenti della polizia di stato vivono in un clima di feroce scontento e nelle loro parole, libere dalla censura imposta da uno stato di peracottari senza attributi assistiti solamente dal proprio conto corrente, dicono che non ce la fanno più, che non ne possono più di doversi chiudere la bocca, della rassegnazione, del dover stare zitti perché tanto, a parlare, ci si guadagna solamente una sospensione o, peggio ancora, un procedimento penale.
Poliziotti e carabinieri sono stanchi di scendere in piazza e prendersi, al posto dei politici, tutto quello che capita a tiro dei novelli extraparlamentari di sinistra che, se un paese come questo fosse degno di questo nome, sarebbero presi a calci in culo, sbattuti in galera e buttata via la
chiave. Quando non peggio. E invece no. Lo stato, questo padre assassino e traditore, invece di proteggerli come si farebbe con dei figli, li svende al peggior offerente, li manda al macello e li lascia da soli, esattamente come, l’8 settembre 1943, il Re, lo stato maggiore e il governo, fuggirono dai tedeschi abbandonando gli italiani nelle mani della vendetta dell’ex alleato.
Ebbene, il poliziotto romano sospeso in piazza Indipendenza ha tutta la nostra solidarietà, ma ci domandiamo perché gli agenti e i carabinieri non si rendono conto che il culo rischiato ogni giorno e ogni notte, non è quello degli alti papaveri che tengono le chiappe al caldo nei salotti o nei ministeri di quella fogna chiamata Roma, bensì il loro, quello che mogli, mamme, figli, papà, attendono al ritorno ogni sera sperando non sia accaduto l’irreparabile.
La Sinistra, questo cancro senza speranza, inguaribile, che attraversa le istituzioni e che è incapace per definizione di possedere il senso dello stato, ma il suo esatto contrario, ha abbracciato chiunque sia contrario al nostro paese, alla sua tradizione, alla legalità, alla sua cultura, religione, storia a tutto ciò che ci ha reso, nel bene e soprattutto nel male, quello che siamo. Mai come in questo momento il Pd, la Sinistra antagonista, i comunisti che ancora respirano questa fetida aria appestata dalle tragedie che hanno causato in tutto il mondo, rappresentano l’antItalia, l’antinazione. Essi rappresentano i clandestini, i profughi, i migranti tutti fuorché gli italiani e, in particolare, agenti e carabinieri.
Che ovunque e a Lucca si sono ridotti, sovente, a vivacchiare dietro a una scrivania cercando di portare a casa lo stipendio di fine mese. Per non parlare dei superiori, ormai lontani anni luce dai principi che li animarono al
loro ingresso nei meandri dello stato che avrebbero dovuto servire. Con mostrine e nastrini di guerra e battaglie mai combattute se non durante l’assalto al buffet pressoché quotidiano nelle ricorrenze e negli eventi di questa Repubblica delle banane. Come si fa a dirsi e sentirsi carabinieri o anche poliziotti senza inorridire, senza alzarsi, senza drizzare la schiena e gridare a tutto il mondo che non si può diventare schiavi di un potere che ti umilia e ti riduce a una specie di pupazzo da strapazzo bersaglio nemmeno tanto mobile delle truppe di imbecilli, criminali, delinquenti, bastardi, maledetti esponenti della sinistra extraparlamentare ché la destra, al momento, sembra dormire sonni più profondi.
Ecco perché il titolo provocatorio Coglioni in divisa. Perché non si può restare passivi di fronte al collega che perde la mano nel tentativo di disinnescare un ordigno esplosivo piazzato dai terroristi anticapitalisti. Perché non si può non pensare che quella mano, vedi l’artificiere di Altopascio, avrebbe potuto essere anche nostra. Perché non si può accettare che i nostri fratelli vengano massacrati a colpi di bombole di gas o di sampietrini dai profughi che non hanno alcun diritto se non il dovere di ringraziare per essere stati accolti in questo e da questo paese di merda.
I veri coglioni non sono i padri di famiglia che ogni giorno e ogni notte pagano il prezzo più alto per difenderci dal crimine organizzato che fa quello che vuole protetto e scortato da una magistratura alla camomilla e da una classe politica che definire complice è un eufemismo.
I veri coglioni siamo noi che non troviamo il coraggio di prendere in mano le nostre vite e gettarle oltre l’ostacolo, convinti come siamo che a noi non accadrà mai niente, che
meglio, sempre e comunque, cento anni da pecora che un giorno da leoni che, in fondo, non sono cazzi nostri.
E invece lo sono eccome, e lo saranno sempre di più fino a quando, allora, non sarà nemmeno utile rendersene conto perché troppo tardi.
A noi il capo della polizia Franco Gabrielli di Viareggio fa schifo e se fossimo agenti di polizia, ci vergogneremmo ad essere guidati da chi nemmeno ci mette la faccia e anche qualcosa di più per difenderci.
A noi il generale Del Sette, comandante generale dell’Arma, indagato per la vicenda Consip, fa ancora più schifo e se fossimo carabinieri, ci penseremmo non una, ma cinque volte prima di farci riconoscere avendo un vertice come questo.
Noi siamo vicini a tutti quegli agenti e a quei militari che, con casco e manganello, con mogli e figli che li aspettano a casa e che hanno la stessa età dei bastardi che si trovano di fronte alle manifestazioni, ci difendono dal disordine legalizzato e dal caos e li difendiamo a prescindere visto che, ormai, il clima dei colpi stato e delle stragi nere è scomparso da un pezzo.
Noi speriamo che la prossima volta, quando un agente o un carabiniere verrà assalito con bastoni, sampietrini, bombole di gas, estintori, non si limiti a reagire spezzando, eventualmente, un braccio, ma che spezzi pure, se necessario e per difendersi e per difenderci, anche una gamba. Chi usa violenza deve essere messo nelle condizioni di non nuocere poiché non vivendo in una dittatura, la polizia non è, al di là delle eccezioni, al servizio del potere o del potente di turno, ma della cittadinanza tutta e sono ipocriti, fasulli e ci domandiamo come fanno a guardarsi
con casco e manganello, con mogli e figli che li aspettano a casa e che hanno la stessa età dei bastardi che si trovano di fronte alle manifestazioni, ci difendono dal disordine legalizzato e dal caos e li difendiamo a prescindere visto che, ormai, il clima dei colpi stato e delle stragi nere è scomparso da un pezzo.
Noi speriamo che la prossima volta, quando un agente o un carabiniere verrà assalito con bastoni, sampietrini, bombole di gas, estintori, non si limiti a reagire spezzando, eventualmente, un braccio, ma che spezzi pure, se necessario e per difendersi e per difenderci, anche una gamba. Chi usa violenza deve essere messo nelle condizioni di non nuocere poiché non vivendo in una dittatura, la polizia non è, al di là delle eccezioni, al servizio del potere o del potente di turno, ma della cittadinanza tutta e sono ipocriti, fasulli e ci domandiamo come fanno a guardarsi allo specchio quei dirigenti e quegli alti ufficiali che non riescono a difendere i propri uomini come se fossero i propri figli
29/08/2017
G.L.
COGLIONI IN DIVISA
infodifesa.it |
(di Aldo Grandi per la Gazzetta di Lucca) – Negli anni Sessanta e Settanta erano carne da macello, servi dello stato e dei padroni, gente senza testa per pensare, ma solo un cervello e nemmeno tanto sviluppato, per obbedire. Al punto che ucciderne non doveva essere e, per molti, non fu, un reato. Cadevano a grappoli, dentro le auto blu dei politici che dovevano proteggere e dai quali non erano protetti, sulle Gazzelle o sulle Volanti fatti saltare in aria come birilli o crivellati come sagome al poligono di tiro. Loro, poliziotti e carabinieri, avevano la colpa di essere alle dipendenze di uno stato che li gestiva a modo proprio, utilizzandoli quando servivano per dar loro, poi, un calcio nel culo quando, all’occorrenza, diventano se non inutili, imbarazzanti o ingombranti. Guadagnavano poco e nulla, giusto a sufficienza per campare, vestivano non alla marinara, come qualcuno ben più benestante di loro, ma con divise di panno pesanti che, se bagnate, pesavano un macigno. Dovevano fronteggiare cortei, spranghe, bastoni, biglie, sampietrini, bottiglie incendiarie lanciati e impugnati dai rampolli della grande, media e piccola borghesia di un Paese, l’Italia, che si era dimenticato del proprio passato per correre incontro ad un avvenire rivoluzionario che di rivoluzionario non aveva niente.
