SINDACATI DELLE FORZE ARMATE E DEI CORPI MILITARI DELLO STATO : TENTATO INFANTICIDIO?Siamo rimasti impressionati dal tempismo con il quale lo stato
maggiore dell’Esercito e quello dei Carabinieri si son levati , con comunicati stampa separati, ma emessi come “con un cuor solo”, contro gli organismi sindacali delle relative Armi, con promessa sostanziale di “fare i conti” per violazione delle norme del Codice dell’Ordinamento Militare. Cosa hanno detto di così eversivo i sindacati in questione? Qual’è l’oggetto vero del contendere? Un excursus storico-giuridico è necessario ai fini dell’inquadramento dell’oggetto del contendere. Con la sentenza della Corte Costituzionale 13 giugno 2018, n. 120 dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010 (Codice dell’Ordinamento Militare), laddove prevede che «I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali» anzichè prevedere che «I militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; non possono aderire ad altre associazioni sindacali». In verità,il principio affermato dalla Corte Costituzionale è l’approdo di una rotta già da tempo tracciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nelle sentenze “Matelly contro Francia” e “ADefDroMil contro Francia”, secondo cui l’art. 11 della CEDU configura la libertà di associazione sindacale come un aspetto peculiare della libertà di associazione, senza escludere alcuna categoria professionale dal proprio ambito di applicazione. Questo significa che gli Stati membri non potranno mai mettere in discussione il diritto alla libertà di associazione o imporre restrizioni riguardanti gli elementi essenziali di tale libertà rispetto ai membri delle Forze armate, della polizia o dell’amministrazione dello Stato, ma soltanto introdurre «restrizioni legittime». Parimenti, l’art. 5, paragrafo unico, terzo periodo, della Carta Sociale Europea rimette alla legislazione nazionale di determinare il «principio dell’applicazione» delle garanzie sindacali ai militari e la «misura» di tale applicazione. L’art. 1475 comma 2, quindi, nel fissare in assoluto il divieto per i militari di costituire associazioni sindacali, si pone chiaramente in contrasto con le norme internazionali sopra richiamate, parte integrante di quelle “fonti internazionali” di cui all’art. 117 della Costituzione. Successivamente, quindi, è stata emanata la legge 28 aprile 2022, n. 46, che ha delineato la cornice giuridica nell'ambito della quale è possibile istituire, per la prima volta nell'ordinamento giuridico italiano, associazioni professionali a carattere sindacale tra militari. Il Governo, al fine di garantire il pieno esercizio dell'attività professionale di carattere sindacale, ha adottato il decreto-legge 9 maggio 2024, n. 61 convertito con modificazioni dalla L. 4 luglio 2024, n. 96 (in G.U. 08/07/2024, n. 158) , recante disposizioni urgenti in materia di associazioni professionali a carattere sindacale tra militari, personale militare e civile del Ministero della difesa e operatività delle Forze armate. Il provvedimento, tra le altre, reca misure urgenti in materia di associazioni professionali a carattere sindacale tra militari al fine di garantire l'avvio del nuovo sistema di tutela dei diritti del personale militare previsto dalla legge 28 aprile 2022, n. 46 (poi integrata nel codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66), consentendo ai titolari di cariche direttive l'esercizio delle prerogative (distacchi e permessi retribuiti) loro riconosciute, compresa la partecipazione alle procedure per il rinnovo del contratto (triennio 2022- 2024). Lo stesso reca inoltre modifiche urgenti alla disciplina transitoria in materia di rappresentatività a livello nazionale delle associazioni professionali a carattere sindacale tra militari. Dopo la ricostruzione dell’apparato normativo di riferimento, torniamo ai quesiti iniziali : cos’hanno detto di tanto “eversivo” le rappresentanze sindacali ? Qual’è il vero motivo del contendere? Lo Stato Maggiore dell’Esercito invita il sindacato Itamil a rimuovere dal proprio sito i comunicati “non in linea con le prescrizioni” e “poco confacenti” , con riferimento specifico ai comunicati dei mesi di giugno e luglio 2024,intitolati rispettivamente “Alzare le barricate al dialogo con lo Stato Maggiore dell’Esercito” e “ Perché ITAMIL ESERCITO non firmerà il contratto” . Evidente agli occhi di chiunque che si tratta delle più tipiche espressioni di dissenso sindacale rispetto alle politiche governative sul rinnovo contrattuale , considerate del tutto insufficienti e insoddisfacenti. Questo ha fatto scattare lo Stato Maggiore, timoroso di contrasti pubblici tra i militari e l’autorità politica di turno, contrari allo spirito del Codice dell’Ordinamento Militare. I timori dello Stato Maggiore sono evidentemente infondati, poiché qui non sono in gioco questioni di carattere politico-istituzionale, bensì di mero carattere politico-sindacale , laddove si discute di riconoscere ai militari la giusta retribuzione e le giuste indennità. Nè più e né meno. Lo stesso discorso può farsi per quanto concerne l’attacco dello Stato Maggiore dell’Arma a quattro sindacati dei Carabinieri , rei di aver sollevato dubbi sulla possibilità per i reparti territoriali dell’Arma stessa di far fronte alle nuove e maggiori competenze loro assegnate dal c.d. Decreto Calderone (dal nome della Ministra del Lavoro) per contrastare il caporalato ed il lavoro nero, senza un pari incremento delle risorse umane (nuovo arruolamenti) ed economiche per il personale. Anche qui, cosa vi è di tanto eversivo, posto che pare evidente la natura politico-sindacale degli appunti mossi dai sindacati militari a nuove misure che incrementano le attività a parità di organico ? È lecito o no che i sindacati chiedano il sacrosanto incremento degli organici e delle retribuzioni? Il tempo di Cocer, Cobar, Coir è finito: prima gli Stati Maggiori di tutte le Armi e Corpi Militari se ne rendono conto e prima sarà riallacciato il filo con il Personale, che ha tutto il diritto di farsi rappresentare sindacalmente e di intraprendere tutte le battaglie sindacali connesse alla promozione delle condizioni economiche e sociali. Ma questa sarà una storia ancora da scrivere, e sapete perché? Perché ci vuole un salto culturale e generazionale, che pare per ciò solo precluso , absit iniuria verbis, all’attuale generazione degli Stati Maggiori, ormai avanti negli anni ed in troppi casi ancorata ad una visione del personale “uso ad obbedir tacendo , e tacendo morir” anche in tempo di pace, magari auspicando il contrappello a mezzanotte fino al grado di tenente colonnello... Non si può vivere il presente guardandosi indietro, però ...quanto ci mancano Sandro Pertini , Giovanni Spadolini e Falco Accame ! A.S. Scampata tragedia. Rapina a Sassari - le carenze operative delle Forze di Polizia. UOPI SOS e API, uno specchietto per le allodole?Nella rapina perpetrata a Sassari il 29 Luglio 2024, nella sede della MONDIALPOL, sono emerse tutte le criticità tecnico-operative delle forze di Polizia. Un attacco militarmente congegnato, probabilmente attuato da militari od ex militari, e/o comunque , da persone decise e ben formate in basi “clandestine” , probabilmente nella terza isola del Mediterraneo. Non si esclude il coinvolgimento di un basista che abbia fornito notizie cruciali per capire quanto denaro vi fosse e dove esso si trovasse.
Orbene, tutto ciò che attiene lo sviluppo delle indagini, lo lasciamo a chi di dovere, con i migliori auguri di buon lavoro. Non possiamo tuttavia esimerci da alcune riflessioni generali sulla tempistica degli interventi e sulla loro totale inefficacia , a prescindere dalla buona volontà dei bravi operatori interessati. Le circostanze casuali dell'intervento, a seguito degli allarmi dei vigilantes e dei cittadini, hanno evidenziato tutte le criticità e messo a rischio gli stessi operatori intervenuti, innanzi a rapinatori decisi ad uccidere pur di portare a termine il colpo . I colpi esplosi con precisione sull'auto dei Carabinieri da notevole distanza dimostrano la loro preparazione e la loro cruenta determinazione. La circostanza ha voluto che arrivasse prima un'autoradio del Nucleo Radiomobile, dotata di vetro antiproiettile nella parte anteriore, anziché un'auto della Stazione CC o della Gdf o anche della Polizia, sprovviste della medesima protezione. Cosa sarebbe successo in tal caso? Probabilmente avremmo pianto la morte di altro personale in divisa. Il numero e la temerarietà dei rapinatori ha dimostrato quali difficoltà si possono manifestare dinanzi a questi episodi. Le complessità nel fronteggiare simili eventi da parte delle forze dell'ordine si palesano a tutto tondo, sia per la carenza di idoneo equipaggiamento , sia per l'inidonea preparazione di taluni reparti territorialmente disposti. Tali eventi dovrebbero essere prevenuti ed idoneamente affrontati, con una pianificazione dell’addestramento del personale degna di questo nome (pianificazione addestrativa) . Da qui quella che ai cittadini presenti casualmente ai fatti (quelli che hanno girato parte dell’azione banditesca con i propri telefonini, esclamavano tutto il proprio stupore allorquando i rapinatori sparavano contro l’auto dei Carabinieri) è sembrata una resa dello Stato in questa circostanza, sia sotto il profilo legislativo che sotto il profilo tecnico- operativo. L'uso certosino dell'esplosivo ed i tiri esplosi con precisione da notevole distanza sull'auto dei carabinieri, bloccando i militi intervenuti al loro posto senza possibilità di efficaci reazioni, fanno capire quale preparazione vi fosse dietro questo episodio delittuoso. La fortuna ha voluto che il tutto si risolvesse senza alcun morto . Per quanto tempo ancora possiamo lasciare sempre tutto alla casualità ed alle circostanze del momento, sperando che i delinquenti da affrontare siano, per così dire, “ professionisti ” e non scalzacani cocainomani disposti a tutto? E' vero, abbiamo varie unità che avrebbero potuto fronteggiare questi rapinatori, Gis, Nocs, Cacciatori , etc., ma sappiamo bene che tali unità non sono programmate per il pronto intervento territoriale . Per tali emergenze, erano state istituite squadre come le SOS, le Api e le UOPI, in forza ai Carabinieri ed alla Polizia di Stato, ma se anche queste non sono dislocate sul territorio omogeneamente (es. Comandi Provinciali e Questure), come si può pretendere un pronto intervento rapido e specializzato ? Oseremmo dire, visto il numero e l’armamento dei rapinatori, che forse è stato meglio così. In questo momento parliamo di questo specifico evento, ma non dimentichiamoci che la situazione geopolitica e sociologica odierna, non fa presagire nulla di meglio. Alcune frange infiltrate tra gli immigrati clandestini, la delinquenza locale sempre più dominata dallo spaccio di stupefacenti, di prodotti farmaceutici e di armi provenienti dalle zone in guerra, la crescita di vere e proprie bande che gestiscono tali traffici insieme alla prostituzione maschile e femminile in varie zone delle nostra città, restituiscono un’immagine dello Stato non proprio efficiente o comunque in grado di contrastare il fenomeno delinquenziale più strutturato. Forse è il caso che gli operatori delle forze di Polizia vengano dispiegati con maggior raziocinio, come pure sostengono da sempre, e da sempre inascoltati, gli organismi sindacali della varie forze dell’ordine, che pure avevano segnalato a più riprese la necessità dell’assegnazione di corposi rinforzi nel territorio interessato dalle ultime rapine in Sardegna. I vari governi succedutisi, di ogni colore e coalizione, si guardano bene dal procedere a consistenti arruolamenti (sì, avete letto bene : arruolamenti) di giovani nelle forze di polizia; ed i vertici delle forze di polizia, a loro volta, forse perché troppo vicini al centro di Roma, si guardano bene dal concordare linee d’azione comuni in forma di “moral suasion” per ottenere i robusti aumenti di organico che servono, unitamente ai mezzi per la pianificazione degli addestramenti operativi. Si aspetta forse che ci scappino le stragi ? siamo uomini o caporali ? Riflessioni sull’immagine riflessa degli uomini dello StatoAlcuni fatti di cronaca nazionale che hanno impegnato e ancora oggi impegnano giornali e telegiornali, hanno creato all’interno del mondo delle forze dell’ordine non pochi imbarazzi.
Di cosa parliamo ? Controllate, amici lettori, molte delle fotografie degli uomini politici sottoposti a indagine o condannati, e molto spesso, troppo spesso, vedrete che accanto ai politici inquisiti e condannati di ogni colore troverete (a parte le scorte doverosamente in borghese) uomini delle forze dell’ordine in uniforme, impettiti , orgogliosi e tronfi come il “miles gloriosus” della commedia di Plauto, accanto all’ ”Autorità” di turno, magari in occasione di convegni turistici, gastronomici, culturali, e così via; eventi propagandistici che però nulla hanno a che fare con i veri e propri compiti istituzionali delle forze dell’ordine e che servono solo a “segnare” il territorio con una presenza più o meno graduata, a voler dimostrare che accanto al/alla potente (o impotente, a ben vedere , se solo si pensa a chi li ha messi lì) di turno c’è la forza dell’ordine X , che quindi conta più della forza dell’ordine Y , e così andare verso il “fancazzismo” più assoluto. È mai possibile che si debbano distogliere gli uomini e le donne dalle quotidiane attività ordinarie per presenziare – a parte le normali esigenze di ordine pubblico e sicurezza – a tali “eventi” mediatici? A cosa si sono ridotte le forze dell’ordine, oggi ? A mera immagine? E’ mai possibile che la mentalità sia ancora quella dei salti nel cerchio di fuoco per dimostrare al potente di turno ed ai media intervenuti quanto siano capaci e intrepidi i propri uomini ? È mai possibile che queste sciocchezze e la presenza accanto al potente di turno contino più del malessere degli uomini e delle donne in divisa che ogni santo giorno devono avere a che fare con organici vergognosamente carenti e anziani, e si pretenda da loro di estrarre il sangue dalle rape? Perché invece non si tirano fuori gli attributi e si pretende dai , proprio dai potenti di turno, l’incremento ed il ringiovanimento degli organici , aumenti retributivi e strutturali , e alloggi di servizio , anziché accettare da essi le solite inutili sviolinate e blandirli con sterili baciamano ? Vedete, cari amici lettori, che poi la realtà trova il suo prepotente spazio nella vita di ogni giorno, e la storia presenta sempre la sua vendetta: il “miles gloriosus” di vario grado era tutto bello tronfio accanto al potente di turno e poi finisce immortalato nelle immagini di repertorio accanto a chi è stato sbattuto nella patrie galere per essere stato scoperto con le mani nella marmellata, come il peggiore dei ladri... Che brutte figure riflesse... Diceva l’immenso Totò in un vecchio film degli anni Cinquanta : « L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: Uomini e caporali» , dove nella prima sono raffigurati gli uomini che rimangono sempre gli stessi, mentre nella seconda è ricompresa la classe dominante, opportunista e trasformista, senza scrupoli, capace di cambiare colore a ogni giro di boa. È il caso di decidere una volta per tutte cosa si vuole essere: uomini o caporali? A.S. L'AMARA CRONACA DEI SUICIDI NELLE FORZE DI POLIZIA. i vertici ignorano il problema. una VERGOGNA TUTTA ITALIANAAlcune righe anticipano la e.mail del maresciallo della Guardia di Finanza Presutti Beniamino, prima dell'infausto gesto, ove spiega le cause del suo suicidio, riconducibili esclusivamente a problemi legati al lavoro.