Agenti e militari presi a sassate e calci in faccia da destra e, soprattutto, da sinistra, gambizzati e dimezzati, uccisi e sopraffatti non solo dalla violenza delle armi, ma dalla vigliaccheria di una classe politica che li ha sempre abbandonati a se stessi servendosene come cani da guardia, fedeli fino alla cieca obbedienza, mantenuti e coltivati
nell’ignoranza e nel disprezzo di ogni autonomia di pensiero. Poi, un giorno, il 16 marzo 1978, un commando delle Brigate Rosse mise a segno la strage di via Fani e da quel giorni niente fu più come prima.
Lo stato o quel che sembrava tale, la classe politica di ladri, debosciati, corrotti, incapaci, inutili e presuntuosi scoprì di essere nel mirino o, meglio ancora, prese atto che così come era stato colpito Aldo Moro, chiunque avrebbe potuto esserlo e con la paura e il terrore di fare la stessa fine, scelse di procedere ad una guerra senza quartiere contro il terrorismo.
Oggi, a distanza di quarant’anni, agenti e carabinieri sono sempre come allora con la differenza che, adesso, non hanno nemmeno, a proteggerli, i propri superiori, quelli di nomina politica, le cui carriere dipendono dai bastardi senza gloria seduti sugli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama.
A Lucca gli uomini dell’Arma e gli agenti della polizia di stato vivono in un clima di feroce scontento e nelle loro parole, libere dalla censura imposta da uno stato di peracottari senza attributi assistiti solamente dal proprio conto corrente, dicono che non ce la fanno più, che non ne possono più di doversi chiudere la bocca, della rassegnazione, del dover stare zitti perché tanto, a parlare, ci si guadagna solamente una sospensione o, peggio ancora, un procedimento penale.
Poliziotti e carabinieri sono stanchi di scendere in piazza e prendersi, al posto dei politici, tutto quello che capita a tiro dei novelli extraparlamentari di sinistra che, se un paese come questo fosse degno di questo nome, sarebbero presi a calci in culo, sbattuti in galera e buttata via la
chiave. Quando non peggio. E invece no. Lo stato, questo padre assassino e traditore, invece di proteggerli come si farebbe con dei figli, li svende al peggior offerente, li manda al macello e li lascia da soli, esattamente come, l’8 settembre 1943, il Re, lo stato maggiore e il governo, fuggirono dai tedeschi abbandonando gli italiani nelle mani della vendetta dell’ex alleato.
Ebbene, il poliziotto romano sospeso in piazza Indipendenza ha tutta la nostra solidarietà, ma ci domandiamo perché gli agenti e i carabinieri non si rendono conto che il culo rischiato ogni giorno e ogni notte, non è quello degli alti papaveri che tengono le chiappe al caldo nei salotti o nei ministeri di quella fogna chiamata Roma, bensì il loro, quello che mogli, mamme, figli, papà, attendono al ritorno ogni sera sperando non sia accaduto l’irreparabile.
La Sinistra, questo cancro senza speranza, inguaribile, che attraversa le istituzioni e che è incapace per definizione di possedere il senso dello stato, ma il suo esatto contrario, ha abbracciato chiunque sia contrario al nostro paese, alla sua tradizione, alla legalità, alla sua cultura, religione, storia a tutto ciò che ci ha reso, nel bene e soprattutto nel male, quello che siamo. Mai come in questo momento il Pd, la Sinistra antagonista, i comunisti che ancora respirano questa fetida aria appestata dalle tragedie che hanno causato in tutto il mondo, rappresentano l’antItalia, l’antinazione. Essi rappresentano i clandestini, i profughi, i migranti tutti fuorché gli italiani e, in particolare, agenti e carabinieri.
Che ovunque e a Lucca si sono ridotti, sovente, a vivacchiare dietro a una scrivania cercando di portare a casa lo stipendio di fine mese. Per non parlare dei superiori, ormai lontani anni luce dai principi che li animarono al
loro ingresso nei meandri dello stato che avrebbero dovuto servire. Con mostrine e nastrini di guerra e battaglie mai combattute se non durante l’assalto al buffet pressoché quotidiano nelle ricorrenze e negli eventi di questa Repubblica delle banane. Come si fa a dirsi e sentirsi carabinieri o anche poliziotti senza inorridire, senza alzarsi, senza drizzare la schiena e gridare a tutto il mondo che non si può diventare schiavi di un potere che ti umilia e ti riduce a una specie di pupazzo da strapazzo bersaglio nemmeno tanto mobile delle truppe di imbecilli, criminali, delinquenti, bastardi, maledetti esponenti della sinistra extraparlamentare ché la destra, al momento, sembra dormire sonni più profondi.
Ecco perché il titolo provocatorio Coglioni in divisa. Perché non si può restare passivi di fronte al collega che perde la mano nel tentativo di disinnescare un ordigno esplosivo piazzato dai terroristi anticapitalisti. Perché non si può non pensare che quella mano, vedi l’artificiere di Altopascio, avrebbe potuto essere anche nostra. Perché non si può accettare che i nostri fratelli vengano massacrati a colpi di bombole di gas o di sampietrini dai profughi che non hanno alcun diritto se non il dovere di ringraziare per essere stati accolti in questo e da questo paese di merda.
I veri coglioni non sono i padri di famiglia che ogni giorno e ogni notte pagano il prezzo più alto per difenderci dal crimine organizzato che fa quello che vuole protetto e scortato da una magistratura alla camomilla e da una classe politica che definire complice è un eufemismo.
I veri coglioni siamo noi che non troviamo il coraggio di prendere in mano le nostre vite e gettarle oltre l’ostacolo, convinti come siamo che a noi non accadrà mai niente, che
meglio, sempre e comunque, cento anni da pecora che un giorno da leoni che, in fondo, non sono cazzi nostri.
E invece lo sono eccome, e lo saranno sempre di più fino a quando, allora, non sarà nemmeno utile rendersene conto perché troppo tardi.
A noi il capo della polizia Franco Gabrielli di Viareggio fa schifo e se fossimo agenti di polizia, ci vergogneremmo ad essere guidati da chi nemmeno ci mette la faccia e anche qualcosa di più per difenderci.
A noi il generale Del Sette, comandante generale dell’Arma, indagato per la vicenda Consip, fa ancora più schifo e se fossimo carabinieri, ci penseremmo non una, ma cinque volte prima di farci riconoscere avendo un vertice come questo.
Noi siamo vicini a tutti quegli agenti e a quei militari che, con casco e manganello, con mogli e figli che li aspettano a casa e che hanno la stessa età dei bastardi che si trovano di fronte alle manifestazioni, ci difendono dal disordine legalizzato e dal caos e li difendiamo a prescindere visto che, ormai, il clima dei colpi stato e delle stragi nere è scomparso da un pezzo.
Noi speriamo che la prossima volta, quando un agente o un carabiniere verrà assalito con bastoni, sampietrini, bombole di gas, estintori, non si limiti a reagire spezzando, eventualmente, un braccio, ma che spezzi pure, se necessario e per difendersi e per difenderci, anche una gamba. Chi usa violenza deve essere messo nelle condizioni di non nuocere poiché non vivendo in una dittatura, la polizia non è, al di là delle eccezioni, al servizio del potere o del potente di turno, ma della cittadinanza tutta e sono ipocriti, fasulli e ci domandiamo come fanno a guardarsi
con casco e manganello, con mogli e figli che li aspettano a casa e che hanno la stessa età dei bastardi che si trovano di fronte alle manifestazioni, ci difendono dal disordine legalizzato e dal caos e li difendiamo a prescindere visto che, ormai, il clima dei colpi stato e delle stragi nere è scomparso da un pezzo.
Noi speriamo che la prossima volta, quando un agente o un carabiniere verrà assalito con bastoni, sampietrini, bombole di gas, estintori, non si limiti a reagire spezzando, eventualmente, un braccio, ma che spezzi pure, se necessario e per difendersi e per difenderci, anche una gamba. Chi usa violenza deve essere messo nelle condizioni di non nuocere poiché non vivendo in una dittatura, la polizia non è, al di là delle eccezioni, al servizio del potere o del potente di turno, ma della cittadinanza tutta e sono ipocriti, fasulli e ci domandiamo come fanno a guardarsi allo specchio quei dirigenti e quegli alti ufficiali che non riescono a difendere i propri uomini come se fossero i propri figli
29/08/2017
G.L.
QUALI ATTRITI FRA MAGISTRATURA E FORZE DI POLIZIA?

MARESCIALLO DELL’ ARMA:”IO SERVITORE DELLO STATO, SONO UN PERSEGUITATO”
Fonte: infodifesa.it |
(di Chiara Rai) – ENNA – “Incredibile e inaccettabile calvario giudiziario” denunciato in un esposto dal maresciallo dei Carabinieri Giuseppe La Mastra attualmente in servizio presso il nucleo radiomobile di Palagonia e negli ultimi dieci anni comandante della stazione di Catenanuova (Enna). Un servitore dello Stato che, si legge nell’atto presentato dal suo legale l’Avvocato Giuseppe Lipera, ha dovuto subire un onta gravissima che è quella di essere stato arrestato e indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Nell’armadio riservato ai reperti di reato sono state ritrovate alcune cartucce e munizioni che hanno fatto scattare il processo penale nei confronti di La Mastra. Accusa archiviata, poi riaperta, poi ancora archiviata (ndr dopo un arresto e la sospensione dal servizio).
Insomma, un incubo iniziato a maggio del 2012 che sembrava tramontato con la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Enna del 18 ottobre del 2016: La Mastra non ha mai favorito la mafia. La sentenza di primo grado lo assolve con motivazioni salde e che appaiono fondate, quasi impossibili da confutare.
Invece no, nient’affatto, la Procura generale ha deciso di appellare la sentenza di assoluzione di primo grado emessa dal Tribunale di Enna.
Un appello dove viene addirittura chiesta una rinnovazione dell’istruttoria perché l’attività dibattimentale condotta dalla Procura di Enna è stata ritenuta “insufficiente”. O meglio la Procura generale ritiene che la sentenza di assoluzione sia addirittura “supinamente appiattita sulle dichiarazioni rese da La Mastra.
Difficile dunque non riuscire a comprendere i motivi per cui questo maresciallo, che tra l’altro ha dovuto anche assistere alla scomparsa prematura della moglie, si senta un “perseguitato”: “È oggettivamente una situazione assurda e inaccettabile per un Maresciallo dei Carabinieri – dice l’Avvocato Giuseppe Lipera, raggiunto telefonicamente dalla redazione de l’Osservatore d’Italia – In Italia abbiamo ormai una giustizia da incubo. O no?”. Con l’esposto viene chiesto alle autorità giudiziarie di effettuare tutti gli accertamenti necessari al fine di chiarire “le reali motivazioni che stanno alla base di questo accanimento”. (Osservatore Italia)
G.L. 05/08/2017
Fonte: infodifesa.it |
(di Chiara Rai) – ENNA – “Incredibile e inaccettabile calvario giudiziario” denunciato in un esposto dal maresciallo dei Carabinieri Giuseppe La Mastra attualmente in servizio presso il nucleo radiomobile di Palagonia e negli ultimi dieci anni comandante della stazione di Catenanuova (Enna). Un servitore dello Stato che, si legge nell’atto presentato dal suo legale l’Avvocato Giuseppe Lipera, ha dovuto subire un onta gravissima che è quella di essere stato arrestato e indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. Nell’armadio riservato ai reperti di reato sono state ritrovate alcune cartucce e munizioni che hanno fatto scattare il processo penale nei confronti di La Mastra. Accusa archiviata, poi riaperta, poi ancora archiviata (ndr dopo un arresto e la sospensione dal servizio).
Insomma, un incubo iniziato a maggio del 2012 che sembrava tramontato con la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Enna del 18 ottobre del 2016: La Mastra non ha mai favorito la mafia. La sentenza di primo grado lo assolve con motivazioni salde e che appaiono fondate, quasi impossibili da confutare.
Invece no, nient’affatto, la Procura generale ha deciso di appellare la sentenza di assoluzione di primo grado emessa dal Tribunale di Enna.
Un appello dove viene addirittura chiesta una rinnovazione dell’istruttoria perché l’attività dibattimentale condotta dalla Procura di Enna è stata ritenuta “insufficiente”. O meglio la Procura generale ritiene che la sentenza di assoluzione sia addirittura “supinamente appiattita sulle dichiarazioni rese da La Mastra.
Difficile dunque non riuscire a comprendere i motivi per cui questo maresciallo, che tra l’altro ha dovuto anche assistere alla scomparsa prematura della moglie, si senta un “perseguitato”: “È oggettivamente una situazione assurda e inaccettabile per un Maresciallo dei Carabinieri – dice l’Avvocato Giuseppe Lipera, raggiunto telefonicamente dalla redazione de l’Osservatore d’Italia – In Italia abbiamo ormai una giustizia da incubo. O no?”. Con l’esposto viene chiesto alle autorità giudiziarie di effettuare tutti gli accertamenti necessari al fine di chiarire “le reali motivazioni che stanno alla base di questo accanimento”. (Osservatore Italia)
G.L. 05/08/2017
IMMIGRATI DA FERMARE. MA IL PAPA.......intervista al generale carlo jean
Il periodo storico che più lo affascina è «il Risorgimento, per il pensiero militare che ha espresso l’Italia e per il modo in cui è stata composta la guerra regia con la guerra di popolo». Il personaggio storico che avrebbe voluto essere non lo rivela: «Avendo io ottant’anni, diciamo uno giovane». Va dritto al punto, afferma che «l’integrazione degli extracomunitari è fallita, pensi alla Francia. Non parliamo del Belgio». Poi ci ricorda che «la Nigeria nel 2100 avrà 500 milioni di abitanti, quelli che ha oggi l’Europa intera. Dove li mettiamo?». Dà per certo il decadimento del Vecchio Continente e della Russia «per ragioni demografiche», ma va oltre: «La Cina acquisterà potenza, ma a sua volta decadrà dopo il 2050 per la concorrenza degli indiani, che tra 80 anni saranno 1,5 miliardi». A parlare è il generale Carlo Jean: controcorrente per vocazione e autorevole per definizione, è a lui che ci si rivolge quando si ha un dubbio su strategie militari, scenari internazionali, geopolitica e “quisquiglie” di tal caratura. Al generale, tra le frivolezze, sarebbe stato bello chiedere se in vita sua, per caso, ha mai perso una partita a Risiko. Ma il suo analitico puntiglio ha relegato la domanda al regno delle ipotesi. Gli abbiamo però chiesto quale sia il più bello tra i film di guerra: «Aleksandr Nevskij», risponde senza esitazione. Si torna indietro nel tempo fino al 1938, a Sergey Ejzenštejn e alla sua epica cinematografica antinazista. Si torna (nel film) alla Russia degli zar che tanto affascina il generale, così come, forse, lo affascina lo “zar” Putin, definito «un maestro di strategia».
Perché?
«Pensi alla Siria. Annuncia il ritiro anche se non si ritira: mette pressione su Assad affinché conceda qualcosa ai negoziati di Ginevra. Dunque attacca e libera Palmira per rilegittimarsi davanti all’opinione pubblica internazionale. Tiene il piede in due staffe: appoggia Assad perché le basi militari in Siria gli fanno comodo, ma non si sbilancia troppo a favore del mondo sciita perché si metterebbe contro quello sunnita. Sa, il 18% della popolazione russa è islamica, e sono tutti sunniti. È spregiudicato al limite del cinismo, decide con rapidità, spiazza gli avversari. In Siria sta realizzando un capolavoro strategico».