Noi non intendiamo inserire alcun commento e non vorremmo reiterare gli argomenti già affrontati innumerevoli volte su queste pagine. Nulla ad oggi è cambiato , ma la lettera del M.llo Presutti Beniamino non lascia alcun dubbio su quali siano i reali problemi in seno a tali amministrazioni. Pubblichiamo quindi la e.mail nell'intento di rispettare la volontà di rendere pubbliche le motivazioni che lo hanno indotto a questo infausto gesto. Speriamo che si possano fugare i dubbi di coloro che credono che i problemi siano di natura psicologica o che essi debbano essere ricercati in seno alla famiglia. LA LETTERA – Lo scrivente Presutti Beniamino, nato a Perugia il 20/04/1972 residente in Vitorchiano (Vt) via Bachelet e domiciliato in Pistoia via Foresi – Maresciallo Aiutante della Guardia di Finanza in servizio presso la Sala Operativa del Comando Provinciale di Pistoia, scrive la presente mail alcuni minuti prima del proprio decesso al fine di far conoscere le cause che lo hanno portato a prendere questa decisione. Preciso che questo mio gesto è legato esclusivamente alle vicende lavorative in quanto non ho problematiche fisiche, familiari ed economiche. Se sono arrivato a questo punto è perché nella guardia di finanza c’è una tensione altissima. La gerarchia vuole che agli occhi dell’opinione pubblica l’immagine del Corpo appaia perfetta, senza interessarsi minimamente del personale. Nel mio caso, sono stato impiegato per più di 25 anni in una sala operativa, prendendo una specializzazione (Esi – Esperto per la sicurezza delle informazioni) e diverse qualifiche necessarie per poter operare in settori di servizio specifici ed ora, dopo aver ottenuto il trasferimento a Viterbo, (dopo quasi 29 anni di servizio e innumerevoli domande presentate) sono stato destinato ad un settore di servizio completamente diverso, che non ho mai fatto, nonostante ci siano uffici, (sala operativa e sezione operazioni) alla stessa sede, in cui è previsto l’impiego di personale con la mia specializzazione (e’ vero che alcuni di essi sono al completo come numero di militari ma non tutti hanno la specializzazione per potervi operare e pertanto sono “abusivi”). Preciso che per i settori di servizio che dovrò affrontare ho ricevuto delle nozioni risalenti al periodo del corso di formazione frequentato da ottobre 1993 a luglio 1995. Questo nuovo impiego, a cui sarà destinato, ha suscitato in me una forte tensione emotiva dovuta anche allo stress che ho accumulato nel corso degli anni di servizio poiché, sono stato impiegato anche in turni di 12/18 ore continuative o senza rispettare l’intervallo tra un turno e l’altro che deve essere di 11 ore (invece molte volte nella stessa giornata ho fatto 8/14 e poi 20/08 oppure 20/08 e poi 14/20). Infine, chiedo ai miei cugini S. e M., di consegnare questa mail ai miei genitori. Ai miei funerali non voglio che ci sia la rappresentanza della guardia di finanza ma solo gli amici, in abiti civili, che ho conosciuto nel corso degli anni travagliati che ho trascorso nel Corpo. Beniamino Presutti G.L. MALESSERE NELLE FORZE ARMATE E NELLE FORZE DI POLIZIA . I SUICIDI CONTINUANO.Più volte sono state affrontate le problematiche in relazione ai suicidi nelle forze armate e forze di Polizia, ed ancora oggi ci rendiamo conto di quanta ignavia vi sia nel voler affrontare nei modi più corretti l'annoso problema. Si ha la sensazione che le motivazioni in essere siano troppo spinose per poterle esaminare e giungere ad una possibile spiegazione. Ancora oggi il problema sussiste ed è più che mai attuale, ma si è ancora lontani dalle ipotetiche soluzioni, atteso che non pare vi sia una reale volontà dirimente da parte delle Autorità preposte. Tutto gira intorno ad ipotesi aleatorie che allontanano lo sguardo dal vissuto reale dei cittadini in divisa. Noi abbiamo pensato che i problemi siano variegati, quasi tutti insiti nella gestione interna a queste amministrazioni . Uno dei maggiori problemi è quello della vicinanza alle proprie famiglie e la possibilità di poter ottimizzare i propri progetti. Parliamo quindi della problematica dei trasferimenti. Essi vengono affrontati dalle singole amministrazioni in maniera differente, nella Guardia di Finanza si devono attendere 10 anni prima di poter presentare una domanda di trasferimento, nella incertezza che essa possa essere accolta. I problemi ostativi sono le solite esigenze di organico e di servizio. Nell'Arma dei Carabinieri si devono invece attendere quattro anni prima di richiedere un trasferimento, con l'incertezza che possa essere accolta la destinazione richiesta, sempre per i motivi anzidetti . Chi giunge in Sardegna deve forzatamente prestare servizio nel Nuorese , dopodiché, trascorsi altri quattro anni, si può riproporre la domanda di avvicinamento, vagliabile in subordine alle esigenze di "servizio e di organico", motivazioni, queste, che hanno subito nel tempo una carenza di motivazione giuridica, se non accuratamente comprovate. Nella Polizia di Stato, viceversa, abbiamo notato una maggiore trasparenza ed un maggior snellimento delle procedure. Sostanzialmente la prospettiva di crescita e di consolidamento di una vita familiare, con tutte le difficoltà che ne conseguono, vengono spesso rinviate e sottovalutate dalle suddette Amministrazioni . Noi abbiamo considerato uno dei problemi, ma essi sono molteplici, come si potrà rilevare nell'attenta disamina di Cleto Iafrate , che di seguito vi proponiamo.
G.L. L'onore e il peso della divisa Il suicidio dei militari è un fenomeno complesso e, purtroppo, troppo diffuso, tanto da aver dato origina a un apposito osservatorio, aggiornato costantemente da circa quattro anni. Qualche tempo fa se ne è parlato in un apposito workshop organizzato dal COISP Molise dal titolo "L'Onore e il Peso della divisa", reperibile online (L'Onore e il Peso della Divisa). Il fenomeno merita una particolare attenzione: ecco di cosa si è parlato. L'osservatorio sui suicidi dei militari L'osservatorio sui suicidi dei militari è stato istituito circa quattro anni fa dallo scrivente quando faceva parte della Rappresentanza militare, una specie di sindacato giallo. La Rappresentanza, pur potendo occuparsi di benessere del personale, non può parlare di "ordinamento, addestramento, rapporto gerarchico-funzionale, operazioni, settore logistico–operativo e impiego del personale". Ma il malessere dei militari in certi casi si annidava proprio lì. Per fortuna, di quanto fosse inutile quello strumento tre anni fa se ne è resa conto anche la Corte Costituzionale che, su sollecitazione della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ne ha sancito l'inadeguatezza con la nota sentenza nr. 120 del 2018. Nel corso della sua attività di Rappresentante dei militari ha approfondito diverse tematiche e analizzate anche le varie Relazioni sullo stato della disciplina militare che nel corso degli anni precedenti il Ministro della Difesa aveva trasmesso al Parlamento[1]. Lo prevedono i regolamenti militari[2]. Fu allora che emersero i numeri allarmanti dei suicidi militari[3]: basti pensare che, solamente nell'anno 2010, all'interno dell'Arma dei Carabinieri, che ha un organico di circa cento mila militari, ben 22 di essi avevano deciso di togliersi la vita[4]. Il dato equivaleva ad una percentuale ben quattro volte superiore alla media nazionale, che era di circa 5 ogni cento mila cittadini. Da qui, alcune riflessioni: per accedere nei corpi militari bisogna superare dei test psicoattitudinali assai severi e selettivi, che non sono proprio alla portata di tutti. I problemi che spingono alcuni militari a compiere l'estremo gesto, quindi, probabilmente insorgono in un momento successivo all'arruolamento. Ancora più sconvolgente era il fatto che tutti questi morti fossero degli "invisibili" di cui nessuno parlava. Nessuno voleva occuparsi di loro. Non se ne parlava sulla stampa, l'argomento era un tabù. Una circostanza inaccettabile. Così nacque il Gruppo Facebook denominato "Osservatorio Suicidi in Divisa". Suicidi dei militari:fattori patologici e fisiologici Una certa corrente di pensiero sostiene che le motivazioni alla base dei suicidi siano tutte riconducibili a fattori che possiamo definire, usando un termine improprio ma significativo, fisiologici; cioè sarebbero riconducibili allo stress connesso al lavoro svolto (nel corso del quale si è spesso a contatto con la sofferenza e la morte) e, soprattutto, a problemi di natura personale e familiare (una separazione, una malattia incurabile, un lutto improvviso). Poi, la disponibilità di un'arma da fuoco trasforma il disagio in tragedia. Tuttavia, l'incidenza di questi fattori, che è certamente preponderante sul fenomeno dei suicidi militari, da sola non basta a spiegare tutti gli eventi suicidari. Anche gli infermieri e, in generale, tutto il personale ospedaliero sono a contatto quotidianamente con la sofferenza e la morte; anche loro hanno la disponibilità di farmaci attraverso i quali potrebbero darsela. Eppure nelle corsie degli ospedali il fenomeno suicidario non è così diffuso. Pertanto, alcuni eventi suicidari –non tutti ovviamente- debbono essere indagati anche in relazione alla presenza di ulteriori fattori di potenziamento dello stress derivante dal lavoro svolto e dai problemi personali e familiari. Non a caso, quando si parla di suicidio, si parla di evento multifattoriale complesso non ascrivibile ad univoche relazioni causa effetto. Si tratta di fattori meno noti e ancora tutti da studiare che vanno a sommarsi ai precedenti, amplificandone gli effetti. Impropriamente, possono essere definiti "fattori patologici" perché sono riconducibili ad alcune gravi e anacronistiche storture ancora presenti nel mondo militare e delle forze di polizia ad ordinamento militare. Essi sono solo un aspetto di un problema di assai più vaste dimensioni. Questi fattori sono una specie di danno collaterale provocato da una malintesa[5] e mal declinata specificità militare. Specificità che è funzionale al raggiungimento di un determinato obiettivo che nulla ha a che fare con l'efficienza e la massima operatività dello strumento militare. La specificità militare Tali "storture", dunque, non possono essere analizzate disgiuntamente dal concetto di specificità militare. Per spiegare a chi è al di fuori del mondo militare cos'è la specificità militare, può essere utile partire dal pensiero del prof. Giuseppe Maggiore, giurista e scrittore vissuto agli inizi del secolo scorso. Il prof. Maggiore nei suoi scritti[6] propose nel 1939 di introdurre anche la "volontà del Duce" nel nostro principio di legalità, ad imitazione di quello hitleriano. Il principio di legalità non è altro che il perimetro del potere: cioè, la legge. Un potere che non sia delimitato dalla legge è incompatibile in uno Stato di diritto ed è potenzialmente esposto all'arbitrio. Questa singolare tesi del prof. Maggiore, che metteva in discussione il principio di separazione dei poteri, il principio di legalità e quello di certezza della pena, rende bene l'idea di ciò che ancora oggi rappresenta. Infatti, se prendiamo i quattro momenti che scandiscono la vita di ciascun militare e incidono sulla sua realizzazione professionale e sul suo benessere personale e familiare –cioè, i trasferimenti di sede, i giudizi annuali caratteristici, le sanzioni disciplinari e le benemerenze di servizio- ci rendiamo conto che in ciascuno di questi momenti la volontà del capo costituisce e sostituisce il principio di legalità. Cioè, in ognuno di questi momenti la volontà del capo è legge, in assenza di regole chiare e, soprattutto, uguali per tutti. Analizziamoli singolarmente. Il trasferimento di sede Il trasferimento di sede è qualificato come un ordine militare e, pertanto, a differenza del trasferimento di un qualsiasi altro dipendente pubblico, non necessita di una specifica e ben argomentata motivazione. È sufficiente che la motivazione sia appena cennata, sfumata, del tipo: per esigenze di servizio, oppure per incompatibilità ambientale[7]. Che sarà mai questa incompatibilità ambientale! Una siffatta disciplina dei trasferimenti equivale, di fatto, a militarizzare tutti i componenti di un nucleo familiare; perché un trasferimento non richiesto e, pertanto, non gradito, spesso stravolge la vita di un intero nucleo familiare. Un tale sacrificio può essere utile in guerra; in quel contesto l'ordine di trasferimento non necessita di spiegazioni, perché prevale il bene supremo della nazione, ma in tempo di pace mi sembra una norma anacronistica, oltre che illogica. Rispetto a questo tema, andrebbe fatta una riflessione. Se in Italia il trasferimento di un bidello o di un professore è un atto amministrativo, come può quello di un ufficiale di polizia giudiziaria essere un ordine militare? Non siamo mica al fronte! Se il trasferimento di un bidello è presidiato da un "muro" che si chiama legge 241/90 sulla trasparenza amministrativa, perché quello di un ufficiale di polizia giudiziaria è presidiato da uno "steccato"? Dunque, i trasferimenti militari immotivati potrebbero costituire uno strumento di pressione per gli stessi militari e di malessere per le loro famiglie. E a nulla vale la tesi di chi potrebbe replicare dicendo: "Ma qual è il problema? Si può fare sempre ricorso contro il provvedimento ritenuto ingiusto". Non è proprio così. Il militare che ricorre contro un provvedimento di trasferimento deve accollarsi, in prima battuta, le spese del ricorso e, in prospettiva, il rischio di pagare l'avvocato, ove il ricorso venga rigettato. Detto a chiare lettere, un ricorso potrebbe costargli diverse migliaia di euro, perché le amministrazioni militari appellano sempre le sentenze dei TAR a loro sfavorevoli. Tanto anche in caso di sconfitta nessuno paga. E non è detto che alla fine il ricorrente la spunti. Anzi….[8]. Questo discorso sul problema dei costi della giustizia amministrativa vale per ciascuno dei successivi momenti della vita professionale del militare che analizzeremo. Le note annuali caratteristiche Passiamo al secondo momento: le note annuali caratteristiche. Sono dei giudizi che annualmente i superiori devono redigere nei confronti dei militari dipendenti. Ebbene, la specificità militare conferisce al compilatore una discrezionalità smisurata. Per avere un'idea di quanto sia sconfinata, si consideri che è accaduto la "cultura generale" di un militare laureato in Economia e Commercio è stata valutata dal compilatore delle note caratteristiche due gradini al di sotto di quella (valutata "vasta e profonda") dei suoi colleghi con la terza media. Preciso che i giudizi annuali sono una sorta di "sentenza che incide direttamente sugli sviluppi della carriera".[9] Infatti, quel militare negli anni successivi non ha potuto partecipare ai vari concorsi interni per l'avanzamento, poiché uno dei requisiti richiesti dai bandi è quello di essere valutato almeno "superiore alla media" nel triennio precedente la data del bando stesso. In altre parole, quel militare, dopo essere stato dichiarato dottore in Economia e Commercio da una istituzione dell'ordinamento statuale, è stato di fatto "retrocesso" alle scuole medie da una istituzione dell'ordinamento militare. Tornando all'esempio precedente, è come se i Presidi avessero il potere di retrocedere i professori a bidelli, oltre che quello di trasferirli entrambi per non meglio specificati motivi di servizio. Di norma, solo in tempo di guerra si conferisce agli apparati militari una sorta di "supremazia speciale", cioè dei poteri speciali che derogano a quelli statuali; ma in tempo di pace e di democrazia tali poteri dovrebbero rientrare negli argini costituzionali, perché potrebbero aprire la porta a comportamenti discriminatori nei confronti dei sottoposti. In questi casi gli strumenti di valutazione del personale potrebbero trasformarsi i strumenti di pressione e in certi casi di mortificazione del personale stesso. Le sanzioni disciplinari: le sanzioni di Corpo.. Terzo momento: le sanzioni disciplinari. Esse si distinguono in sanzioni di Corpo e sanzioni di Stato. Tra le sanzioni di Corpo troviamo la sanzione della consegna, che può essere semplice o di rigore. Per determinate categorie di militari, cioè tutti quelli che fruiscono della libera uscita, la sanzione della consegna ha la stessa afflittività[10] degli arresti domiciliari; infatti impone l'obbligo di non uscire dalla caserma per un determinato tempo. Attenzione. Secondo l'ordinamento statuale nessun cittadino può finire agli arresti domiciliari in assenza di una legge che lo preveda. Infatti, il principio di legalità impone che la sanzione degli arresti sia presidiata da una serie di tutele e cautele a garanzia dei diritti del condannato, proprio perché comprime la sua libertà di movimento. Dunque, per un cittadino non militare devono esserci almeno due presupposti: la terzietà e imparzialità del giudice che assume la decisione e la violazione di una norma penale preesistente, scritta in maniera chiare e nota al cittadino che la infrange. In ambito militare, invece, questi presupposti mancano entrambi. La sanzione della consegna, infatti, viene inflitta dal comandante che non è terzo e, di conseguenza, non può essere nemmeno imparziale, perché non c'è imparzialità in assenza di terzietà. Inoltre, le violazioni che danno luogo ai rilievi non sono affatto tipizzate. Infatti, la norma si limita a stabilire che la consegna punisce le violazioni dei doveri militari e le più gravi trasgressioni alle norme della disciplina e del servizio[11]. Non c'è dubbio che la scelta di una tale locuzione linguistica –violazione dei doveri- si presta, a causa della sua indeterminatezza, alle più disparate elusioni dei fondamentali diritti del militare; il quale non è posto affatto nella condizione di conoscere preventivamente i comportamenti punibili con la sanzione della consegna. Per avere un'idea circa la genericità della norma, si consideri che tra i doveri del militare vi è anche quello di "curare il suo aspetto esteriore", di "compiere ogni operazione con le prescritte modalità, assegnare un posto per ogni oggetto, tenere ogni cosa nel luogo stabilito". Chi stabilisce quali sono queste modalità e questi posti? Dunque c'è costantemente una specie di spada di Damocle che pende sulla testa del militare. Stando così le cose, la discrezionalità dell'Amministrazione militare è massima. Le motivazioni delle punizioni sono ben custodite negli archivi delle caserme, ogni tanto però qualcuna sfugge e finisce sugli organi d'informazione. Di seguito vedremo tre motivazioni "tematiche", attinte da fonti aperte, che hanno dato luogo ad altrettante sanzioni disciplinari, in cui la discrezionalità amministrativa è stata addirittura fantasiosa:
Ma non finisce qui. L'azione disciplinare non è obbligatoria. Non esiste un obbligo di infliggere la medesima sanzione a identiche mancanze disciplinari. Cioè, l'autorità militare ha un potere discrezionale e può punire se vuole e non punire se non vuole[16]. Dunque, se due militari commettono la stessa mancanza, uno può essere legittimamente sanzionato e l'altro perdonato. In ambito militare non è solo l'azione disciplinare ad essere facoltativa, ma addirittura anche quella penale è a discrezione del comandante. Infatti, ai sensi dell'art. 260 del codice penale militare di pace (c.p.m.p.) il comandante di Corpo ha la facoltà discrezionale di limitare nell'ambito disciplinare la repressione di determinati reati espressamente indicati. Stando così le cose, si può affermare che lo strumento sanzionatorio militare è andato addirittura oltre la folle proposta del prof. Maggiore; in quanto, non solo la volontà del capo costituisce principio di legalità nella comminazione di sanzioni, ma il capo ha addirittura la facoltà di esprimere la sua volontà sanzionatoria quando, come e anche contro chi vuole. Quello sanzionatorio, dunque, è un potere immenso che, se posto nelle mani sbagliate, potrebbe essere alla base di atti discriminatori o vessatori nei confronti dei militari sottoposti. Si consideri che una sanzione, oltre ad avere un effetto devastante sulla carriera, costituisce presupposto per l'abbassamento delle note caratteristiche. E con un giudizio di "inferiore alla media" si rischia di perdere il posto di lavoro, se reiterato per due anni. Dunque, la sanzione non ha una valenza meramente interna, ma incide indirettamente sul diritto alla giusta retribuzione e, cosa ben più grave, sul diritto super-costituzionale alla conservazione del posto di lavoro. ...e le sanzioni di Stato Il posto di lavoro lo si può perdere, oltre che indirettamente con le sanzioni di Corpo, anche direttamente con le sanzioni di Stato. Queste sanzioni scattano nel momento in cui un militare viene accusato di aver commesso un determinato reato. Esse consentono all'amministrazione addirittura di licenziare un militare, all'esito di un procedimento di Stato, che può iniziare e concludersi già nel corso delle indagini, prima ancora che il militare sia rinviato ad un regolare processo. Infatti, grazie ai vari interventi legislativi posti in essere prima con la "riforma Brunetta" e successivamente con quella "Madia"[17], il procedimento di Stato non deve essere più sospeso per la contestuale presenza di un giudizio penale, cioè è venuta meno la pregiudiziale penale. In questo modo le amministrazioni militari, in barba al carattere rieducativo che dovrebbe avere la pena, possono mettere sul lastrico un lavoratore (magari monoreddito con moglie e figli a carico) sulla base di un'accusa che poi potrebbe anche rivelarsi infondata nei tre gradi di giudizio. Non va trascurato il fatto che, in assenza del requisito della terzietà, quello emesso dalle commissioni di disciplina non sarà mai un giudizio imparziale[18]. Nei casi in cui il lavoratore ritiene di essere innocente e gli vengono a mancare le risorse economiche per poterlo dimostrare, il rischio di suicidio è concreto. Qualche tempo fa nell'Osservatorio Suicidi in Divisa è stata pubblicata la notizia del ritrovamento e del ricovero in ospedale di un militare di cui si erano perse le tracce qualche giorno prima. Subito dopo, un membro del gruppo -quasi sicuramente l'interessato- ha commentato quella notizia con queste parole: "Sono stato già condannato, solo perché indagato e non ancora processato. Visto che per tutti risulto colpevole, in un momento di sconforto avevo deciso di smettere di combattere. Devo ringraziare il personale della Polizia ferroviaria che ha capito ciò che mi apprestavo a fare ed è intervenuto con professionalità esemplare". Certo non può dirsi che non bisogna licenziare chi ha commesso dei reati, ma bisogna farlo quando se ne ha la certezza, fino a quel momento potrebbe essere sospeso dall'attività operativa ed essere impiegato in altri servizi. Metterlo sul lastrico proprio quando ha bisogno di pagare gli avvocati per dimostrare la sua presunta innocenza, significa portarlo alla canna del gas. Anche perché il gratuito patrocinio si ottiene in base all'ISEE. Ma l'ISEE si calcola sempre in riferimento alla dichiarazione dei redditi relativa all'anno precedente. Dunque la persona sospesa non avrà né lo stipendio e né il gratuito patrocinio per potersi difendere. Ma questo è un altro discorso. Facciamo un altro esempio di uso disinvolto dello strumento delle sanzioni di Stato. Da una interrogazione parlamentare[19], qualche settimana fa, si è appreso che un militare, Segretario Regionale di uno dei neonati sindacati militari, è stato sospeso dal servizio per aver rilasciato (nell'esercizio del suo mandato sindacale) dichiarazioni a tutela della salute del personale militare esposto ai rischi del Coronavirus. Dunque, questo strumento non può essere usato con disinvoltura perché crea dei danni all'intero nucleo familiare, si pensi a chi ha delle spese fisse da sostenere (per esempio, un mutuo da pagare). Tornando all'esempio precedente, è come se i Presidi avessero il potere di recludere bidelli e professori non ammogliati nel plesso scolastico fino a sette giorni consecutivi e di licenziarli sulla base di un'accusa che nei tre gradi di giudizio potrebbe anche rivelarsi infondata. Tante e tali deroghe alle regole alla base di uno stato di diritto sarebbero, al limite, giustificate all'indomani della dichiarazione dello stato di guerra, in quanto funzionali alla situazione emergenziale, ma in tempo di pace la non obbligatorietà dell'azione disciplinare e penale -limitatamente a determinati reati- potrebbe essere alla base di azioni discriminatorie che potenzialmente possono rappresentare un motivo di stress aggiuntivo che va a sommarsi a quello derivante dal particolare lavoro svolto e dai problemi familiari. Le benemerenze di servizio Le benemerenze di servizio: per esempio, elogi ed encomi. Esse sono delle ricompense che il superiore concede a quei militari che si distinguono per lodevole comportamento o per aver compiuto in servizio atti speciali/eccezionali. Qualcuno le ha definite come delle "vitamine" per la carriera. Gli encomi, infatti, sono molto utili nelle procedure di avanzamento e in occasione dei concorsi interni. Si consideri che in alcuni concorsi ad un militare in possesso del diploma di scuola secondaria di secondo grado basta poco più di un encomio per azzerare il punteggio derivante da una laurea. Inoltre, ad un agente di polizia tributaria con la licenza media bastano poco più di cinque encomi solenni per azzerare i dieci anni di studio necessari per conseguire prima il diploma e poi la laurea[20]. Verrebbe da dire, altro che vitamine, queste sono delle vere e proprie "sostanze dopanti" la carriera! È legittimo, a questo punto, chiedersi quali siano questi atti così eccezionali da meritare una laurea ad honorem spendibile nei concorsi interni per l'avanzamento. È legittimo chiederselo, perché se le loro motivazioni avessero un'utilità per la collettività, per esempio la scoperta di un vaccino contro il Covid, allora sarebbe tutto (quasi) accettabile. Ebbene, intorno alle motivazioni alla base delle benemerenze di servizio c'è tanto mistero; esse sono ben custodite tra le mura delle caserme. Ogni tanto però qualcuna trapela all'esterno per finire sugli organi d'informazione. Di seguito tre motivazioni, pubblicate su fonti aperte, che hanno dato luogo ad altrettanti encomi:
Lo strumento delle ricompense per atti eccezionali in origine venne introdotto, probabilmente, per premiare in guerra il coraggio e l'eroismo e stimolare lo spirito di emulazione. Infatti, nei regolamenti militari c'è scritto che l'encomio viene pubblicato nell'ordine del giorno del Corpo "affinché tutti ne traggano esempio". Però in assenza di una chiara regolamentazione, lo strumento incentiva sì l'emulazione, ma al servilismo e alla cortigianeria. Cioè, in tempo di pace quando non ci sono fortezze da assaltare e l'unica cima da scalare è l'annuario del Corpo che assegna a ciascun militare una posizione nella scala gerarchica, dare agli encomi farlocchi lo stesso peso dato a quelli meritati sul campo potrebbe ingenerare tra il personale malcontento, frustrazione e delusione. Si pensi allo stato d'animo di chi rischia la vita in un conflitto a fuoco per sventare una rapina e poi viene a sapere che chi ha svelare un cippo è stato ricompensato allo stesso modo! Oppure, si pensi allo stato d'animo di chi nel corso di una verifica fiscale recupera milioni di euro alle casse dell'erario, dunque viene segnalato per un encomio, e poi si vede bocciata la proposta con la seguente motivazione: "non hai fatto altro che il tuo dovere". Per tornare all'esempio precedente, è come se i Presidi, non solo avessero il potere di retrocedere i professori a bidelli, ma addirittura anche quello di laureare e mettere in cattedra i bidelli, a colpi di encomi. La sinergia dei quattro momenti Discorso lungo, ma ne è valsa la pena, perché a questo punto possiamo tirare le somme. La sinergia di questi quattro momenti, nella prassi, non esclude l'insorgenza di situazioni di discriminazione, di sopraffazione o di mortificazione dei militari con possibili conseguenze nella sfera personale e professionale. Situazioni queste che da sole, certamente, non sono sufficienti a giustificare il fenomeno suicidario, ma nel complesso possono rappresentare un ulteriore fattore di stress che va a sommarsi a quello derivante dai fattori fisiologici, di cui si è parlato nel corso del precedente incontro. In alcuni casi, la sommatoria di tutti questi motivi di stress, sia quelli fisiologici che quelli patologici potrebbe condurre le vittime più fragili a compiere atti autolesionistici. Allo scopo di ancorare quanto sin qui esposto a dei dati concreti, si considerino le variazioni dei dati suicidari prima e dopo la militarizzazione del Corpo Forestale dello Stato. Nel periodo 2009-2014, quindi prima della militarizzazione del Corpo, tra i 7000 forestali si sono verificati 8 eventi suicidari[21]; ovverosia, una media di 1,33 suicidi all'anno. Questo dato equivale ad un tasso suicidario pari a 19 per cento mila. Tasso che è già di per sé superiore alla media nazionale. Come noto, a gennaio del 2017 è iniziata la militarizzazione del Corpo forestale dello Stato, che è terminata il 17 ottobre 2017, quando nel corso di una cerimonia tenutasi a Cittaducale (Rieti) la Forestale ha riconsegnato la sua bandiera che ora è custodita presso il Museo storico della Scuola Forestale. Ebbene, solamente nel corso dell'anno 2019 il tasso suicidario è passato da 19 a 43 per centomila. Infatti, in quell'anno tra i 7000 forestali si sono verificati almeno tre eventi suicidari; tanti sono stati quelli apparsi su fonti aperte e intercettati dall'Osservatorio suicidi in Divisa. Possiamo dedurne, dunque, che a seguito della militarizzazione il dato suicidario è almeno più che raddoppiato. Fattori di rischio: quali soluzioni Rispetto ai fattori di rischio, cosiddetti, fisiologici va fatta una riflessione: gli uomini che indossano una divisa non sono dei supereroi. Non sono "supermen". Sono persone normali che di fronte ad eventi fortemente traumatici hanno bisogno, come tutti gli altri uomini, dell'assistenza di uno psicologo. In alcune caserme sono stati istituiti dei centri di ascolto a disposizione di coloro che ritengono di avere qualche disagio psicologico. Ma difficilmente i militari si fidano e si confidano, perché temono la sospensione dal servizio attivo e la conseguente decurtazione dello stipendio. A tal proposito, pare opportuno riportare il commento postato nell'Osservatorio da un esperto di psicologia investigativa: "Per regolamento uno Psicologo appartenente alle FFAA o amministrazione di PS ha l'obbligo di segnalare superiormente eventuali disagi psicologici degli appartenenti. E ne consegue una immediata e definitiva distruzione della carriera dei malcapitati (anche se hanno problematiche lievi che non interferirebbero con il corretto svolgimento del servizio). Dato che gli appartenenti non sono deficienti, non si confidano mai internamente alla propria amministrazione ma si rivolgono (giustamente) all'esterno.[22]" Dunque, possiamo dedurne che se i militari provano a curarsi all'interno delle amministrazioni di appartenenza, rischiano la sospensione dal servizio e la decurtazione di stipendio e indennità. Una soluzione potrebbe essere quella di sottoporre i cittadini in divisa a visite psicologiche periodiche presso strutture esterne alle caserme. Inoltre, in caso di bisogno, il supporto psicologico dovrebbe parimenti essere assicurato da professionisti che siano svincolati da qualsiasi rapporto di dipendenza con le amministrazioni militari. Per quanto riguarda, invece, eventuali soluzioni in relazione ai fattori di stress specifici del mondo militare, quelli patologici, andrebbe istituita una Commissione parlamentare d'inchiesta che abbia libero accesso a tutti i fascicoli personali e ai fogli matricolari delle vittime di suicidi e di tutti i militari che dopo l'arruolamento presentino disagi psicologici. Inoltre, andrebbe ripensato l'intero ordinamento militare. Andrebbe emanato un Regolamento di Disciplina Militare di Pace (RDMP) che riscriva in maniera chiara e trasparente tutte le regole alla base del reclutamento, dell'addestramento, dell'avanzamento, dei trasferimenti, del sistema premiale e sanzionatorio; informando ciascuno di questi momenti al principio di legalità formale e sostanziale. Per esempio, per quanto riguarda le sanzioni disciplinari andrebbero meglio tipizzate le infrazioni; in quanto, come detto, il precetto è troppo generico. Andrebbero resi più trasparenti i piani degli impieghi del personale ufficiale. Il trasferimento in tempo di pace dovrebbe essere un atto amministrativo e non un ordine militare come fossimo in guerra. Inoltre, andrebbero puntualmente tipizzate le procedure per la concessione delle benemerenze di servizio ed eliminato il sistema dei giudizi annuali caratteristici, in quanto fonte di malcontento, oltre che strumento attraverso il quale si potrebbero esercitare indebite pressioni sul personale ovvero condizionarne la carriera. Insomma, le carriere dovrebbero dipendere dai risultati di servizio e non dalle note caratteristiche. Andrebbe ristabilita la pregiudiziale penale sulle sanzioni disciplinari di Stato. Occorre, insomma, una riforma totale. Le caserme dovrebbero essere delle case di vetro. Ma, soprattutto, i militari dovrebbero avere un sindacato indipendente dalle amministrazioni militari. La presenza di un sindacato risolverebbe tantissimi problemi, perché il sindacato avrebbe la possibilità di "sindacare" tutte quelle situazioni poco chiare. I sindacati potrebbero fungere da camera di raffreddamento dei conflitti interni, disinnescandoli sul nascere. In questo modo la presenza dei sindacati potrebbero