Tutto il contrario rispetto a ciò che combinano Usa e Ue in Libia.
«Lì il problema è che nell’est del Paese ci sono Egitto e Francia che perseguono obiettivi differenti rispetto a Stati Uniti e Gran Bretagna: Parigi mira ai campi petroliferi, gli altri invece a distruggere l’Isis. La Comunità internazionale è ancora divisa su quali fazioni locali debbano essere appoggiate nella lotta a Daesh».
E l’Italia?
«Fino ad ora abbiamo mantenuto una posizione molto cauta e del tutto logica, che forse sarà vincente. Evitiamo che i libici considerino l’intervento internazionale come una specie di conquista coloniale. L’Italia persegue i suoi obiettivi indirettamente, appoggiandosi agli Stati Uniti: per noi il problema fondamentale non è l’Isis, ma l’immigrazione. Per questo è decisivo il controllo delle coste, che si può raggiungere solo stabilizzando la Libia e con l’aiuto dei libici: ciò spiega la cautela del nostro governo».
Lei dice che per l’Italia, più dell’Isis, il problema saranno i flussi migratori. Dopo le sue considerazioni sulla Libia ne deduco che ci attende un periodo drammatico.
«Il punto è che l’Ue non è in condizioni di gestire le ondate migratorie: servirebbero una forte coesione politica e responsabili all’altezza delle sfide da affrontare. Poiché tutto ciò non esiste, e poiché la politica estera non si può fare con le lacrime della Mogherini, ogni paese deve provvedere da solo, secondo i suoi interessi».
Pare chiaro il riferimento all’Austria: prima gli scontri al Brennero, poi la minaccia di chiudere il confine. Arriveremo a quel punto?
«Sì, per un semplice motivo: si tratta del confine che porta la rotta Mediterranea dei migranti verso l’Europa centrosettentrionale. Anche la Svizzera, infatti, sta mobilitando l’esercito. E per l’Italia, a peggiorare il quadro, c’è il fatto che con la quasi completa chiusura della rotta Balcanica, quella del Mediterraneo centrale e quella Adriatica acquisiranno maggiore importanza».
Soluzioni?
«La priorità è creare una barriera libica, selezionare e respingere i migranti economici. Detto in termini più brutali, sia chiaro si tratta di una provocazione, far morire gli aspiranti migranti nel deserto, dove nessuno li vede, e non nel Mediterraneo: altrimenti il polverone che si alza, anche a causa di un Papa che si agita un po’ troppo, impedisce di gestire l’emergenza. Per creare questa barriera servono accordi con Tunisia ed Egitto, nonostante l’assassinio di Giulio Regeni».
Ecco, il caso Regeni: dovremmo chiudere un occhio per interesse?
«Assolutamente no. E comunque l’interesse è congiunto: l’Egitto non vuole avere problemi con il suo maggiore partner economico. Con il richiamo dell’ambasciatore, però, abbiamo fatto una figuraccia: non possiamo imporre un’escalation, anche perché oggi l’Egitto, per i nostri partner occidentali, è strategicamente più importante. Siamo isolati».
Un’idea su ciò che è successo a quel ragazzo se l’è fatta?
«Nei regimi autoritari agiscono molti attori differenti, nessuno ha le mani pulite. Pensi a quanti italiani ha fatto fuori il tribunale speciale di Mosca, il cui segretario era Togliatti. Non so cosa sia accaduto a Regeni, ma chi lo ha spedito là senza protezioni e vie di fuga è stato un disgraziato. Lo ha mandato allo sbando».
Parla della sua professoressa di Cambridge, Anne Alexander?
«Esattamente. Fino a oggi la sua responsabilità è stata considerata molto poco: lo ha mandato a sfrugugliare gli affari più sporchi di un governo autoritario. È come spedire qualcuno in Corea del nord a protestare contro gli esperimenti nucleari di Kim Jong-un».
Perché nel Regno Unito si parla del ruolo di questa signora e in Italia invece no?
«Andava contro l’emozione e l’opinione pubblica, da cui la Farnesina, soprattutto in periodo elettorale, è troppo dipendente. E l’opinione pubblica ha subito deciso che a uccidere Regeni siano stati i servizi segreti egiziani: non ha voluto sentire argomenti differenti e non ha voluto individuare altri colpevoli. Ma quella donna sapeva che Giulio era in pericolo: perché non lo ha fatto rientrare, e subito? Per capirci qualcosa, però, dovremmo indagare anche sui referenti locali di Giulio, sull’italiano che ha telefonato all’ambasciatore subito dopo la scomparsa. Era legato alla rivista di Cambridge per cui scriveva Regeni, rivista diretta da un ex agente della Cia...».
Chi accusa l’Italia di una reazione troppo blanda sbaglia?
«Cosa dovremmo fare, bombardare il Cairo? Di sicuro, però, stiamo facendo una figuraccia. Pensi al discorso di Al Sisi di pochi giorni fa: in sostanza ci ha detto di non rompergli i cosiddetti, perché l’Egitto non è la Svizzera. E in effetti quando si fanno certe cose in certi paesi bisogna essere consapevoli dei rischi che si corrono. E chi sostiene che l’Italia possa piegare l’Egitto con sanzioni economiche è ridicolo».
Torniamo in Europa, agli attacchi in Belgio. Lei ha criticato chi accusa di incapacità l’intelligence di Bruxelles. Un’altra opinione controcorrente: nulla da rimproverare?
«(Sbuffa) Ancora quest’affare delle colpe dell’intelligence... Ricorda il detto di Napoleone? La qualità maggiore di un generale non è l’intelligenza, ma la fortuna. Ovvero: il rischio non è mai zero, può capitare di tutto. Anche in Italia: fino ad ora siamo stati capaci, ma anche fortunati».
Mi sta dicendo che la prevenzione è impossibile?
«Esiste un’asimmetria strutturale tra attacco e difesa. Il terrorismo sceglie l’obiettivo e il tempo dell’attacco, e se l’obiettivo è protetto ne sceglie un altro. Inoltre le reti operative, in Europa, sono già strutturate e pronte a colpire: per organizzare un attacco come quello di Bruxelles basta una telefonata. Le forze di sicurezza dovrebbero difendere tutto per 24 ore al giorno: mi spiega come è possibile?».
E dunque?
«La cosa migliore da fare è quella che fu decisa dagli Usa al tempo di Bush: eliminare le centrali del terrorismo all’estero per non soffocare i nostri Paesi con le misure di sicurezza».
Ma con i foreign fighters, che sono già qui, come la mettiamo?
«Il punto fondamentale è che i loro attacchi sono ispirati a una particolare escatologia, che fa riferimento alla profezia di Maometto relativa alla vittoria finale dell’islam a Dabiq. Per sconfiggere il terrorismo dobbiamo vincerne l’ideologia, colpirla al cuore. Oggi Daesh ha una scarsa capacità operativa, ma quella simbolica è ancora fortissima: una volta che verrà distrutto lo Stato islamico in Siria e Iraq la profezia di Maometto si rivelerà per quello che è, ovvero un apocalittico bidone. Decadrebbe la possibilità che giovani frustrati si radicalizzino trovando una nuova identità nell’essere terroristi».
Ne deduco che per lei quella combattuta dall’Isis sia esclusivamente una guerra di religione.
«Rispetto a quasi tutte le altre guerre non vedo motivazioni strettamente economiche. Le malefatte sono ispirate da una particolare lettura del Corano».
Cosa risponde a chi dice che i morti in Siria sono come quelli di Parigi e Bruxelles?
«Che sbaglia: se loro sono così contenti di andare nel paradiso di Allah, aiutiamoli a farlo. E in fretta».
Massimo Fini ha detto che il kamikaze islamico ha una sua nobiltà. Cosa ne pensa?
«Come battuta va bene. Di sicuro tutti i fanatici disponibili a sacrificare la propria vita hanno una loro nobiltà. Mi spiego: ci credono davvero, sono convinti dell’interpretazione coranica che ispira il loro martirio. Se per questo intendiamo nobiltà, ha ragione Fini».