aiuterebbe a prevenire eventuali atti autolesionistici. L'"obbedienza geneticamente modificata"[Torna su] Ipotizziamo che in Italia i Presidi abbiano il potere di trasferire bidelli e professori lontano dai loro affetti, di retrocedere i professori a bidelli e di laureare i bidelli e metterli in cattedra ad insegnare. In tali circostanze, se il Preside dovesse chiedere al bidello di eseguire un ordine che andrebbe disatteso (per esempio, manomettere il registro di classe, oppure cancellare una nota) quel bidello come si comporterebbe? Cioè, in un siffatto contesto, rischierebbe di disobbedire? Avrebbe la possibilità di dire signornò senza rischiare conseguenze nefaste per la sua sfera personale e professionale? Le norme che regolano i vari momenti della vita personale e professionale di ciascun militare (trasferimento, avanzamento, benemerenze, sanzioni disciplinari) sinergicamente combinate producono ciò che qualche tempo fa in Commissione Difesa[23] è stato definito come "O.G.M. che può nuocere alla salute della democrazia" (laddove per O.G.M. si intende Obbedienza Geneticamente Modificata). Ovverosia, la sinergia dei vari momenti appena analizzati produce una modificazione genetica dell'istituto dell'obbedienza militare che, da leale e consapevole, come dovrebbe essere, si trasforma in cieca e assoluta. Dunque, il vero obbiettivo è quello di anestetizzare ogni limite posto al dovere di obbedienza del militare, allo scopo di mantenere i militari permanentemente in una condizione di obbedienza cieca e assoluta alla catena gerarchica; cioè, un'obbedienza perfettamente adesiva. Il vero obiettivo, dunque, è quello di ridurre il militare "in docile esecutore di un'altrui volontà alla quale egli è costretto a piegarsi"[24]. Una siffatta obbedienza, se in guerra può costituire un punto di forza, in tempo di pace e di democrazia è certamente un punto di debolezza, perché l'interesse all'obbedienza militare non può prevalere sul superiore interesse all'osservanza delle leggi e della Costituzione. La specificità militare, dunque, per le ragioni fin qui esposte, trasforma l'ordinamento militare in una specie di micro-Stato annidato in seno allo Stato democratico, ma posto al di fuori della sua logica. Attenzione, quando si parla di obbedienza militare non ci si riferisce solo a quella del fante o dell'alpino di montagna, ma anche e soprattutto all'obbedienza della polizia giudiziaria e tributaria ad ordinamento militare; cioè, ci si riferisce ad organizzazioni che hanno la possibilità di accedere a dati sensibili e detengono enormi poteri investigativi, in forza dei quali possono imprimere direzione e verso alle indagini. L'esempio del Golpe Borghese Di esempi se ne potrebbero fare tanti in riferimento a fatti anche recenti. Infatti, ci sono stati vari processi, anche recentemente, nei quali la verità è venuta a galla solo grazie alla ostinazione dei familiari delle vittime. Facciamone uno solo. Su Youtube è presente il video di una trasmissione di Rai-Educational dal titolo "Il Golpe Borghese (Colpo di Stato 1970)"[25]. Negli ultimi dieci minuti della trasmissione (dal minuto 50:00) il giornalista Giovanni Minoli intervista il giudice Guido Salvini in relazione al processo per il Golpe Borghese che si concluse con l'assoluzione di tutti gli imputati, perché -si scrisse in atti- si era trattato di quattro sessantenni nostalgici. Queste le parole del magistrato: «Alla magistratura arrivarono solo i nomi di quelli che erano in pensione, che non contavano niente, mentre i nomi di alti ufficiali in carriera che rimasero in servizio con ruoli anche importanti nello Stato maggiore ERANO STATI CANCELLATI». (…) Dai nastri era scomparso anche il nome di chi doveva occuparsi del rapimento del Capo dello Stato (…) e vari altri nomi importanti. «Altro che quattro sessantenni nostalgici di cui parla la sentenza finale di assoluzione del golpe borghese», conclude il giornalista Giovanni Minoli. Ricapitolando, sembrerebbe che qualcuno avesse impartito l'ordine di manomettere i nastri prima di consegnarli alla magistratura, per eliminare dei nomi importanti, e quell'ordine era stato eseguito. Probabilmente, quella raccontata nell'intervista non è stata l'unica circostanza nella quale ai "bidelli" è stato chiesto di falsificare il registro delle presenze. Dunque il vero obiettivo della specificità militare ha a che fare, potenzialmente, con l'impunità dei potenti[26]. Ha a che fare con l'omertà e l'impunità dei potenti. Obbedienza militare e dialettica democratica[Torna su] Bisognerebbe chiedersi, perché in Italia molte stragi sono rimaste impunite? Questo è un problema, dunque, che esiste sin dall'alba della nostra Repubblica. Non così in Germania, per esempio, perché i tedeschi impararono molto dal processo di Norimberga. Nel corso del processo, infatti, la difesa più ricorrente degli alti gerarchi tedeschi accusati di crimini abominevoli era costituita da due sole parole: "ordini superiori". I tedeschi, all'esito di quel processo, oltre ad epurare tutti i vertici delle forze armate e di polizia, modificarono anche le regole alla base dell'obbedienza militare[27]. Noi, invece, non abbiamo fatto né l'una e né l'altra cosa. La maggior parte dei i vertici militari continuarono a fare sfavillanti carriere, anche negli apparati di sicurezza. Inoltre, nel corso degli ultimi settant'anni non abbiamo mai affrontato seriamente il problema delle possibili interferenze dei regolamenti militari sull'obbedienza militare e quello dell'obbedienza militare sul libero articolarsi della dialettica democratica nel Paese. Queste questioni non ce le siamo mai poste. Queste possibili interferenze, però, non sono sfuggite a due giganti della nostra Repubblica, Aldo Moro e Vittorio Bachelet, i cui scritti sono ancora di grande attualità. Fu Aldo Moro in Assemblea Costituente a suggerire il verbo "informarsi" da utilizzare al terzo comma dell'art. 52 della Costituzione. La prima scrittura faceva riferimento al verbo "riflettere". Aldo Moro volle che fosse utilizzato il verbo informarsi (perché dava più l'idea dell'internità dell'ordinamento militare in quello statuale. Non può stare fuori e rifletterlo, ma deve stare all'interno); ma soprattutto Aldo Moro volle che fosse coniugato al presente progressivo (si informa), anziché al presente indicativo (è informato), ciò ad intendere che il processo di assorbimento dell'ordinamento militare da parte di quello statuale era una meta che doveva essere raggiunta con delle riforme. Riforme che -nonostante le sollecitazioni della Corte Costituzionale, da ultimo la sentenza 120/2018- tardano ad arrivare. Sulla stessa lunghezza d'onda Vittorio Bachelet, il quale qualche anno dopo scriveva che "alla base dell'ordinamento militare vi sarebbe un gruppo di norme [tra cui quelle che abbiamo appena esaminate] ispirate al principio dell'onore militare[28], il quale non sarebbe derivato dallo Stato o espresso in testi di legge ma ereditato dalla tradizione e dalla consuetudine"[29], perché l'ordinamento militare è precedente all'ordinamento statuale. Bachelet giunge alla conclusione che la specificità militare non è un principio di rango costituzionale ma, in quanto preesistente alla Costituzione, è stata per così dire accettata -oserei dire tollerata- dai Padri Costituenti. Essa, secondo Bachelet, è "il frutto di una prassi ripetuta e di una consuetudine organizzativa che non ha ricevuto l'appoggio di norme imperative dello Stato ed è pertanto da intendersi superata con l'avvento della Costituzione"[30]. Purtroppo, molte di quelle norme ispirate all'onore militare, come abbiamo visto, sono ancora in vigore. Perché la regola dell'onore militare occupa quegli spazi che i Padri Costituenti destinarono al principio di legalità. Dunque, il vero obiettivo è quello di anestetizzare ogni limite posto al dovere di obbedienza del militare per fini che hanno poco a che fare con il bene comune. Cleto Iafrate Dirigente SIBAS Finanzieri Si allega la nota integrale dell'intervista con i relativi riferimenti normativi.
Novità nelle nomine dei vertici della DifesaÈ ormai ufficiale la nomina dal parte del Consiglio dei Ministri dell’Amm. Sq. Giuseppe Cavo Dragone, classe 1957, quale nuovo Capo di Stato Maggiore della Difesa; egli il prossimo 3 novembre prenderà il posto dell’attuale Capo di Stato Maggiore Gen.S.A. Enzo Vecciarelli. La novità, nella circostanza, consiste nell’età del prossimo Capo di S.M. Difesa, attuale Comandante della Marina Militare, il cui limite di 63 anni è stato superato; a questo riguardo, l’art.2 del D.L. 30 settembre 2021, n.132 ha modificato l'articolo 25, comma 1, del Codice dell'ordinamento militare di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, eliminando l’attribuzione di tali incarichi ai soli ufficiali «in servizio permanente», e introducendo la possibilità di attribuirli anche agli ufficiali «richiamati ai sensi dell'articolo 1094, comma 4». In pratica, per il futuro, potrà rivestire tale incarico anche chi abbia più di 63 anni. L’altra novità è che , pare sull’accordo delle varie Armi e del Ministro della Difesa Guerini, con il placet del Presidente Draghi, si sia deciso di attribuire tale incarico apicale a chi ha un curriculum “operativo”. L’ammiraglio Cavo Dragone , infatti, con un lungo addestramento negli Stati Uniti, è stato pilota e paracadutista, a conoscenza dei protocolli operativi NATO, ha comandato il Comsubin, la Portaerei Garibaldi e l’Aeronautica della Marina , ed ha svolto svariate operazioni in proiezione estera, ha guidato il Comando operativo di vertice interforze (Coi - Covi) attraverso cui il capo di Stato maggiore della Difesa esercita la funzione di comandante operativo delle Forze armate, e prima ancora ha avuto il Comando interforze per le operazioni delle Forze speciali (Cofs) e il comando triennale dell’Accademia navale di Livorno . Infine è divenuto comandante della Marina . Il Capo di Stato Maggiore della Difesa sarà responsabile della pianificazione, della predisposizione e dell’impiego delle Forze armate , inclusi i profili finanziari e quelli più strettamente tecnici , inclusi i settori cibernetici e spaziali , per i quali saranno implementati nuovi comandi in sinergia tra le diverse Armi. Tali nuovi e diversi compiti nascono da una realtà internazionale in continua evoluzione, in scenari ovviamente più vicini agli interessi italiani (Balcani, Medio Oriente , nord Africa , Sahel ) . In tale prospettiva, il Parlamento ha autorizzato 40 impegni all’estero per il 2021, con l’impiego di 9.449 unità (oltre 800 in più rispetto 2020). Gli altri incarichi di vertice prevedono: al Comando della Marina l’ammiraglio Enrico Credendino; ed a quello dell’Aeronautica Militare il generale Luca Goretti. Ora non resta che sperare in una sempre maggiore progressione nelle dotazioni tecniche, nell’addestramento e nel riconoscimento economico-professionale del Personale, e forse in una nuova concezione dell’arruolamento “misto”, che riporti a galla, per così dire, l’art.52 della Costituzione e dia nuova linfa alle Forze Armate, consentendo loro di utilizzare anche le enormi risorse umane e professionali, maschili e femminili, pure altamente qualificate, presenti nell’attuale società. 25/10/2021 A.S. © LAMORGESE E SALVINI: CLASSICI POLLI DI RENZO O VECCHIE COMARI? POLEMICHE IRRAGIONEVOLI IN MATERIA DI SICUREZZATra il sen. Salvini e la prefetto Lamorgese, rispettivamente ex ministro dell’interno e attuale inquilino del Viminale, in questi giorni è in corso – non ce ne vogliano - una bella partita a “concadas” (capocciate, in lingua sarda) , ove le due posizioni sono tanto dure quanto improvvide , foriere di effetti potenzialmente dannosi. Ci riferiamo alle polemiche tra i due in relazione all’ingresso in Italia del pluriomicida, estremista islamico, che dalla Tunisia è finito a Nizza , attraversando tutta l’Italia, nonostante un foglio di via.
Infatti, entrambi ignorano , o se ne sono dimenticati mossi dalla vis polemica, che tra Italia e Tunisia esistono da circa quarant’anni accordi ufficiali , e non, di cooperazione economica , e non solo. Dice qualcosa l’accoglienza fraterna e l’ospitalità riservata in Tunisia a Craxi e a tutte le personalità politiche e di governo italiane per decenni e più in generale gli ottimi rapporti tra i due Paesi costruiti nel tempo, e di cui ancora godiamo? Ora, tirare in ballo i “servizi “ , per esigenze polemiche opposte, da parte di chi ha e di chi aveva responsabilità in materia di sicurezza interna (questo fa il ministro degli interni, si cura della sicurezza interna), cercando in qualche modo di “scaricare “ sui Servizi (quali? Quelli interni? Quelli esteri?) la patata bollente della mancata segnalazione di pericolosità terroristica di Brahim Aoussaoui (il killer di Nizza) ed il suo accompagnamento in Tunisia al momento dell’identificazione a Bari, dopo il suo arrivo in barchino a Lampedusa. Siamo francamente colpiti dalla mancanza di prudenza e accortezza da parte dei due illustri contendenti; fare polemiche in materia di sicurezza tra chi ha responsabilità politiche e/o di governo non serve a nient’altro che ad aumentare l’immagine di debolezza dello Stato - e quindi di inaffidabilità internazionale- che trasmettiamo fuori dai nostri confini: per non dire dei segnali di incertezza nella lotta al terrorismo che finiamo per trasmettere ai seguaci del radicalismo islamico che proprio nel Maghreb hanno il loro brodo di coltura. Invece di battibeccare come i due capponi di Renzo nei Promessi Sposi, o , se si preferisce, come due vecchie comari dispettose, Lamorgese e Salvini, nella loro qualità di Ministro dell’Interno in carica ed ex Ministro dell’Interno nonchè attuale capo del partito che ha indicato un proprio esponente alla presidenza in carica del COPASIR (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica, che esercita il controllo del Parlamento sui Servizi Segreti) , parlino di meno e vedano di aiutare – nei rispettivi ruoli appena indicati - chi nel Maghreb aspetta ancora che l’Italia tenga fede ai patti di cooperazione economica e di sicurezza, e la smettano di compromettere il delicato lavoro di tessitura di chi – italiano e maghrebino - è impegnato sul campo. Quando gli avanza il tempo, tra una polemica e l’altra, vadano a studiarsi un loro comune predecessore, il compianto senatore a vita Paolo Emilio Taviani : ne guadagneranno loro, ne guadagneremo tutti. 30.10.2020 A.S. © trasferimenti di militari e forze di polizia - eccessiva la DISCREZIONALITÀ dei comandiUn appuntato della Guardia di Finanza ha impugnato presso il Tar del Lazio, un provvedimento con il quale il Comando Regionale Lazio della Guardia di Finanza respingeva la sua domanda di trasferimento, con i soliti motivi di “esigenze organiche e di servizio”; Nell'ambito della periodica procedura indetta dal Comando Generale della Guardia di Finanza volta all'individuazione dei militari da trasferire a domanda , secondo le esigenze organizzative del Corpo, l’appuntato aveva ritualmente presentato la propria istanza per il trasferimento da un luogo all'altro della stessa Regione. Il ricorrente risultava essere il primo dei militari esclusi in ordine di graduatoria, non collocandosi quindi in posizione utile per il richiesto trasferimento. Tuttavia, il collega-candidato collocatosi utilmente nella posizione immediatamente precedente a quella del ricorrente, rinunciava al trasferimento. Il posto, resosi così vacante, non veniva poi però assegnato. L’appuntato pertanto impugnava il provvedimento citato perché l'amministrazione aveva lasciato un posto vacante che appena un attimo prima aveva deciso di assegnare ad un altro militare (il quale vi aveva spontaneamente rinunciato). Il Tar accoglieva il ricorso dell'appuntato ritenendo contraddittoria la condotta dell'Amministrazione , che non aveva adeguatamente indicato le ragioni per le quali, liberatosi un posto, non lo avesse assegnato al ricorrente che si poneva nella graduatoria in una posizione immediatamente successiva a quella del militare rinunciatario. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Comando Generale della Guardia di Finanza, ribadendo quanto evidenziato in primo grado in ordine all'elevata discrezionalità del provvedimento adottato nel caso di specie, ricorreva opponendosi innanzi al Consiglio di Stato, sulle decisioni del TAR. Il Ministero ed il Comando Generale della Guardia di Finanza non potevano che soccombere alle decisioni del Consiglio di Stato, che , con un'interessante decisione, disponeva il trasferimento dell'appuntato e condannava Il Comando Generale della Guardia di Finanza al pagamento delle spese processuali. G.L.
BREVI CENNI SULLA RESPONSABILITÀ PENALE DEI SITI ONLINE In un mondo sempre più telematico e interconnesso, sono ormai di rilievo quotidiano gli illeciti commessi online, illeciti che involgono diversi aspetti del diritto.
Per quanto concerne le problematiche penalistiche , oggetto della nostra sintetica analisi, l’aspetto più discusso è quello delle offese fatte, direttamente (con articoli o post pubblicati) o indirettamente (con interventi/commenti di terzi) , alle reputazione, all’onore, decoro e/o intimità delle persone. In particolare, le condotte di diffamazione sono state facilitate dalla possibilità di un numero esponenziale degli utenti della rete internet di esprimere giudizi su tutti gli argomenti trattati, per cui alla schiera di "opinionisti social" spesso si associano i cosiddetti "odiatori sul web", che non esitano - spesso dietro l'anonimato- ad esprimere giudizi con eloquio volgare ed offensivo. Va detto subito che, sul tema, la giurisprudenza più risalente è oscillante tra una equiparazione ed una distinzione dell’attività del blogger rispetto a quella della testata giornalistica. Recentemente , anche sulla spinta delle garanzie sempre ribadite dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sembra essersi consolidato nella giurisprudenza di legittimità , in senso più favorevole, l’indirizzo secondo il quale ,in tema di diffamazione, l'amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell'art. 57 cod.pen. (che disciplina i reati commessi col mezzo della stampa periodica) , in quanto tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook) . In tal caso viene precisato che il mero ruolo di amministratore di un forum di discussione non determina il concorso nel reato conseguente ai messaggi ad altri materialmente riferibili, in assenza di elementi che denotino la compartecipazione dell'amministrazione all'attività diffamatoria (Cass. pen. Sez. V Sent., 19/02/2018, n. 16751) . Questo non vuol dire che non sussista il fatto-reato, ma che semplicemente viene scissa la responsabilità dell’autore di esso (che resta ferma, eccome!) da quella del responsabile del sito ! Infatti, deve essere chiarito che , come affermato in giurisprudenza di merito (App. Trento, 24/06/2016) il moderatore o amministratore del sito internet non incorre in penale responsabilità ex art. 595 c.p. (diffamazione) in relazione al messaggio di contenuto diffamatorio pubblicato da un utente sul relativo blog, qualora non sia provato che il medesimo abbia consapevolmente esaminato il messaggio anonimo e ne abbia volutamente consentito la pubblicazione , o , ancora, non si sia attivato per la rimozione del post diffamatorio : diversamente, ne risponderebbe a titolo di concorso nel reato (art.81 c.p.) . Qui ,dunque, risiede la differenza di trattamento sanzionatorio del blog rispetto alla testata giornalistica (cartacea ovvero online) , la quale ultima è espressamente garantita dall’art.21 Costituzione . Tuttavia,si ripete, qualora il responsabile del blog abbia volutamente inserito un post diffamatorio, oppure non abbia adottato adeguati filtri per impedire a terzi frequentatori di inserire post diffamatori o calunniosi, oppure, ancora, non abbia dato seguito alla segnalazione della persona offesa rimuovendo il post diffamatorio ( Cass.pen., Sez.V, sent. 20 marzo 2019, n.12546) . La giurisprudenza è intervenuta frequentemente in materia, precisando, per esempio, che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595 c.p., comma 3, sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone e tuttavia non può dirsi posta in essere "col mezzo della stampa", non essendo i social network destinati ad un'attività di informazione professionale diretta al pubblico (Cass.pen., Sez. 5, 14/11/2016 , n. 4873). L’altra faccia della medaglia, per così dire, è costituita dalle minori garanzie derivanti dal non rientrare nell’alveo della stampa periodica; infatti, è ammesso il sequestro preventivo di un sito, qualificato blog anche dal suo gestore, che sia stato utilizzato per commettere il reato di diffamazione e manchi degli elementi necessari a individuare una testata giornalistica telematica (nella specie, era stata dal giudice di merito valorizzata l'assenza del carattere della periodicità regolare delle pubblicazioni, della testata e della registrazione), non rilevando in senso contrario la natura dell'attività informativa svolta dal sito medesimo, né la circostanza che il gestore fosse iscritto all'ordine dei giornalisti; in caso di commissione del reato di diffamazione, infatti, nel concetto di stampa non rientrano i nuovi mezzi destinati a essere trasmessi in via telematica quali forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list e social network, in quanto non registrati: quindi tali mezzi possono essere oggetto di sequestro preventivo, non potendo godere delle garanzie costituzionali a tutela della manifestazione del pensiero (Cass.Pen., Sez. V, 25/02/2016, n. 12536) 1. Le persone vittime di una diffamazione hanno azione in sede penale (oltre che in sede civile) contro l’autore del commento che, se identificato, potrà essere querelato per diffamazione (con costituzione di parte civile nel relativo procedimento per ottenere il risarcimento dei danni subiti) ; sarà in tal caso aperto un fascicolo contro “noti” ; al contrario, se l’autore è sconosciuto verrà aperto un fascicolo contro “ignoti”. Fonte di prova potrà essere la stampa della pagine diffamatoria ovvero lo stesso screenshot della stessa pagina , sempre con la riproduzione dell’indirizzo telematico nel quale è presente il post incriminato. A.S. 1In argomento di sequestro preventivo di un blog , Cass. pen., Sez. V, Sentenza, 07/06/2019, n. 27675 ha così stabilito : « In tema di diffamazione, è legittimo il sequestro preventivo di un "blog" che integra un "mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa, per cui non trova applicazione la normativa di rango costituzionale e di livello ordinario che disciplina l'attività di informazione professionale diretta al pubblico, che rimane riservata, invece, alle testate giornalistiche telematiche. (Fattispecie relativa a un "blog" pubblicato su un sito gestito da un soggetto non iscritto nel Registro degli operatori di comunicazione, in relazione alla quale la Corte ha ritenuto da un lato legittimo il sequestro, dall'altro insussistenti i presupposti del reato di pubblicazione di stampa clandestina, contestato insieme a varie ipotesi di diffamazione). (Annulla in parte con rinvio, TRIB. LIBERTA' SALERNO, 01/04/2019) LE VIDEORIPRESE DELLE FORZE DI POLIZIA AI TEMPI DEL COVID 19 – PICCOLO VADEMECUM ILLUSTRATIVO , CON NORME E CASISTICA, NEL CORSO DELLE ATTIVITA’ OPERATIVE DELLE FORZE DELL’ORDINEDopo la pubblicazione di alcuni video sul web che hanno indotto confusioni interpretative sulle regole che armonizzano i rapporti cittadino - Forze di Polizia, abbiamo ritenuto di illustrare, con la seguente disamina, le condotte da applicare in pratica, con una sorta di “vademecum” sulle norme applicabili e la relativa casistica, con l’intento di dare un contributo fattivo in tempi di enorme confusione e difficoltà quotidiane , cui contribuisce in misura notevole il “mare magnum” normativo. Andiamo per argomenti.
PRIVACY FOTOGRAFARE E FILMARE LE FORZE DI POLIZIA DURANTE IL SERVIZIO L’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, con Newsletter n. 359 del 7 giugno 2012 , in risposta ad un espresso quesito posto dal Ministero dell’Interno, ha avuto modo di precisare che : « I funzionari pubblici e i pubblici ufficiali, compresi i rappresentanti delle forze di polizia impegnati in operazioni di controllo o presenti in manifestazioni o avvenimenti pubblici, possono essere fotografati e filmati, purché ciò non sia espressamente vietato dall´Autorità pubblica. L´uso delle immagini e delle riprese deve però rispettare i limiti e le condizioni dettate dal Codice in materia di protezione dei dati personali » . Chiarito quanto sopra, resta fermo che l’Autorità pubblica può vietare le riprese (anche con intimazione orale degli Ufficiali e agenti di P.G. operanti , date le particolarità dei casi), ad esempio nei casi in cui esse possano compromettere attività di indagine e/o di sicurezza dello Stato od anche ai fini della privacy. Dunque, assodato che non è in sé illecito riprendere le Forze di Polizia nel corso della propria attività, va altresì precisato che cosa diversa è diffondere quelle immagini, proprio perché esse costituiscono “dati personali” delle persone che vengono riprese senza consenso, delle quali deve essere tutelata la sfera personale, in pieno bilanciamento dei diritti costituzionali tutelabili. Ed a questo riguardo, per ciò che più rileva, anche il diritto di cronaca deve essere esercitato nel rispetto dei seguenti criteri: 1) nella verità della notizia pubblicata; 2) nell’esistenza di un pubblico interesse alla conoscenza dei fatti medesimi; 3) nella obiettiva e serena esposizione della notizia. La stessa Autorità Garante ricorda infatti che, per quanto riguarda l’utilizzazione delle immagini, è necessario prestare particolare attenzione alle condizioni ed ai limiti posti dal Codice della privacy a seconda che si tratti di circolazione di dati tra un numero ristretto di persone, diffusione in rete , ovvero utilizzo a fini diffamatori o di giustizia , sottolineando , infine, che le persone riprese senza consenso che ritengono lesi i propri diritti possono sempre far ricorso agli ordinari rimedi previsti dall’ ordinamento sia in sede civile che penale. Non è inutile rammentare brevemente che, nel caso di eventuali ostacoli (ad es., disturbo che può verificarsi quando chi riprende si avvicina troppo e/o inveisce e/o si intromette fisicamente , ecc.) all'attività dei verbalizzanti, si può ipotizzare il reato di interruzione di pubblico servizio ai sensi dell'art.331 c.p., con l'obbligo da parte degli accertatori di interrompere il reato. In tale ipotesi - se continuato - il comportamento della persona potrebbe integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale, art.337 c.p. A tal proposito giova evidenziare che per la configurabilità del reato di resistenza a P.U., non è necessario che la violenza o la minaccia sia usata sul Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, ma che sia soltanto posta in essere per opporsi al compimento di un atto d'ufficio (Cass. Pen. 6069/2015). Orbene, fino a questo punto ci siamo basasti sull' orientamento indicato dal Garante della Privacy nazionale prima dell'entrata in vigore del GDPR (Regolamento UE 2016/79) , perché dopo l'emanazione del GDPR , la privacy è stata ulteriormente garantita, con ulteriori attività restrittive delle norme che regolano la materia, giusta la disposizione dell’art.6 GDPR (1) A questo proposito, giova riportare una recente decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea su un caso verificatosi in Lettonia. Un uomo aveva filmato la sua deposizione in un commissariato e diffuso il video su YouTube. L’Agenzia lettone per la protezione dei dati aveva ordinato la rimozione del video, conclusione condivisa dai tribunali interni. Prima di decidere, la “Augstākā tiesa” (Corte suprema della Lettonia), con decisione del 1° giugno 2017 , ha rimesso la questione , ai fini dell’aderenza delle norme applicabili ai principi dell’ordinamento europeo, alla Corte di Giustizia UE . La Corte di Giustizia UE- Sezione II , con decisione 14/02/2019, C-345/17, ha stabilito che le immagini degli agenti nell’esercizio delle loro funzioni sono dati personali e per questo tutelati dalla privacy ma che la loro diffusione poteva rientrare nel diritto di cronaca anche se l’uomo non era un giornalista (2) . La sentenza della Corte di Giustizia UE, in sostanza, ha confermato quanto affermato nel 2012 dal Garante per la Privacy italiano, e cioè: anche se non ci sono norme che vietino esplicitamente di fotografare o riprendere le forze dell’ordine, valgono le normali leggi italiane ed europee sulla privacy che impediscono di diffondere immagini di persone senza il loro consenso, a meno che la diffusione non rientri nel diritto di cronaca, a prescindere dal fatto che l’autore sia un giornalista o un semplice cittadino. In assenza di consenso, per capirci, possono ritenersi applicabili le seguenti eccezioni: quando sono stati oscurati i volti, le voci e i dati personali, oppure se si tratti di documentare un abuso realmente grave , tale da diventare di pubblico interesse per la collettività . Aggiungiamo che, a nostro avviso, la registrazione audio delle conversazioni fra presenti è consentita, poiché ritenuta dalla S.C. di Cassazione una possibile prova documentale utilizzabile nel dibattimento, ove assunta per precostituirsi una difesa in giudizio in caso di violazione di diritti. Concludiamo dicendo che il D.lgs 196/2003 (c.d. Codice Privacy) , così come modificato nel tempo, punisce chi diffonde illecitamente dati e immagini personali , con pene previste anche fino a sei anni di reclusione. IDENTIFICAZIONE ESIBIZIONE DOCUMENTI E/O DECLINAZIONE DELLE GENERALITÀ E QUALITÀ PERSONALI Durante le operazioni di controllo si sentono sovente i cittadini richiedere alle forze di polizia un documento che dimostri il loro status di pubblico ufficiale. Premesso che per l'operatore che indossa l'uniforme non è necessaria un'ulteriore dimostrazione circa la sua carica, al cittadino non è demandato alcun potere giuridico per porre richieste in tal senso, se non quando l'agente vesta abiti civili e, in tal caso, è fatto obbligo al P.U. di mostrare la placca identificativa (generalmente in uso ai reparti investigativi) o il tesserino di riconoscimento che lo qualifichi. Ciò premesso, illustriamo alcune norme che, con la sola lettura, possono illuminare il lettore sugli eventuali dubbi applicativi. Art. 4 T.U.L.P.S.-« L’autorità di pubblica sicurezza ha facoltà di ordinare che le persone pericolose o sospette e coloro che non sono in grado o si rifiutano di provare la loro identità siano sottoposti a rilievi segnaletici. Ha facoltà inoltre di ordinare alle persone pericolose o sospette di munirsi, entro un dato termine, della carta di identità e di esibirla ad ogni richiesta degli ufficiali o degli agenti di pubblica sicurezza ». Si precisa che cosa assai diversa è l’obbligo di fornire indicazioni sulla propria identità personale, rispetto al dovere di documentarle (Cass.pen., sez. I, 25 giugno 1987, n. 1769). L'omessa esibizione del documento di identità integra, ricorrendone le condizioni, gli estremi del reato di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 4, ed all'art. 294 del relativo regolamento, non già il reato previsto dall'art. 651 c.p., che sanziona invece il rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità personale (Cass. pen. , sez.I, 15/01/2019,n.2021). L'elemento materiale del reato previsto dall'art. 651 c.p. consiste nel rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità e non nella mancata esibizione di un documento, che costituisce violazione dell'art. 4, comma 2, TULPS (R.D. n. 773 del 1931), con la conseguenza che l'indicazione orale delle proprie generalità è sufficiente ad escludere il reato (Tribunale Ivrea, 17/10/2016). Art. 651 c.p.- Rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale «Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro». Legge n. 1423/1956 - “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità”. Trattasi di soggetti che mantengono un tenore di vita ed una condotta riconducibile ad attività delittuosa ed i rilievi dattiloscopici vengono effettuati contestualmente alla notifica del provvedimento all’interessato. Legge n. 152/1975- “Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico” In casi eccezionali di necessità e di urgenza, che non consentono un tempestivo provvedimento dell’autorità giudiziaria, gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria e della forza pubblica nel corso di operazioni di polizia possono procedere, oltre che all’identificazione, all’immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo non appaiono giustificabili. La legge 189/2002 - “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo” (c.d. “Bossi/Fini”) Prevede all’art 4 e 5 l’assunzione delle impronte digitali e palmari all’extracomunitario che richiede il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno sul territorio nazionale. Art. 85 R.D. 18 giugno 1931, n. 773 “È vietato comparire mascherato in luogo pubblico. Si tratta di una disposizione di legge parecchio datata ma che certamente è ancora in vigore. Successivamente, con legge 22 maggio 1975 n. 152, sono state introdotte nuove disposizioni a tutela dell’ordine pubblico, aggiornate con la legge . 