Passiamo agli Usa, Donald Trump: e se vincesse?
«Non cambierebbe assolutamente nulla. Chi parla di minaccia planetaria sbaglia: quali sono, realmente, i poteri del presidente americano in politica estera? La politica estera viene stabilita dall’establishment: è quasi immutabile, per variarla servirebbe un nuovo evento traumatico come il crollo delle Torri».
Cala il sipario su Obama. Un brevissimo bilancio?
«Ha combinato molti guai. Il surge in Afghanistan è stato quello che è stato. È andato in giro a esaltare le cosiddette primavere arabe, sostenendo che si trattasse di una specie di democratizzazione dal basso, ma non sapeva neppure di cosa stava parlando. Poi l’Iraq: il ritiro è stato ideologico, frettoloso, non ha tenuto conto né della realtà né del parere del Pentagono. Ha lasciato i sunniti in balia di al-Maliki, e il risultato è stato la nascita dello Stato islamico».
di Andrea Tempestini
Fonte Liberoquotidiano
19 aprile 2016
G.L.
AUTO BLU - USO ILLEGITTIMO DA PARTE DEI DIRIGENTI E FUNZIONARI.

Il D.P.C.M. pubblicato sulla gazzetta ufficiale l’ 11 dicembre 2014, riguardante l’utilizzo delle auto di servizio con autista adibite a trasporto di persone, considera in n.5, le autovetture da usare da parte delle amministrazioni centrali, ivi comprese le Forze di Polizia. Ovviamente si parla della auto a disposizione dei dirigenti, vice dirigenti e funzionari, a prescindere dall’incarico ricoperto. Questi potranno utilizzare l’auto in via non esclusiva, solo per spostamenti dettati per motivi di servizio. L’uso abusivo dell’auto oltre al danno erariale e al peculato d’uso, potrà integrare persino il reato di cui all’Art. 323 c.p. (Abuso d’ufficio) in violazione del predetto decreto, per farsi venire a prendere a casa e farsi riportare, a prescindere dal luogo di residenza dell’utilizzatore, è indubbio che costituisca a tutti gli effetti “un ingiusto vantaggio patrimoniale“. L’art 3 comma 1 del citato DPCM infatti stabilisce che “l’utilizzo delle autovetture di servizio è consentito solo per ragioni di servizio che non comprendono lo spostamento tra abitazione e luogo di lavoro in relazione al normale orario di ufficio.”
G.L.
G.L.
REINTRODURRE LA LEVA MILITARE OBBLIGATORIA?
Oriana Fallaci odiava la guerra. Lo ha detto e l’ha ribadito. Eppure era riuscita a far dire ad uno dei personaggi dei suoi libri un passaggio straordinario sull’esercito e il servizio militare.
Torna alla mente oggi che il leader della Lega Nord,Matteo Salvini, ha lanciato la sua proposta su Facebook: reintrodurremo il servizio militare obbligatorio.
Ottimo.
“Il servizio di leva – scrive in una lettera “il Professore”, personaggio del libro Insciallah – non è e non deve essere un abuso a subire: deve essere un privilegio a godere, una scuola che taglia il cordone ombelicale ai giovani ancora legati al piccolo cosmo della famiglia, alla mamma che vizia col caffellatte già pronto e il bottone già cucito, al babbo che indebolisce con lo stai-attento-ad-attraversare-la-strada”.
Innanzitutto, bisogna sfatare un mito. Non è vero che chi ha “subito” la naja lo ricorda come un periodo di torture e soprusi. Tutt’altro. Quello del militare che annulla l’individuo, che obbliga all’obbedienza, che “la ragione finisce dove inizia l’esercito“, è un insieme di luoghi comuni che si sfaldano non appena si parla con i molti (non tutti, certo) che a 18 anni hanno vestito mimetica ed anfibi ed hanno imparato a mettersi sull’attenti. Nei loro ricordi diventa un momento di crescita individuale e di corpo, cioè di comunità, che non lede l’intelligenza della persona. La completa di una disciplina che non viene insegnata nel mondo della scuola (dove tutto è dovuto) e della famiglia (dove le punizioni sono diventate un miraggio). “E se sbaglio – scriveva il Professore della Fallaci – spiegami perché il servizio di leva non si dimentica mai, perché da vecchi se ne parla con malcelata nostalgia, con l’inconfessato rimpianto che si ha di un’esperienza proficua”.
La leva militare obbligatoria fa bene al ragazzo che cresce. Lo mette di fronte alle difficoltà, lo educa alla vita, insegna a sapersela cavare con poco. Inoltre, permette di vivere in una società dove molti rispettano delle regole e alcuni le dettano, mondo non molto differente da quello del lavoro. Sistema dove i giovani arrivano più che sprovveduti. Poi non siamo sciocchi. Privarsi dell’apporto militare di tutti gli uomini adulti è una sciocchezza. L’Italia non combatterà più, si spera, una guerra tra le mura di casa. Ma se è vero – come scriveva la Fallaci – che “nessuna società riuscirà mai ad esistere senza soldati”, non ha senso impugnare la bandiera arcobaleno del pacifismo, radere al suolo gli eserciti per evitare la guerra. E’ una sciocchezza enorme, prettamente ideologica. La difesa dei confini è una delle condizioni dell’esistenza di uno Stato e di una Nazione. A meno che non si voglia radere al suolo anch’essi (cosa che nel caso dei sinistri pacifismi non escludo), allora l’esercito diventa un’elemento essenziale.
Fare il servizio militare è utile. Lo diceva sempre mio nonno, e forse anche quello di molti altri, mentre raccogliendo le briciole del pane dalla tovaglia ricordava con sofferenza la guerra che odiava. La odiava davvero, eppure la naja, diceva a noi che per volere dell’allora ministro della Difesa Sergio Mattarella ne siamo rimasti esclusi, è una tappa che non può che far bene: riduce i casi di trentenni ancora in casa dei genitori a spese della pensione del povero padre.
Ecco perché anziché un privilegio di pochi, l’esperienza di aver marciato sotto il sole e pulito i cessi maleodoranti della caserma dovrebbe essere privilegio di tutti. Ne trarrebbe vantaggio ogni singolo cittadino e l’Italia intera. Così bisognosa di tagliare ai suoi giovani quel “cordone ombelicale” che li tiene “ancora legati al piccolo cosmo della famiglia”.
28 Luglio 2015
Fonte: Il Giornale.it
Torna alla mente oggi che il leader della Lega Nord,Matteo Salvini, ha lanciato la sua proposta su Facebook: reintrodurremo il servizio militare obbligatorio.
Ottimo.
“Il servizio di leva – scrive in una lettera “il Professore”, personaggio del libro Insciallah – non è e non deve essere un abuso a subire: deve essere un privilegio a godere, una scuola che taglia il cordone ombelicale ai giovani ancora legati al piccolo cosmo della famiglia, alla mamma che vizia col caffellatte già pronto e il bottone già cucito, al babbo che indebolisce con lo stai-attento-ad-attraversare-la-strada”.
Innanzitutto, bisogna sfatare un mito. Non è vero che chi ha “subito” la naja lo ricorda come un periodo di torture e soprusi. Tutt’altro. Quello del militare che annulla l’individuo, che obbliga all’obbedienza, che “la ragione finisce dove inizia l’esercito“, è un insieme di luoghi comuni che si sfaldano non appena si parla con i molti (non tutti, certo) che a 18 anni hanno vestito mimetica ed anfibi ed hanno imparato a mettersi sull’attenti. Nei loro ricordi diventa un momento di crescita individuale e di corpo, cioè di comunità, che non lede l’intelligenza della persona. La completa di una disciplina che non viene insegnata nel mondo della scuola (dove tutto è dovuto) e della famiglia (dove le punizioni sono diventate un miraggio). “E se sbaglio – scriveva il Professore della Fallaci – spiegami perché il servizio di leva non si dimentica mai, perché da vecchi se ne parla con malcelata nostalgia, con l’inconfessato rimpianto che si ha di un’esperienza proficua”.
La leva militare obbligatoria fa bene al ragazzo che cresce. Lo mette di fronte alle difficoltà, lo educa alla vita, insegna a sapersela cavare con poco. Inoltre, permette di vivere in una società dove molti rispettano delle regole e alcuni le dettano, mondo non molto differente da quello del lavoro. Sistema dove i giovani arrivano più che sprovveduti. Poi non siamo sciocchi. Privarsi dell’apporto militare di tutti gli uomini adulti è una sciocchezza. L’Italia non combatterà più, si spera, una guerra tra le mura di casa. Ma se è vero – come scriveva la Fallaci – che “nessuna società riuscirà mai ad esistere senza soldati”, non ha senso impugnare la bandiera arcobaleno del pacifismo, radere al suolo gli eserciti per evitare la guerra. E’ una sciocchezza enorme, prettamente ideologica. La difesa dei confini è una delle condizioni dell’esistenza di uno Stato e di una Nazione. A meno che non si voglia radere al suolo anch’essi (cosa che nel caso dei sinistri pacifismi non escludo), allora l’esercito diventa un’elemento essenziale.
Fare il servizio militare è utile. Lo diceva sempre mio nonno, e forse anche quello di molti altri, mentre raccogliendo le briciole del pane dalla tovaglia ricordava con sofferenza la guerra che odiava. La odiava davvero, eppure la naja, diceva a noi che per volere dell’allora ministro della Difesa Sergio Mattarella ne siamo rimasti esclusi, è una tappa che non può che far bene: riduce i casi di trentenni ancora in casa dei genitori a spese della pensione del povero padre.
Ecco perché anziché un privilegio di pochi, l’esperienza di aver marciato sotto il sole e pulito i cessi maleodoranti della caserma dovrebbe essere privilegio di tutti. Ne trarrebbe vantaggio ogni singolo cittadino e l’Italia intera. Così bisognosa di tagliare ai suoi giovani quel “cordone ombelicale” che li tiene “ancora legati al piccolo cosmo della famiglia”.
28 Luglio 2015
Fonte: Il Giornale.it
COSA ACCADE NELL'ARMA DEI CARABINIERI
Un'altra tragedia fra le file dell’Arma dei carabinieri , che ha visto la morte di un altro dei suoi uomini, Luis Miguel Chiasso , presumibilmente suicidatosi il 25.11.2014. Intorno alla vicenda ci sono molte ombre ancora da dissipare. Ciò che duole e che ci ha colpito maggiormente sono i commenti che si leggono su alcuni siti, che propendono a ridicolizzare e considerare pazzo un ragazzo che ha affermato di lavorare per i servizi segreti. Egli denunciava, poco prima dell’infausto evento, nella sua pagina facebbok, la paura di essere ucciso. Prescindendo dalle possibili motivazioni, qualunque esse siano state, banalizzare e deridere un Carabiniere innanzi ad un così tragico evento, solo sulla base di ciò che può aver detto, acuisce il dolore dei genitori affranti dalla perdita del figlio. Una settimana prima, in Ancona, si uccise il M.llo Andrea Carnevalli, e non vorremmo addentrarci ad argomentare i suicidi nelle file dell'Arma ( caso strano tutti con problemi personali ) , poiché l'argomento meriterebbe un'analisi introspettiva più profonda. Riportiamo il post “CARABINIERI – COSA SI CELA DIETRO IL SUICIDIO?” a suo tempo pubblicato nella home page del sito.
Orbene, l'intento dei più di voler dare una valutazione su quanto detto dal giovane Carabiniere, appare difficile e non di semplice lettura, anche perchè, qualora vi fossero ragioni per ritenere veritiere le sue affermazioni “far parte dei servizi”, non sarebbero state certamente rese note. In un Italia ove per decenni si sono celati attentati e mascherate morti eccellenti , pensare che esista ancora qualcosa di inattuabile, appare anacronistico. La realtà a volte può superare l'immaginazione, e per chi non è avvezzo a determinati contesti, tutto può sembrare abnorme e impossibile. Sarebbe quindi il caso di non considerare pazza una persona che si suicida se non vi sono elementi certi per poterlo affermare. Sarebbe opportuno evitare di ricalcare questo argomento e considerare solo i semplici fatti, che dovrebbero essere valutati anche sulla base di quanto da lui dichiarato prima di compiere il disperato gesto. Ma la domanda che ci siamo sempre posti, a prescindere da questa specifica vicenda, è la seguente:”cosa succedde nell'Arma dei Carabinieri, ove esiste la più alta percentuale di suicidi fra le fila dei pubblici dipendenti?”
G.L.
Orbene, l'intento dei più di voler dare una valutazione su quanto detto dal giovane Carabiniere, appare difficile e non di semplice lettura, anche perchè, qualora vi fossero ragioni per ritenere veritiere le sue affermazioni “far parte dei servizi”, non sarebbero state certamente rese note. In un Italia ove per decenni si sono celati attentati e mascherate morti eccellenti , pensare che esista ancora qualcosa di inattuabile, appare anacronistico. La realtà a volte può superare l'immaginazione, e per chi non è avvezzo a determinati contesti, tutto può sembrare abnorme e impossibile. Sarebbe quindi il caso di non considerare pazza una persona che si suicida se non vi sono elementi certi per poterlo affermare. Sarebbe opportuno evitare di ricalcare questo argomento e considerare solo i semplici fatti, che dovrebbero essere valutati anche sulla base di quanto da lui dichiarato prima di compiere il disperato gesto. Ma la domanda che ci siamo sempre posti, a prescindere da questa specifica vicenda, è la seguente:”cosa succedde nell'Arma dei Carabinieri, ove esiste la più alta percentuale di suicidi fra le fila dei pubblici dipendenti?”
G.L.
CARABINIERI - COSA SI CELA DIETRO IL SUICIDIO

Porto Viro, in provincia di Rovigo, un appuntato dei carabinieri uccide il Maresciallo e la consorte, in un impeto d'ira. Come sempre, senza ombra di dubbio, improvvisamente si sentirà dire che è una tragedia inspiegabile e, precisamente:”"Un attimo di follia, un gesto folle che non ha alcuna giustificazione", ha detto il tenente colonnello Enrico Mazzonetto, comandante provinciale di Rovigo facente funzioni, parlando dell'omicidio-suicidio avvenuto in caserma. "Resta una profonda amarezza - ha proseguito - e ora nei colleghi carabinieri delle vittime e in tutti c'é una priorità comune: stare vicino alle due famiglie e dare il massimo conforto e sostegno ai familiari". Ogni volta che succede una tragedia od un suicidio nelle file dell'Arma dei Carabinieri, il movente è sempre inspiegabile, oppure riconducibile a problemi personali e familiari che non attengono all'attività di servizio. Ma è possibile che Nell'Arma dei Carabinieri, vista la sequela dei suicidi occorsi negli anni, si debba ancora oscurare la realtà!? Prima di entrare nell'Arma viene effettuata una selezione fiscale e puntuale sotto tutti gli aspetti, financo psicologici , quindi, ricondurre il tutto a semplici gesti di follia, equivarrebbe a mascherare e minimizzare il problema reale . Spesso le lamentele esternate ai superiori su possibili situazioni di conflitto all'interno di una caserma, vengono minimizzate o non prese in seria considerazione, proprio perché potrebbe esporre il superiore in grado, a critiche e censure, ed è difficile nell'Arma dei Carabinieri anteporre le ragioni di un subalterno al comportamento, magari non corretto, del superiore. Insomma, è evidente che in seno alle istituzioni manca un organismo che vagli le segnalazioni dei militari e conduca una seria e doviziosa indagine al fine di valutare possibili abusi o depistaggi. Abbiamo verificato la percentuale di suicidi nell'Arma? In nessuna amministrazione dello Stato vi è una percentuale così alta. Ci sarà pur un motivo? O vogliamo ancora fare finta di niente?
Si auspica che, negli ambienti di lavoro di carattere militare e/o di Polizia, in un momento così difficile per tutta la società, ci possa essere finalmente quella trasparenza che in ogni dove si prospetta per tutte le amministrazioni dello Stato, oggettivamente subordinata ad una reverente applicazione del Diritto.