533 dell’8 agosto 1977 e infine dall’art. 10, comma 4-bis, D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla L. 31 luglio 2005, n. 155. Le nuove disposizioni in tema di sicurezza, prevedono, all’art. 5: “E’ vietato l’uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. E’ in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino. PRATICA PROFESSIONALE Dopo aver fatto riferimento ad alcune norme sull'obbligo dell'esibizione del documento , della declinazione delle generalità e delle qualità personali, procediamo con gli esempi pratici sulle situazioni che si possono delineare durante un controllo. (non facciamo ovviamente riferimento alle norme Costituzionali che i cittadini citano durante un controllo di Polizia, perché parrebbe fuori luogo e inopportuno). Durante il controllo di Polizia può accadere che il cittadino rifiuti di declinare le proprie generalità ed esegua registrazioni audio video sull'operato degli agenti, riprendendo i loro volti. L'agente può intimare l'interruzione della registrazione e/o, comunque, invitare a inclinare il cellulare affinché non riprenda i volti e gli armamenti. Come già detto, la ripresa audio non dovrebbe essere atto illecito (sempre che il suo autore non intralci di fatto,fisicamente, l’attività degli operatori) . A questo punto l'utente potrebbe tentennare e riferire di non essere in possesso di alcun documento e, qualora vi siano dubbi sull'identità e si palesi la necessità di procedere compiutamente alla sua identificazione, si può accompagnare presso gli uffici di polizia ai sensi dell'art. 11 D.L. 59/78 conv. in Legge 191/78 (3). Qualora invece l'utente rifiuti di esibire la Carta di identità e di fornire le proprie generalità, si rende responsabile del reato, in concorso materiale, previsto dall'art. 4 T.U.L.P.S. e dall’art. 651 del c.p. Da indagato, quale soggetto sottoposto ad indagini, può essere coattivamente accompagnato presso gli uffici di polizia ai sensi dell'art.349 c.p.p, per dare corso alle procedure di rito (identificazione, foto segnalamento, etcc.). Assume la medesima posizione chi non adempie all'ordine dell'autorità di interrompere la ripresa video (può essere in diretta) o la registrazione, per violazione dell'art.167 del D.Lgs 196/2003. Non si esclude l'ipotesi sancita dall'art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità) , qualora si ravvisino ragioni inerenti la Sicurezza pubblica, l'ordine pubblico, ragioni di giustizia o di igiene. In ipotesi simili, La Corte di Cassazione, prima sez. pen, con sentenza n. 9446/2018, ha ritenuto ammissibile il sequestro del cellulare a fini probatori di chi abbia scattato fotografie ad un soggetto che non avesse espresso il proprio consenso, ipotizzando la configurabilità del reato di cui all'art. 660 c.p. (molestia o disturbo alle persone). Riteniamo pertanto che anche nella situazione anzidetta , qualora non si dia seguito all' intimazione del Pubblico Ufficiale , oltre alla violazione penale di cui all'art. 167 D.Lgs 196/2003, si presupporrebbe la sussistenza del reato di cui agli artt. 650 e 660 c.p. ipotesi contravvenzionale, quest' ultima, assorbita dal reato di cui all'art 370 del c.p. (resistenza a pubblico ufficiale). La ratio prevederebbe, pertanto, la facoltà di procedere al sequestro del cellulare ai fini probatori se il video venisse registrato ed ai fini preventivi se la ripresa avvenisse in diretta. Un’ ultima considerazione , che al tempo stesso è una raccomandazione e un consiglio . Occorre in tutte le circostanze operare con la massima professionalità nell’attività di pattugliamento, a cominciare dall’abbigliamento e dalle dotazioni in ordine, dal saluto militare e dalla cortesia nelle richieste: già questo , in molti casi, potrebbe indurre il cittadino ad non abusare delle proprie prerogative ed a lasciare “in fondina”, per così dire, lo smartphone. In ogni caso, mai dimenticare a casa due “strumenti” fondamentali: pazienza e buon senso. G.L. - A.S. _______________________________________ 1 Art.6 GDPR - Liceità del trattamento 1. Il trattamento è lecito solo se e nella misura in cui ricorre almeno una delle seguenti condizioni: a) l'interessato ha espresso il consenso al trattamento dei propri dati personali per una o più specifiche finalità; b)il trattamento è necessario all'esecuzione di un contratto di cui l'interessato è parte o all'esecuzione di misure precontrattuali adottate su richiesta dello stesso; c)il trattamento è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento; d)il trattamento è necessario per la salvaguardia degli interessi vitali dell'interessato o di un'altra persona fisica; e)il trattamento è necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento; f)il trattamento è necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell'interessato che richiedono la protezione dei dati personali, in particolare se l'interessato è un minore. La lettera f) del primo comma non si applica al trattamento di dati effettuato dalle autorità pubbliche nell'esecuzione dei loro compiti. 2.Gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni più specifiche per adeguare l'applicazione delle norme del presente regolamento con riguardo al trattamento, in conformità del paragrafo 1, lettere c) ed e), determinando con maggiore precisione requisiti specifici per il trattamento e altre misure atte a garantire un trattamento lecito e corretto anche per le altre specifiche situazioni di trattamento di cui al capo IX. 3.La base su cui si fonda il trattamento dei dati di cui al paragrafo 1, lettere c) ed e), deve essere stabilita: a)dal diritto dell'Unione; o b)al diritto dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento. La finalità del trattamento è determinata in tale base giuridica o, per quanto riguarda il trattamento di cui al paragrafo 1, lettera e), è necessaria per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento. Tale base giuridica potrebbe contenere disposizioni specifiche per adeguare l'applicazione delle norme del presente regolamento, tra cui: le condizioni generali relative alla liceità del trattamento da parte del titolare del trattamento; le tipologie di dati oggetto del trattamento; gli interessati; i soggetti cui possono essere comunicati i dati personali e le finalità per cui sono comunicati; le limitazioni della finalità, i periodi di conservazione e le operazioni e procedure di trattamento, comprese le misure atte a garantire un trattamento lecito e corretto, quali quelle per altre specifiche situazioni di trattamento di cui al capo IX. Il diritto dell'Unione o degli Stati membri persegue un obiettivo di interesse pubblico ed è proporzionato all'obiettivo legittimo perseguito. 4. Laddove il trattamento per una finalità diversa da quella per la quale i dati personali sono stati raccolti non sia basato sul consenso dell'interessato o su un atto legislativo dell'Unione o degli Stati membri che costituisca una misura necessaria e proporzionata in una società democratica per la salvaguardia degli obiettivi di cui all'articolo 23, paragrafo 1, al fine di verificare se il trattamento per un'altra finalità sia compatibile con la finalità per la quale i dati personali sono stati inizialmente raccolti, il titolare del trattamento tiene conto, tra l'altro: a)di ogni nesso tra le finalità per cui i dati personali sono stati raccolti e le finalità dell'ulteriore trattamento previsto; b)del contesto in cui i dati personali sono stati raccolti, in particolare relativamente alla relazione tra l'interessato e il titolare del trattamento; c)della natura dei dati personali, specialmente se siano trattate categorie particolari di dati personali ai sensi dell'articolo 9, oppure se siano trattati dati relativi a condanne penali e a reati ai sensi dell'articolo 10; d)delle possibili conseguenze dell'ulteriore trattamento previsto per gli interessati; e)dell'esistenza di garanzie adeguate, che possono comprendere la cifratura o la pseudonimizzazione. _____________________________ (2) Corte Giustizia dell’ Unione Europea, Sez. II, 14/02/2019, n.C- 345/17 , Parti: Sergejs Buivids c. Datu valsts inspekcija: «L'articolo 9 della direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che la registrazione video di taluni agenti di polizia all'interno di un commissariato, durante la raccolta di una deposizione, e la pubblicazione del video così registrato su un sito Internet dove gli utenti possono inviare, visionare e condividere contenuti video, possono costituire un trattamento di dati personali esclusivamente a scopi giornalistici, ai sensi di tale disposizione, sempre che da tale video risulti che detta registrazione e detta pubblicazione abbiano quale unica finalità la divulgazione al pubblico di informazioni, opinioni o idee, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. L'immagine di una persona registrata da una telecamera costituisce un «dato personale» ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46, se ed in quanto essa consente di identificare la persona interessata. Onde tener conto dell'importanza riconosciuta alla libertà d'espressione in ogni società democratica, occorre interpretare in senso ampio le nozioni ad essa correlate, tra cui quella di giornalismo. Le «attività giornalistiche» in particolare sono quelle dirette a divulgare al pubblico informazioni, opinioni o idee, indipendentemente dal mezzo di trasmissione utilizzato. Le esenzioni e le deroghe di cui all'articolo 9 della direttiva 95/46 devono essere applicate solo nella misura in cui siano necessarie per conciliare due diritti fondamentali, vale a dire il diritto alla protezione della vita privata e alla libertà di espressione. Quindi, per ottenere un equilibrato contemperamento di questi due diritti fondamentali, la tutela del diritto fondamentale alla vita privata richiede che le deroghe e le limitazioni alla protezione dei dati previste ai capi II, IV e VI della direttiva 95/46 operino entro i limiti dello stretto necessario ». 3Decreto legge 21/03/1978, n. 59 ( Norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati) convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 18 maggio 1978, n. 191 ________________________________ (3) Decreto legge 21/03/1978, n. 59 ( Norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati) convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 18 maggio 1978, n. 191 Art.11 Gli ufficiali e gli agenti di polizia possono accompagnare nei propri uffici chiunque, richiestone, rifiuta di dichiarare le proprie generalità ed ivi trattenerlo per il tempo strettamente necessario al solo fine dell'identificazione e comunque non oltre le ventiquattro ore. La disposizione prevista nel comma precedente si applica anche quando ricorrono sufficienti indizi per ritenere la falsità delle dichiarazioni della persona richiesta sulla propria identità personale o dei documenti d'identità da essa esibiti. Dell'accompagnamento e dell'ora in cui è stato compiuto è data immediata notizia al procuratore della Repubblica, il quale, se riconosce che non ricorrono le condizioni di cui ai commi precedenti, ordina il rilascio della persona accompagnata. Al procuratore della Repubblica è data altresì immediata notizia del rilascio della persona accompagnata e dell'ora in cui è avvenuto. SUICIDI NELLE FORZE DI POLIZIA - UN GRIDO D'AIUTO INASCOLTATOAncora un altro suicidio fra le fila della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, il 56° fra gli appartenenti a questo comparto, dall'inizio del 2019, sempre nel totale silenzio dei media. Una strage inesaudita che pare interessi a pochi, un grido di aiuto fino ad ora rimasto inascoltato. I nostri politici riescono ad inventare una commissione parlamentare per ogni dilemma, ma non riescono ad affrontare il problema che affligge questa società , quella rappresentata dagli uomini e le donne in divisa. I demagoghi e gli analisti del momento hanno sempre ricondotto questo profondo malessere a problemi di natura familiare od economici, dimostrando di non conoscere la realtà di cui parlano. Alcune testate giornalistiche, L'Espresso prima, con un articolo del 30 giugno 2019, intitolato:”Il buio sotto la divisa: quell'escalation di suicidi che lo Stato non guarda”, ed il fattoquotidiano poi, con un articolo del 2 Novembre 2019 intitolato:” Suicidi fra i militari, i numeri crescono ma nessuno si interroga sulle cause”, hanno sollevato il problema, sebbene vengano uniti da una sola considerazione, l’inesistenza dello Stato innanzi a siffatti drammi. Sebbene il secondo articolo rilevi punti impliciti ed attinenti, il primo articolo pare invece lontano dalle problematiche reali insite nelle amministrazioni di cui si parla, poiché l’articolo affronta il problema superficialmente, su immoderate e generiche considerazioni , che pongono in primo piano, come si è sempre fatto fino ad oggi (mai di più errato) problemi afferenti la sfera privata e familiare, trovando una soluzione nel reiterato supporto psicologico. Si vorrebbe forse affermare che i problemi familiari ed economici siano prevalenti nelle famiglie degli appartenenti alle forze armate e delle forze di polizia? Nulla di più assurdo. Forse esse potranno effettivamente esistere, ma sono quasi sempre il riflesso delle condizioni ambientali vissute nell’ambito lavorativo. Ciò che ci lascia basiti è che tali affermazioni provengano da un appartenente alle forze Armate, che meglio avrebbe dovuto capire le reali esigenze dei propri colleghi e intuire, se non respirare, le problematiche esistenti all’interno delle medesime Istituzioni. Il segretario generale del SIM, Sindacato Italiano Militari, spiega che il 99 per cento dei casi è riconducibile a problemi esterni al luogo di lavoro, e che l’Arma e le altre forze lavorano col Ministero della Difesa sull’impatto “stress correlato”: fattori esterni, come pendolarismo ( forse questa potrebbe essere una motivazione concorrente, specialmente quando non assecondano gli avvicinamenti alle rispettive famiglie, con superficiali giustificazioni di:" esigenze di servizio" ) o orari prolungati, burnout, che ognuno porta e vive dentro la propria attività lavorativa. Aggiunge: problemi privati , familiari ed economici, che sommati allo stress correlato, possono innescare una bomba (Ndr). Sembrerebbe quasi una difesa d’ufficio dell’Amministrazione d’appartenenza, senza alcun reale approfondimento dei casi. Orbene, seppur plausibile come analisi, pare poco consistente e non pregnante delle reali problematiche vissute dagli appartenenti alle forze di polizia, perché se tali analisi fossero accettabili, si potrebbe pensare che chiunque ( ed oggi in Italia non manca la scelta ) avesse problemi economici o facesse il pendolare con orari prolungati, sarebbe esposto a possibili azioni suicide. Si potrebbe argomentare ampollosamente in maniera antitetica alla tesi esplicitata, pensando a quelli che potrebbero essere i reali problemi riguardanti gli appartenenti alle forze di Polizia. Pensiamo ad esempio la compressione dei diritti ed ai trattamenti spesso iniqui e non meritori. Si potrebbero stilare lunghi elenchi sulle problematiche esistenti da porre in capo alle Amministrazioni in questione, ma pare strano che queste domande non nascano spontaneamente da chi ancora indossa una divisa e dovrebbe rappresentare, con le relative sigle sindacali di categoria, la tutela dei diritti degli uomini e le donne in divisa.. Ci auspichiamo che qualcosa cambi, ma soprattutto, crediamo sia necessario che a dirigere queste Amministrazioni dello Stato vi siano persone più sensibili ai reali problemi dei propri uomini, che non burocrati distanti anni luce dalla realtà dei fatti. G.L. Il saluto ai due giovani poliziotti uccisi a trieste Salutiamo, senza alcun commento,aggregandoci a quello dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia Penitenziaria, i giovani poliziotti uccisi a Trieste. Da parte nostra va il più sentito cordoglio ai loro familiari.
COSI MUORE UN CARABINIERE, UN CAVALIERE CATTOLICO.Il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, 35 anni, è stato ripetutamente pugnalato a morte nella notte tra il 25 ed il 26 luglio 2019, in Trastevere, una delle più antiche e centrali zone di Roma, durante un normale servizio notturno cui non aveva voluto mancare.