Che fare? E' necessario che si vada negli Stati Uniti e si impari da loro, che sono avanti anni luce nell'affrontare queste problematiche . Nelle polizie americane, infatti, esistono dei reparti interni deputati a "filtrare" dal punto di vista psicologico e funzionale (nel senso di operativo, attinente alle funzioni) le situazioni di frustrazione lavorativa, ed il senso di inutilità e oppressione psicologica e funzionale che inevitabilmente, in misura maggiore o minore, prima o poi attanaglia tutti gli operatori, portandoli o ad abusi di potere e corruzione o a manifestazioni di violenza autolesionistica . Per questo delicato compito vengono impiegate persone esperte nei servizi operativi e psicologicamente preparate . In Italia, invece, si continua a lavorare a compartimenti stagni: da una parte il settore operativo e dall'altra il servizio medico (cui , erroneamente, viene totalmente devoluta la risoluzione di queste complesse ed articolate problematiche, che non sono solo -e spesso affatto- mediche) . Forse è il caso che le forze di polizia italiane, inclusi i Carabinieri , si proiettino davvero verso il futuro, guardandosi allo specchio e trovando la forza di riorganizzare la propria funzione nella società, senza ridurre il "burn out" degli operatori ad un fatto esclusivamente medico. Sarebbe molto più utile riorganizzare le proprie risorse umane in funzione delle effettive capacità, facendo sì che ciascuno si senta funzionalmente gratificato dal compito che svolge, ed avverta il proprio lavoro come davvero utile e importante, dal più umile al più alto. Insomma, per dirla con l'eterno Fantozzi, nessuno dovrebbe sentirsi, nella Forze dell'Ordine, una "merdaccia" . In questo senso potrebbe essere quantomai utile una organizzazione operativa delle varie Forze sul modello anglosassone o germanico, in cui la pur necessaria piramide gerarchica è assai mitigata dallo stimolo alla crescita professionale che viene attribuito ai livelli inferiori della piramide, così che nessun livello di essa venga "sprecato". Ad esempio, non è raro, negli omologhi americani o tedeschi, assistere a lezioni di aggiornamento su determinati profili di lavoro che i migliori operatori del ivelli inferiori svolgono a favore di quelli superiori.
In definitiva, probabilmente occorre una visione un pò più moderna dell' organizzazione della nostre Forze di Polizia (ma il discorso potrebbe ben riguardare anche le Forze Armate) , in cui tutti si sentano importanti e nessuno insostituibile, in cui le doti individuali siano messe a disposizione del team . E si finisca una volta per tutte con queste continue conferenze-stampa : si lavori di più per la sostanza e meno per la TV ed i giornali ! Si valorizzino a questo scopo gli uffici-stampa delle varie Forse di Polizia e si lavori con maggior riservatezza e sobietà.
Diversamente, si continuerà fatalisticamente a prendere atto dell'esplosione di aggressività degli operatori , verso se stessi o verso gli altri, con il rischio niente affatto remoto di emulazione in pejus . Chi ha gradi e responsabilità , li eserciti in modo maturo e costruttivo, e possibilmente senza paternalismi e retoriche che nella società moderna (e gi operatori delle varie Forze vivono appieno nell'oggi) sono inefficaci e controproducenti.
G.L.
Si auspica che, negli ambienti di lavoro di carattere militare e/o di Polizia, in un momento così difficile per tutta la società, ci possa essere finalmente quella trasparenza che in ogni dove si prospetta per tutte le amministrazioni dello Stato, oggettivamente subordinata ad una reverente applicazione del Diritto.
Che fare? E' necessario che si vada negli Stati Uniti e si impari da loro, che sono avanti anni luce nell'affrontare queste problematiche . Nelle polizie americane, infatti, esistono dei reparti interni deputati a "filtrare" dal punto di vista psicologico e funzionale (nel senso di operativo, attinente alle funzioni) le situazioni di frustrazione lavorativa, ed il senso di inutilità e oppressione psicologica e funzionale che inevitabilmente, in misura maggiore o minore, prima o poi attanaglia tutti gli operatori, portandoli o ad abusi di potere e corruzione o a manifestazioni di violenza autolesionistica . Per questo delicato compito vengono impiegate persone esperte nei servizi operativi e psicologicamente preparate . In Italia, invece, si continua a lavorare a compartimenti stagni: da una parte il settore operativo e dall'altra il servizio medico (cui , erroneamente, viene totalmente devoluta la risoluzione di queste complesse ed articolate problematiche, che non sono solo -e spesso affatto- mediche) . Forse è il caso che le forze di polizia italiane, inclusi i Carabinieri , si proiettino davvero verso il futuro, guardandosi allo specchio e trovando la forza di riorganizzare la propria funzione nella società, senza ridurre il "burn out" degli operatori ad un fatto esclusivamente medico. Sarebbe molto più utile riorganizzare le proprie risorse umane in funzione delle effettive capacità, facendo sì che ciascuno si senta funzionalmente gratificato dal compito che svolge, ed avverta il proprio lavoro come davvero utile e importante, dal più umile al più alto. Insomma, per dirla con l'eterno Fantozzi, nessuno dovrebbe sentirsi, nella Forze dell'Ordine, una "merdaccia" . In questo senso potrebbe essere quantomai utile una organizzazione operativa delle varie Forze sul modello anglosassone o germanico, in cui la pur necessaria piramide gerarchica è assai mitigata dallo stimolo alla crescita professionale che viene attribuito ai livelli inferiori della piramide, così che nessun livello di essa venga "sprecato". Ad esempio, non è raro, negli omologhi americani o tedeschi, assistere a lezioni di aggiornamento su determinati profili di lavoro che i migliori operatori del ivelli inferiori svolgono a favore di quelli superiori.
In definitiva, probabilmente occorre una visione un pò più moderna dell' organizzazione della nostre Forze di Polizia (ma il discorso potrebbe ben riguardare anche le Forze Armate) , in cui tutti si sentano importanti e nessuno insostituibile, in cui le doti individuali siano messe a disposizione del team . E si finisca una volta per tutte con queste continue conferenze-stampa : si lavori di più per la sostanza e meno per la TV ed i giornali ! Si valorizzino a questo scopo gli uffici-stampa delle varie Forse di Polizia e si lavori con maggior riservatezza e sobietà.
Diversamente, si continuerà fatalisticamente a prendere atto dell'esplosione di aggressività degli operatori , verso se stessi o verso gli altri, con il rischio niente affatto remoto di emulazione in pejus . Chi ha gradi e responsabilità , li eserciti in modo maturo e costruttivo, e possibilmente senza paternalismi e retoriche che nella società moderna (e gi operatori delle varie Forze vivono appieno nell'oggi) sono inefficaci e controproducenti.
G.L.
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L'URANIO IMPOVERITO E LE SUE VITTIME.
Un interessante articolo apparso sul quotidiano “L' Unione Sarda” a firma di Maurizio Olandi, ha riaperto una ferita mai chiusa, che riporta alla mente la morte di Mauro Faedda e Maurizio Serra, due avieri sardi che non hanno ancora visto riconosciuti i propri diritti. La morte dei due giovani, come quella di tanti altri militari, non può essere dimenticata. Loro sono figli di una terra (la Sardegna) violentata, sfruttata e non considerata. La loro sorte ha seguito un percorso quasi identico, come simili sono state alcune loro mansioni, fra le quali, raccogliere proiettili e residui bellici a mani nude. Dispersivo sarebbe continuare a rimarcare la particolarità riguardante l'uranio e le polveri chimiche del munizionamento esploso, ma tali sono le coincidenze oggettive e temporali, da poterle considerare causa o concausa delle malattie insorte fra i militari che hanno svolto servizio nei poligoni sardi, nel caso dei due militari, quello di Capo Frasca.
La battaglia per poter vedere riconosciuti i diritti dei militari ad un equo risarcimento, appare impari e sicuramente difficile, ma la tenacia dell'avv. Antonio Siffu, che rappresenta i due giovani, è uguale a quella di chi non può soccombere innanzi ad un nemico letale che ha ucciso e uccide i figli di questa terra. Non di meno è la battaglia che ormai da anni combatte l'ammiraglio Falco Accame, che con la sua associazione “ANAVAFAF” affronta le problematiche riguardanti l'uranio impoverito, che già troppe giovani vite di uomini con le stellette ha mietuto.
I giovani militari che hanno subito la medesima fine, sono ormai troppi , ancora da riconoscere come vittime della negligenza del Ministero della Difesa. Seppur uno squarcio di luce si sia intravisto nella determinazione di alcune sentenze favorevoli che hanno riconosciuto il giusto risarcimento ad alcuni militari, la battaglia che vede contrapposti gli avvocati che perorano siffatte cause, appare irta e piena di ostacoli. Per le strutture militari è ammissibile morire in un teatro di guerra o in missione, ma non è contemplabile l’ammissione di negligenze ed errori da parte delle strutture dirigenziali, sarebbe ammettere una responsabilità diretta nella morte dei propri uomini. Quindi, un doppio fallimento.
G.L.
La battaglia per poter vedere riconosciuti i diritti dei militari ad un equo risarcimento, appare impari e sicuramente difficile, ma la tenacia dell'avv. Antonio Siffu, che rappresenta i due giovani, è uguale a quella di chi non può soccombere innanzi ad un nemico letale che ha ucciso e uccide i figli di questa terra. Non di meno è la battaglia che ormai da anni combatte l'ammiraglio Falco Accame, che con la sua associazione “ANAVAFAF” affronta le problematiche riguardanti l'uranio impoverito, che già troppe giovani vite di uomini con le stellette ha mietuto.
I giovani militari che hanno subito la medesima fine, sono ormai troppi , ancora da riconoscere come vittime della negligenza del Ministero della Difesa. Seppur uno squarcio di luce si sia intravisto nella determinazione di alcune sentenze favorevoli che hanno riconosciuto il giusto risarcimento ad alcuni militari, la battaglia che vede contrapposti gli avvocati che perorano siffatte cause, appare irta e piena di ostacoli. Per le strutture militari è ammissibile morire in un teatro di guerra o in missione, ma non è contemplabile l’ammissione di negligenze ed errori da parte delle strutture dirigenziali, sarebbe ammettere una responsabilità diretta nella morte dei propri uomini. Quindi, un doppio fallimento.
G.L.

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FALCO ACCAME CONTESTA I RISULTATI DELLA PERIZIA SU QUIRRA - IL RISCHIO ESISTE
"Sono del tutto inaccettabili le dichiarazioni ufficiali secondo cui, a proposito dei poligoni, si afferma con certezza che non vi sono rischi e che di conseguenza non occorre adottare misure protettive per il personale. In realtà esistono certamente rischi da nanoparticelle di metalli pesanti e non si possono in alcun modo escludere i rischi da uranio impoverito". Ad affermarlo, in contrasto con i risultati della super perizia depositata il 4 giugno alla Procura di Lanusei nell'ambito dell'inchiesta sui veleni di Quirra, è Falco Accame, ex ammiraglio, ex presidente della Commissione Difesa alla Camera e attuale presidente dell' Ana-Vafaf, Associazione che tutela le famiglie dei militari deceduti in tempo di pace. (Con l'associazione, si è occupato tra l'altro delle conseguenze dell'uso di proiettili contenenti uranio impoverito sui militari in Libano, in Iraq e nei poligoni della Sardegna).
"Per quanto concerne i poligoni della Sardegna, per oltre 50 anni il personale ha operato a mani nude e senza nemmeno una mascherina, per raccogliere bossolame e residuati bellici rimasti sul terreno dopo i bombardamenti. E per 50 anni non sono state effettuate bonifiche in profondità (per cui occorre effettuare un enorme movimento terra con tempi e spese ingentissime). Di conseguenza possono esservi migliaia di proiettili convenzionali o all’uranio, conficcati nel terreno a 1-2 o anche 5 metri di profondità, la cui presenza non è rilevabile con gli strumenti esistenti. Non a caso in Sardegna l’area di Porto Scuso nelpoligono di Teulada (area in cui sono stati sparati migliaia di proiettili navali ad altissimo potenziale esplosivo nel tiro contro-costa) è stata dichiarata non più bonificabile e permanentemente interdetta all’abitabilità".
"Le affermazioni secondo cui in poligoni, come ad esempio quello di Salto di Quirra, sono stati eseguiti dei carotaggi in base ai quali si stabilisce che non vi è pericolo nel sottosuolo, sono del tutto inaccettabili",prosegue Accame. Per l'ex ammiraglio in realtà non sarebbe stata fatta nessuna bonifica in profondità, "Nemmeno quella pudicissima a 10 cm di profondità suggerita dal sindaco di Villaputzu, Fernando Codonesu". I prelievi si sarebbero limitati a "tre secchielli di terra in base ai quali si decise sulle condizioni di salubrità di 13 mila ettari di terreno. Letteralmente grottesco".
"Altri rischi possono essersi verificati per impiego di missili come i Milan (ma non solo), che emanano radiazioni di torio e altri metalli radianti (soprattutto negli strumenti di guida).
Quanto al fatto che l’uranio impoverito sia intrinsecamente non pericoloso, anche questa affermazione ha scarsissimo senso in quanto se le nanoparticelle emanate entrano nell’organismo (ad esempio per inalazione) possono agire come delle microschegge che possono direttamente danneggiare organi interni".
Nelle valutazioni sul rischio ambientale a Quirra e negli altri siti compromessi dalle attività militari nell'isola potrebbe pesare anche un altro elemento, di carattere squisitamente economico: "La stima iniziale dei costi era stata con superficialità valutata in 50 milioni di euro. Ora si parla di 500 o mille"
4 giugno 2014
"Per quanto concerne i poligoni della Sardegna, per oltre 50 anni il personale ha operato a mani nude e senza nemmeno una mascherina, per raccogliere bossolame e residuati bellici rimasti sul terreno dopo i bombardamenti. E per 50 anni non sono state effettuate bonifiche in profondità (per cui occorre effettuare un enorme movimento terra con tempi e spese ingentissime). Di conseguenza possono esservi migliaia di proiettili convenzionali o all’uranio, conficcati nel terreno a 1-2 o anche 5 metri di profondità, la cui presenza non è rilevabile con gli strumenti esistenti. Non a caso in Sardegna l’area di Porto Scuso nelpoligono di Teulada (area in cui sono stati sparati migliaia di proiettili navali ad altissimo potenziale esplosivo nel tiro contro-costa) è stata dichiarata non più bonificabile e permanentemente interdetta all’abitabilità".
"Le affermazioni secondo cui in poligoni, come ad esempio quello di Salto di Quirra, sono stati eseguiti dei carotaggi in base ai quali si stabilisce che non vi è pericolo nel sottosuolo, sono del tutto inaccettabili",prosegue Accame. Per l'ex ammiraglio in realtà non sarebbe stata fatta nessuna bonifica in profondità, "Nemmeno quella pudicissima a 10 cm di profondità suggerita dal sindaco di Villaputzu, Fernando Codonesu". I prelievi si sarebbero limitati a "tre secchielli di terra in base ai quali si decise sulle condizioni di salubrità di 13 mila ettari di terreno. Letteralmente grottesco".
"Altri rischi possono essersi verificati per impiego di missili come i Milan (ma non solo), che emanano radiazioni di torio e altri metalli radianti (soprattutto negli strumenti di guida).
Quanto al fatto che l’uranio impoverito sia intrinsecamente non pericoloso, anche questa affermazione ha scarsissimo senso in quanto se le nanoparticelle emanate entrano nell’organismo (ad esempio per inalazione) possono agire come delle microschegge che possono direttamente danneggiare organi interni".
Nelle valutazioni sul rischio ambientale a Quirra e negli altri siti compromessi dalle attività militari nell'isola potrebbe pesare anche un altro elemento, di carattere squisitamente economico: "La stima iniziale dei costi era stata con superficialità valutata in 50 milioni di euro. Ora si parla di 500 o mille"
4 giugno 2014