Ieri mattina, di buon’ora , gli sciacalli si sono messi in moto, spargendo nella società, con i loro mezzi di comunicazione preferiti (Twitter, Facebook) i loro semi dell’odio, e facendo divampare lo scontro politico, mentre solo un paio d’ore prima aveva cessato di vivere un fedele ed esemplare servitore dello Stato, e dimostrando così – vomitandosi addosso montagne di parole , anziché tacendo – che di quella vita,di quell’ennesimo operatore delle Forze dell’Ordine caduto in servizio, in ultima analisi, non gliene importava granché; quella morte era l’ennesima occasione per occupare uno spazio informativo e far notare la loro presenza. Nessuna vicinanza vera alla giovane moglie, agli altri familiari ed all’Arma Benemerita; nessuna riflessione politica sulle conseguenze del consumo della droga, soprattutto la cocaina, la più subdola e pericolosa tra le droghe, che è all’origine dell’ uccisione del vicebrigadiere Cerciello Rega. Gli ululati degli sciacalli si levavano sull’ennesima proposta di aumento spropositato delle pene, sull’ennesima stretta all’immigrazione, e così via sparando in alto, in uno scontro che più divisivo non si può, inconcludente, indegna del ruolo ricoperto dai protagonisti urlanti… Tutte cose che non risolvono di certo la situazione operativa delle Forze dell’Ordine, e che tantomeno rendono onore ai fatti ed alla vittima. Bastava fare silenzio e limitarsi alle condoglianze; invece no, dovevano e devono “segnare” il territorio come i cani, devono appropriarsi anche dei caduti delle forze di polizia, trascurando un piccolo ma fondamentale dettaglio: i carabinieri, la Polizia di Stato, la Guardia di Finanza, le Forze Armate, non sono né di destra né di sinistra; che piaccia o meno, sono a difesa dello Stato di diritto e della Repubblica. Punto. Per questa gente, invece, è ancora valida la splendida canzone del 1991 di Franco Battiato “Povera Patria”: «Povera patria schiacciata dagli abusi del potere/Di gente infame che non sa cos'è il pudore/ Si credono potenti e gli va bene quello che fanno/ E tutto gli appartiene/ Tra i governanti quanti perfetti e inutili buffoni/ Questo paese è devastato dal dolore/ Ma non vi danno un po' di dispiacere/Quei corpi in terra senza più calore?». Ad alcuni sarà pure dispiaciuto non poter addossare la colpa sui nordafricani, ma gli assassini rei confessi sono due giovani statunitensi di 19 e 20 anni di età, tali Elder Finnegan Lee e Christian Gabriel Natale Hjorth, fermati per l’omicidio del vicebrigadiere Cerciello Rega a distanza di poche ore dai fatti. Ad entrambi è contestato l’ omicidio e la tentata estorsione in concorso, anche se ad infliggere le otto coltellate mortali sarebbe stato il 19enne, Elder Finnegan Lee. I Carabinieri hanno svolto egregiamente il proprio lavoro, e di conseguenza la giustizia potrà fare il suo corso, si spera senza lo sbraitare dei perfetti e inutili buffoni del brano di Battiato. Nel contempo, non vanno dimenticati due fatti che, a nostra memoria, non si erano prima verificati e di cui abbiamo già fatto cenno su questo sito, e cioè l’omaggio al caduto dell’Arma dei Carabinieri portato al comando generale , a sirene spiegate, prima dalla Polizia di Stato e successivamente dai militari della Guardia di Finanza , che hanno salutato sull’attenti. È stato un incantevole esempio di unità dato nello stesso giorno dalle forze dell’ordine; non una semplice solidarietà, ed una resa d’onori ad un bravo Collega e ad un uomo buono , ma, a nostro avviso una dimostrazione di quelli che proprio gli americani chiamerebbero “brothers in arms” , “fratelli d’ armi”. Tangibile consapevolezza, cioè, della condivisione di un lavoro impegnativo, difficile, rischioso sia fisicamente che “giudiziariamente”, non valorizzato nelle sue dinamiche quotidiane : retribuzioni al palo, sostituite molto parzialmente da una poco comprensibile (ai più) moltiplicazione dei gradi; carenza di alloggi di servizio proprio mentre si progetta di trasformare in centri commerciali le caserme non più utilizzate; parco automezzi ormai “multi marche”, di difficile gestione e spesso di scarsa praticità; dotazioni individuali carenti, ecc. ecc. Si potrebbe continuare a lungo l’elenco delle doglianze, sempre uguali da molti anni, tanto che , anche qui, risulta attuale l’altrettanto famoso brano del povero Giorgio Faletti, del 1994 , “Signor Tenente” : « … Minchia signor tenente e siamo qui con queste divise/Che tante volte ci vanno strette /Specie da quando sono derise da un umorismo di barzellette/ E siamo stanchi di sopportare quel che succede in questo paese/Dove ci tocca farci ammazzare per poco più di un milione al mese…» . Abbiamo visto uomini dei reparti mobili feriti nel corso di violente manifestazioni di piazza essere citati nei processi come persone offese e presenziarvi quasi spaesati, sia dal punto di vista logistico che da quello procedurale (chi regge l’urto della piazza violenta è in genere alieno ai palazzi di giustizia ed ai loro riti) , perché privi dell’assistenza dell’Avvocatura di Stato o di qualsiasi altra assistenza legale. Spesso le lesioni subite nel corso delle operazioni di polizia sono risarcibile a titolo di danno biologico, senza decurtazioni a favore degli enti previdenziali , però chi lavora “su strada” altrettanto spesso non lo sa e non vi dà peso, anche perché rivolgersi agli avvocati del libero foro (quando sono disponibili) per costituirsi come parte civile ha comunque un suo costo ed un suo impegno processuale, cui non corrisponde, purtroppo, una qualsiasi forma di aiuto da parte dell’amministrazione di appartenenza. Avremo modo di tornare sulle disfunzioni, per così dire, di sistema. Ora riteniamo doveroso dedicare le ultime riflessioni all’uomo che indossava l’uniforme dell’Arma, al vicebrigadiere Mario Cerciello Rega. Sposato da appena un mese e mezzo con una giovane figlia di un commissario capo in pensione della Polizia di Stato, laureata in scienze farmaceutiche ed impiegata in una farmacia abbastanza vicina alla casa che avevano preso in affitto a Roma , proprio nelle vicinanza della Stazione CC in cui prestava servizio il vicebrigadiere, si erano promessi reciprocamente nella grotta di Lourdes , dove lui era solito recarsi come barelliere. Chiunque di noi abbia avuto modo di partecipare al pellegrinaggio militare internazionale a Lourdes ha potuto constatare la totale dedizione , o meglio, il dono di sé dei barellieri alle persone accompagnate e la gioia che cercano di trasmettere loro con il sorriso anche nelle situazioni più toccanti. La stessa dedizione di sé il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, cattolico praticante e volontario inserito nelle organizzazioni cattoliche che si richiamano agli antichi valori della cavalleria, la trasmetteva anche ai più poveri tra i poveri di Roma, i senzatetto. Lo stesso spirito improntato all’ascolto dei fratelli lo trasmetteva ai colleghi , che considerava come fratelli; ma anche verso gli arrestati portava sempre il rispetto che si deve ad ogni persona umana. Per questa sua professione dell’insegnamento cattolico e dei valori cavallereschi dell’Arma dei Carabinieri, la notte fatidica di due giorni fa, egli non si è sottratto al proprio dovere ed è caduto sul campo dell’Onore, grande come la sua Fede. Per questo possiamo dire che è caduto un carabiniere ed un cavaliere cattolico. Al suo ricordo ed a consolazione della giovane moglie e dei familiari , amici e colleghi che lo hanno amato, vadano i nostri pensieri e le nostre preghiere. A.S. MUoRE UCCISO UN CARABINIERE - UNA MORTE PREANNUNCIATA?Rispettabili Ministri, pensiamo che i Carabinieri e le altre forze di Polizia siano stanchi delle parole e dei soliti convenevoli nei momenti in cui accadono questi nefasti eventi. Negli anni abbiamo visto troppi uomini in divisa cadere per servire lo Stato e, ahimè, anche per azioni suicide a cui ancora non avete dato risposte. Non vorremmo strumentalizzare la morte del giovane Carabiniere, che per noi è come veder morire un figlio , ma è ora di prendere in mano le redini e decidere cosa realmente si voglia fare per ottimizzare l'attività operativa e la vita di queste persone, che ancora oggi si sentono sole ed abbandonate dallo Stato. Abbiamo seguito il commovente saluto della polizia e della Guardia di Finanza innanzi al Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, ma non nascondiamo che ci saremmo maggiormente emozionati se quel saluto fosse stato rivolto innanzi alla moglie, al padre ed alla madre, la famiglia tutta, poiché solo questa potrà essere il vero punto di riferimento.
Come ex militari e appartenenti alle forze di polizia e/o anche semplici cittadini, avremmo tanto da dire, ma non vogliamo approfondire ulteriormente una tematica cosi complessa, perché riteniamo non sia questo il momento. Il Colonnello Paternò ha pubblicato un articolo su ImolaOggi.it, relativo all'assassinio del Vice Brigadiere Mario Cerciello, con il seguente titolo:”come e perché il sangue ha imbrattato quella divisa” ove evidenzia le peculiarità e le criticità di un sistema ormai incontrollabile, una situazione di fatto, che i burocrati che vivono ai vertici, come orbi , non vogliono vedere. Anche il Comandante Alfa, dei GIS, ha scritto una lettera che è stata pubblicata sul il Giornale.it, da cui alcuni buon pensanti potrebbero trarne degli spunti, con il seguente titolo:"Non siamo carne da Macello. Saviano vergognati!" Ci congediamo stringendoci intorno alla famiglia del giovane Carabiniere, in un sentito cordoglio. Ai burocrati, invece, ci rivolgiamo con la seguente espressione idiomatica: ” Quando volete parlare di pesca, parlate con i pescatori, non con l'armatore”. G.L. POLIZIOTTO COINVOLTO IN UN INCIDENTE STRADALE VIENE ASSOLTO DALLA CORTE DEI CONTI.Ad un poliziotto, coinvolto in un sinistro stradale, veniva addebitato il costo del veicolo, poiché ritenuta la sua condotta, negligente e non conforme alle norme della circolazione stradale. Di diverso avviso è stata la Corte dei Conti Piemontese, che ha così motivato:
"Nel merito va premesso che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. I App. n. 235/20159 e questa Sezione n. 197/2016) ha puntualizzato come la colpa grave necessaria per configurare, in occasione di incidenti stradali, la responsabilità amministrativa del conducente, non possa determinarsi con riferimento alla sole norme di circolazione stradale, ma consista in un comportamento gravemente imprudente o nell'inosservanza delle più comuni regole di attenzione, diligenza e cautela, cui sono comunque tenuti tutti i soggetti che guidano veicoli circolanti su aree pubbliche. Tale qualificato elemento psicologico è stato rinvenuto "nel volontario comportamento finalizzato a porre in essere una condotta di guida spericolata, sprezzante delle prescrizioni imposte ed incurante delle altrui esigenze e possibilità di guida", vale a dire così gravemente imprudente da essere "caratterizzato dall'assoluto disprezzo delle norme che disciplinano la circolazione o dalla grave inosservanza delle comuni regole di attenzione, diligenza e cautela (...)" (cfr. Sez. I App. cit.). La colpa, in simili ipotesi, viene quindi correlata, non alla mera inosservanza delle norme del codice stradale, ancorché di notevole importanza, oppure a una qualsiasi manifestazione di negligenza, imprudenza o imperizia, bensì a una condotta pericolosa, che nel caso concreto, tenuto conto della natura e delle caratteristiche della specifica attività professionale esercitata dall'agente pubblico, appaia in spregio delle basilari regole di prudenza e perciò atta a determinare, con elevato tasso di probabilità, la verificazione dell'evento dannoso". Corte dei Conti Piemonte n.51/2019 G.L. Un altro suicidio nelle file dell'arma dei carabinieri. accendiamo i riflettori su questi nefasti eventi.Questo mese, Marzo 2019, il M.llo L. C. muore nell'ospedale ove è stato trasportato, dopo essersi sparato con l'arma d'ordinanza, all'interno della Caserma.
Seppur voci non meglio confermate, asseriscano che il tutto sia avvenuto nell'ufficio del Capitano, .e/o comunque, in sua presenza, noi non siamo a conoscenza dei fatti. Questo evento ci riporta all'agosto del 1999, ove il M.llo R. R., di 45 anni, della Compagnia Carabinieri di Alghero, si suicidò davanti al Capitano, dopo una concitata discussione. Vecchi ricordi che lasciano l'amaro in bocca per chi ha conosciuto questi uomini e per chi ancora quella divisa la indossa. Sono figli, fratelli e sorelle, nipoti, amici e amiche che ci abbandonano, lasciando un velo di tristezza difficilmente colmabile, soprattutto perché spesso non si riescono a capire le motivazioni che li hanno indotti a tali gesti. I media, silenti, continuano a non porre in risalto questi eventi, così come anche alcune amministrazioni, chiuse nel quasi totale silenzio, nell'ascolto di un dolore silenzioso che si espande all'interno della famiglia. La famiglia, per chi compie questi insanabili gesti, è altrove, fra i propri parenti , fra i propri famigliari, coloro i quali, riescono almeno ad ascoltare e sentire il loro malessere, spesso non collegato a fattori personali, ma sovente, ad altre problematiche. Il suicidio è un gesto emulativo, secondo i testi di medicina legale e vittimologia che alcuni studi professano, dando quindi al gesto una risonanza quasi di "protesta estrema" , tipo Jan Palach in Cecoslovacchia nel 1969. Occorre fare qualcosa, anzi, qualcosa va fatto quanto prima per evitare che qualche gesto estremo possa essere causato da condizioni di lavoro e di retribuzioni non buone. Nelle forze armate, quando era ancora attivo il servizio di leva, a metà degli anni '80, il fenomeno dei suicidi fu affrontato con determinazione e vigore , e fu quasi del tutto debellato, con specifici corsi di formazione per il personale e con una nuova e maggiore consapevolezza dei quadri permanenti e con provvedimenti normativi tendenti ad una maggiore "regionalizzazione" del servizio militare. Stare meglio, magari, significa stare vicino ai propri famigliari, ove vengono coltivati gli interessi personali, ove ogni richiesta non debba sembrare una mera supplica e relativa concessione, ma un diritto reclamato e dovuto. Pare oramai sempre più impellente l' esigenza di regionalizzare il servizio come fu fatto per le forze armate negli anni '80, cosa che diede ottimi risultati. Alcune organizzazioni governative hanno stimato che fra il 2010 e il 2018 nelle forze di polizia vi siano stati 250 suicidi, una ecatombe mai più mal rappresentata come in questi momenti, di cui quasi tutti tacciono. Abbiamo già scritto su questo sito, e per l'ennesima volta continuiamo ad evidenziare le medesime problematiche, mai assunte e affrontate dai vertici e dalla politica? Nascono i sindacati nelle forze armate e di polizia, Carabinieri, Finanzieri etcc... una innovazione mai vista prima, ma a tal proposito ci si domanda, dove sono in questi momenti? Vorremmo sentire la loro voce, i loro rappresentanti parlare in nome e per conto di chi non c'è più, per far emergere quello che molti pensano e pochi dicono. Ascoltiamo i loro problemi e cerchiamo di migliorare la vita interna alle amministrazioni d'appartenenza, perché per quella che l'aspetta al di fuori, ne sono già consci . Tralasciamo i tecnicismi ed i motivi postumi che possono portare a funeste decisioni, poiché affrontati già in altri interventi, ma da genitori, si ha la necessità di sapere il proprio figlio nelle mani di chi possa condurlo nella giusta via , di chi possa insegnarle come affrontare qualsivoglia problema, ma soprattutto, capire che quel problema può annidarsi ove meno si pensa possa esserci, fra le pieghe del proprio percorso. G.L. L'INPS sbaglia i calcoli sulle pensioni dei Militari e delle forze di polizia - soccombe innanzi ai ricorsi presentatiLe sentenze di alcune Corti Contabili stanno rimettendo in discussione l'applicazione dell'aliquota di percentuale calcolata ai fini pensionistici, per Militari, Carabinieri, Finanzieri etcc. Chi , al 31 dicembre 1995 non ha fatto valere un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni, è destinatario del sistema di calcolo pensionistico c.d. “misto”. Chi ha maturato alla data del 31 dicembre 1995 un’anzianità - in attività di servizio - di più di 15 anni e meno di 20 anni di servizio utile, secondo le sentenze di alcune Corti dei Conti, deve essere destinatario del trattamento previsto dall’art. 54 del d.P.R. n. 1092/73, per il quale “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile”. Tuttavia, il trattamento pensionistico in godimento calcolato fino ad ora dall'INPS, è quello più sfavorevole dell'aliquota di cui all’art. 44 del medesimo d.P.R. per il quale “la pensione spettante al personale civile con l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo è pari al 35 per cento della base pensionabile ... aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell’ottanta per cento”. Inoltre, secondo l'interpretazione dell'INPS , la base di calcolo del 44% si applicherebbe esclusivamente alle pensioni liquidate interamente su base retributiva. La Corte dei Conti per la Regione Sardegna, rivedendo alcune sue decisioni precedenti, decideva in senso favorevole all'accoglimento della tesi del ricorrente, con sentenza n. 2 del 4 gennaio 2018; Sez. giur. Sardegna, 4 aprile 2018, n. 68; in termini analoghi. Come è incontestato, la pensione del ricorrente veniva liquidata con il cd. sistema misto (retributivo/contributivo), poiché l’interessato, alla data del 31 dicembre 1995 (art. 1, comma 13 legge n. 335/1995), non possedeva un’anzianità contributiva di almeno diciotto anni. Conseguentemente, il suo trattamento di quiescenza veniva liquidato secondo il sistema delle quote di cui al precedente comma 12 della disposizione citata, il quale prevede che “per i lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un’anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, la pensione è determinata dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data; b) della quota di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo”. La questione dell’aliquota di rendimento applicabile si pone, come è evidente, esclusivamente per la quota A, ovverosia quella calcolata con il sistema retributivo. Giusta il disposto della norma, al suddetto fine va fatta applicazione della normativa vigente alla data del 31 dicembre 1995. Nel caso del personale militare, l’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, vigente alla data del 31 dicembre 1995, prevede che “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo (comma 1). La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo (comma 2)”. Pertanto, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Sardegna, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione in godimento con applicazione, sulla quota calcolata con il sistema retributivo, dell’aliquota di rendimento di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 1092/1973, con interessi legali e rivalutazione monetaria. Dello stesso avviso si sono espresse la stessa Corti per la Regione Calabria , Corte per la Regione Toscana. G.L.
CHI HA PAURA DEL SERVIZIO DI LEVA?Di tanto in tanto, dai tesori della memoria collettiva, qualcuno estrae le parole "servizio militare di leva" ; taluni dicono che deve diventare uno strumento educativo delle nuove generazioni, altri rispondono che si tratta di idee romantiche, dato che il servizio di leva è stato abrogato. Chi ha ragione? Anticipiamolo: poiché il servizio di leva non è stato mai abrogato, nessuna delle posizioni è seria e corretta. Vediamo perchè.
Altre volte ce ne siamo occupati, e come nei precedenti interventi partiamo dalla Costituzione vigente. L'art.52 Cost. recita testualmente: «1.La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino . 2. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge . Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l'esercizio dei diritti politici. 3. L'ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.». Come ognuno è in grado di percepire, i Costituenti concepirono la difesa della patria come una forma altissima di solidarietà che grava su tutti i cittadini , da perseguire principalmente con il servizio militare obbligatorio, di popolo. Nel corso del tempo si sono andate concretizzando altre forme di questa solidarietà a favore della Patria, come il Servizio Civile , disciplinato dalla legge come alternativa alla leva (legge 15 dicembre 1972, n. 772, sostituita dalla l. 8 luglio 1998, n. 230). Successivamente la l. 20 ottobre 1999, n. 380 , dando concreta attuazione ai principi di uguaglianza di cui all’art.3 Cost. ha ammesso anche le donne alla possibilità di entrare nelle forze armate e nel Corpo della Guardia di Finanza. Dopo di che, in base all’art.1, 6° comma, L. n. 331/2000 (Norme per l’istituzione del servizio militare professionale) «le Forze armate sono organizzate su base obbligatoria e su base professionale secondo quanto previsto dalla presente legge». L’art. 3 di tale legge delegava il Governo ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge stessa, «un decreto legislativo per disciplinare la graduale sostituzione, entro sette anni a decorrere dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo, dei militari in servizio obbligatorio di leva con volontari di truppa e con personale civile del Ministero della difesa». Così, veniva emanato il D.Lgs. n. 215/2001 (Disposizioni per disciplinare la trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale, a norma dell’art. 3, 1° comma, L. 14 novembre 2000, n. 331), al cui art. 7 si legge: «Sospensione del servizio di leva. — Le chiamate per lo svolgimento del servizio di leva sono sospese a decorrere dal 1° gennaio 2005. Fino al 31 dicembre 2004 sono chiamati a svolgere il servizio di leva, anche in qualità di ausiliari nelle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e nelle amministrazioni dello Stato, i soggetti nati entro il 1985. La durata del servizio di leva è quella stabilita dalle disposizioni vigenti. — Dall’anno 2002 il contingente di militari di truppa chiamati ad assolvere il servizio obbligatorio di leva è annualmente ripartito, con decreto del Ministro della difesa, tra l’Esercito, la Marina, compreso il Corpo delle capitanerie di porto, e l’Aeronautica. Per il Corpo delle capitanerie di porto il decreto è adottato di concerto con il Ministro dei trasporti e della navigazione. — Nei casi previsti dall’art.2, 1° comma, lett. f),L. n. 331/2000, il servizio di leva è ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri». Ex art. 2, 1° comma, lett. f),L. n. 331/2000, il compito della difesa nazionale può essere assegnato a«personale da reclutare su base obbligatoria, salvo quanto previsto dalla legge in materia di obiezione di coscienza, nel caso in cui il personale in servizio sia insufficiente e non sia possibile colmare le vacanze di organico mediante il richiamo in servizio di personale militare volontario cessato dal servizio da non più di cinque anni, nei seguenti casi: 1) qualora sia deliberato lo stato di guerra ai sensi dell’art. 78 Cost.; 2) qualora una grave crisi internazionale nella quale l’Italia sia coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifichi un aumento della consistenza numerica delle Forze armate». Possiamo sostenere in modo inoppugnabile che la “sospensione” del servizio militare non ha affatto “abrogato” il servizio obbligatorio di leva: un conto è “sospendere” , un altro “abrogare”.Ove particolari situazioni lo richiedano, infatti, il cittadino potrà essere chiamato ad assolvere il dovere di difendere la patria . Sussiste ancora, pertanto, la possibilità di dare concretezza all’interesse pubblico al regolare reclutamento finalizzato a far conseguire la necessaria istruzione militare, una volta che questo interesse pubblico sia ritenuto fattibile dal Governo e dal Presidente della Repubblica. Dopo aver ascoltato con un po’ di sconcerto le affermazioni agostane di alcuni ambienti ministeriali, vien fatto di chiedersi : siamo proprio sicuri che il servizio militare di leva non serva ancora oggi , magari rivisto e aggiornato ai tempi ? A noi , francamente , fa una certa impressione apprendere che qualcuno , al Ministero della Difesa , consideri il servizio militare di leva come un “ricordo nostalgico” o "romantico" oggi improponibile; giudizio che riteniamo improprio e non consono alla funzione del Ministero della Difesa, che fa credere all’opinione pubblica che il Servizio Militare di Leva non esista semplicemente più , ignorando la Costituzione e le leggi della Repubblica ! Qualche “vertice” ministeriale dovrebbe fare un buon ripasso normativo, a partire dall’Art.52 Costituzione … È arrivato il momento di dirlo forte e chiaro: le sole Forze dell’Ordine (per non dire delle FF.AA.) sono sotto organico di circa il 50% . A ciò si aggiunga la crescente “proiezione esterna” delle nostre povere Forze Armate , cioè a dire , ad esempio , l’esigenza di prendere parte con nostri uomini sotto le insegne dell’ONU in operazioni di peace-keeping , oppure di rispondere alle sempre più pressanti richieste del Presidente degli USA, socio di maggioranza della NATO , che chiede un maggiore impegno finanziario (per chi può, e l’Italia non può) e/o di uomini (è il caso dell’Italia) per operazioni nelle zone più calde del pianeta e ritenute strategiche dall’Alleanza Atlantica. Ricordiamo agli smemorati che negli anni ’80 e ’90 la NATO pretendeva dall’Italia un numero minimo di uomini , molto lontano da quello che potevano garantire i soli militari di carriera. Dopo la Guerra Fredda, evidentemente , le esigenze numeriche diminuirono; nessuno, però , poteva prevedere le conseguenze dell’attacco alle “due torri” statunitensi e la ripresa a grande stile delle tensioni internazionali e dei crescenti atti di terrorismo in tutto il mondo . In questi scenari, destinati per il momento a non migliorare, è lecito domandarsi se sia attuale o no l’esigenza di reclutare giovani in armi , che per un breve periodo della propria vita svolgano compiti di supporto interno alle Forze dell’Ordine ed alle stesse FF.AA. , alleggerendo di compiti i reparti più operativi , impegnati anche all’esterno dei confini nazionali. La facciamo breve: può tranquillamente esistere , anche dal punto di vista operativo (dato che dal punto di vista legislativo le norme sopra citate lo prevedono espressamente, in attuazione dell’ art.52 Cost.) un modello di Difesa basato sulla compresenza di contingenti “di leva” a supporto di un blocco di personale “di carriera”, così come avveniva fino a vent’anni fa. Peraltro, il sistema-Difesa avrebbe pure da guadagnarci, sia in termini di risparmio finanziario, sia in termini di utilità esperienziale, dato che spesso i cosiddetti “ coscritti " in molte attività sono ben più preparati dei volontari. Si pensi, ad esempio, ai laureati nelle materie scientifiche e/o tecnologiche , o ai laureati in lingue orientali, russe, ecc. … Perché ,poi, non affidare la vigilanza statica delle strutture militari e civili di importanza strategica ai militari di leva, che in passato hanno dimostrato di essere molto ben preparati al riguardo? Ed allora, se è ancora evidente ed attuale l’utilità di un sistema-Difesa costruito sulle “due gambe” (coscritti e volontari), non sarà il caso di riattivare , quantomeno, le “visite di leva” finalizzate ad un eventuale arruolamento obbligatorio? Ci sarebbe uno screening sanitario di massa, con utilità anche socio-sanitarie immense per la collettività, ed una massa (perdonate il bisticcio di parole) di persone da cui attingere in caso di bisogno. O dobbiamo aspettare che gli eventi travolgano l’organizzazione statale , costringendola in fretta e furia (all’italiana…) a visite di massa ed emissione di decine di migliaia di“cartoline rosa” , a tamburo? Certo è che la politica , sulla questione delicata di cui stiamo scrivendo, ha fatto l’ennesima brutta figura , parlandone tra l’altro con i piedi sulla sabbia agostana. Al contrario, l’argomento merita approfondimenti in ambito interministeriale, e , ancor meglio, intergovernativo, date le inevitabili implicazioni in ambito ONU e, soprattutto, NATO. È lecito chiedersi, in conclusione: chi ha paura del servizio di leva e dell’esercito di popolo ? A.S. MORTI IN UN PAESE NON IN GUERRA - LA STORIA DEI NOSTRI MILITARI E DELLE NOSTRE FORZE DI POLIZIARiportiamo l'intervista di Rory Capelli per repubblica, fatta al collega del militare suicidatosi alcuni giorni fa a Roma, perché vera, reale ed essenziale. Fa capire quali siano gli effettivi problemi all'interno delle forze armate e di Polizia e, seppur questo argomento sia stato da noi già trattato, crediamo necessario riproporre alcune riflessioni.
In gioco, in un paese non in guerra, vi è la vita dei nostri ragazzi, che patiscono l'inerzia di chi dovrebbe averne cura, a tutti i livelli. Perché tutti questi suicidi? Ormai non si contano più, tra Forze Armate e Forze di Polizia, nessuno mostra la reale intenzione di voler affrontare il problema. Ogni morte ha un proprio retroscena e, guarda caso, le ipotesi avanzate costantemente sono: "problemi familiari, sentimentali, finanziari, ecc.”, sempre e solo legati alla sfera individuale. Ma è veramente così? Noi diciamo di NO, o meglio, NON SEMPRE è così. Si può meglio capire dalle risposte del militare al cronista di Repubblica, quali siano i reali problemi. La vita militare e nelle forze di polizia è compressa e piena di insidie, con un notevole fattore ansiogeno attribuibile allo stress quotidiano a cui gli operatori vengono esposti. I più potranno pensare che questo carico di stress derivi esclusivamente della peculiarità del loro lavoro, ma non è così, i problemi maggiori giungono dal rapporto insistente all'interno dell'organizzazione, ove i doveri sono in prima fila ed i diritti trovano spazio nelle mere concessioni dei superiori. Il diritto non può essere un conferimento derivante dalle decisioni della scala gerarchica o discendere dal potere decisionale del proprio superiore, perché in tal caso non sarebbe più un diritto, ma una concessione, soggetta quindi a discrezionalità. Non si può vivere in questo modo, non ci si può sempre appellare alle esigenze di servizio per negare un diritto o anche solo venir meno alle necessità personali e familiari del militare. Ricordiamoci che i più svolgono il loro lavoro lontani dalle proprie famiglie e dalle loro case , spesso trovano notevoli difficoltà anche nel poter fruire la loro licenza nei periodi richiesti, perché anche questa è legata alle esigenze di servizio, per lo più opinabili e non reali, ma sovente è solo una definizione usata impropriamente da chi la palesa. "Recuperi riposi" non gestibili dallo stesso fruitore, straordinari non pagati e recuperati in momenti non richiesti, regolamento di disciplina militare (antiquato) spesso interpretato in maniera restrittiva e da "ancien regime", trasferimenti a domanda stentatamente accoglibili, note caratteristiche che lasciano spazio alla più ampia discrezionalità, meritocrazia legata solo al grado e alle proprie doti di "savoir vivre", concorsi interni condizionati da punteggi derivanti dalle anzidette note ed "encomi", spesso non prettamente obiettivi, circolari interne in alcuni casi contra legem, che vengono considerate più rilevanti della legge stessa. Sono solo un corollario di problemi cui l'operatore, specie quello che fa il c.d. servizio "di strada" (o "di trincea" , se si preferisce) si scontra quotidianamente, e che di frequente deve sottoporre a quadri intermedi (gerarchia immediatamente superiore) che il servizio di strada non sanno spesso cosa sia... Perché un operatore deve aspettare dieci anni (Guardia di Finanza) prima di fare domanda di avvicinamento? Perché alcuni regolamenti interni osteggiano l'avvicinamento presso il luogo di nascita? Perché per studiare o dare gli esami, nonostante le disposizioni di legge diano tempo e spazio e incentivi di carriera all'operatore-studente, devono esserci reiterate richieste ed i relativi permessi sono fatti pesare come "concessioni" ? In una logica empirica qualcuno direbbe che chi lavora sulla strada ed è quotidianamente esposto ad aventi sfavorevoli dovrebbe avere una valutazione superiore da chi sbriga pratiche in ufficio o porta a spasso (autista) il superiore: ma credete che sia sempre così? Vi siete chiesti , poi, perché i carabinieri indossano ancora la bandoliera? Ovviamente non si può pensare ad un'esigenza operativa ; quindi, a cosa servirebbe? Vogliamo ancora utilizzare i nostri militari così agghindati come soldatini di piombo per far pavoneggiare i grossi papaveri ? Cerchiamo di essere pragmatici e pensiamo alla reale utilità della bandoliera e utilizziamola solo per rappresentanza o manifestazioni di categoria, atteso che essa è un simbolo storico dell'Arma dei Carabinieri, ma lasciamo liberi gli operatori di essere agili e leggeri quando sono operativi. Ancora: su cosa si basa la meritocrazia? Sulla capacità di svolgere al meglio il proprio lavoro, tenendo conto anche dei rischi a cui si viene esposti, o sulla capacità di affinare il rapporto con la scala gerarchica? Immaginiamo che molti, specialmente chi svolge questa attività, abbia già una risposta... Sembrerebbero tutte cose fatue e non di gran conto , tali da non poter determinare decisioni così drammatiche in seno alla vita di un militare o di un agente di polizia, ma la realtà va vissuta e respirata all'interno delle stesse Istituzioni , per capire che tutto ha un peso e un significato. Dobbiamo dare più spazio agli uomini che vestono una divisa e capire che non è solo con l'autorità che ci si pone innanzi ai propri uomini, ma con l'autorevolezza che un buon Comandante si guadagna con la sua equanime diligenza nel gestire un reparto di uomini a lui affidato, pensando che ogni uomo ha una sua storia, una sua famiglia, una sua vita che deve essere vissuta con dignità ed onore, forte dei valori che queste Istituzioni dovrebbero esprimere, senza però eludere i Diritti Costituzionali su cui esse si devono basare. In questa prospettiva vogliamo segnalare un caso emblematico, un esempio positivo di come un comandante possa essere autorevole e rispettato, senza affatto bisogno di essere autoritario. Alcuni anni fa , durante la notte, un alto ufficiale viene a sapere che un familiare di uno dei suoi dipendenti è scomparso di casa; subito dà ordine che vengano chiamati tutti i militari, in servizio e fuori servizio, spiegando la cosa e chiedendo che tutti vengano vestiti in mimetica per le ricerche. Dopo alcune ore di tensione crescente , durante le quali l'alto ufficiale è sempre stato fisicamente vicino al militare interessato, il familiare viene ritrovato da una pattuglia e riaccompagnato a casa con tutte le cure e le attenzioni del caso... Saggezza e lungimiranza del comandante: chiedendo un sacrificio a tutti, attraverso questo episodio virtuoso, egli ha cementato il gruppo facendoli sentire parte di un'unica famiglia e, proprio ricordandosi di essere un comandante, successivamente gli ha fatto raggiungere obiettivi di lavoro mai prima ottenuti. Oggi, più che mai, nell'organizzazione delle forze militari e di polizia, vi è necessità di un organismo terzo e non influenzabile, al quale gli operatori possano rivolgersi per qualsiasi problema che può nascere all'interno dell'ambito lavorativo, a difesa dei propri diritti costituzionali. E' ora che tutti gli operatori vengano agevolati nelle loro necessità e possano vivere in maniera serena la propria vita lavorativa, pensando che la battaglia si deve combattere fuori e non all'interno delle stesse Istituzioni a cui appartengono. Si spera che il vento di cambiamento che si respira in questo momento storico nel nostro Paese, dia nuova linfa e ispiri le Istituzioni Militari e civili a creare un rapporto con gli uomini che servono lo Stato che sia collaborativo, efficace e giusto nell'applicazione dei diritti a loro dovuti. La nostra Associazione, che proprio ai principi ed ai diritti Costituzionali si ispira, sarà sempre al fianco degli operatori della difesa e della sicurezza, di qualunque grado e funzione. GL . sindacati nelle forze armate e di polizia.LIBERTA’ SINDACALE PER LE FORZE ARMATE ED I CORPI ARMATI DELLO STATO , MA CON I LIMITI PROPRI DELL’ ORGANIZZAZIONE MILITARE
Con la sentenza 7 giugno 2018 ,n. 120 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1475, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2010, in quanto prevede che i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali, invece di prevedere che i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge; mentre non possono aderire ad altre associazioni sindacali, giustificando le specificità dell’ordinamento militare l’esclusione di forme associative ritenute non rispondenti alle conseguenti esigenze di compattezza ed unità degli organismi che compongono tale ordinamento. Di seguito pubblichiamo la sentenza 120/2018 Corte Cost. AS
LE ASSOCIAZIONI POSSONO INTERVENIRE NEL GIUDIZIO PROMOSSO DAL SINGOLO CONSUMATOREle Sezioni unite hanno avuto modo di evidenziare, in passato, che gli interessi diffusi sono 'adespoti' e possono essere tutelati in sede giudiziale solo in quanto il legislatore attribuisca ad un ente esponenziale la tutela degli interessi dei singoli componenti una collettivita', che cosi' appunto assurgono al rango di interessi 'collettivi'. Per altro verso, l'esclusione dell'accesso dei singoli alla tutela giudiziale appare giustificata dall'esigenza di evitare che una pluralita' indefinita di interessi identici sia richiesta con un numero indeterminato di iniziative individuali seriali miranti agli stessi effetti, con inutile aggravio del sistema giudiziario e conseguente dispersione di una risorsa pubblica; e con frustrazione, inoltre, dell'effetto di incentivazione dell'aggregazione spontanea di piu' individui in un gruppo esponenziale, il che, soprattutto in sistemi cui e' ignota la tutela dei diritti individuali omogenei da parte di singoli (invece tipica delle class actions, nelle quali il costo del processo non e' pero' sopportato in proprio dall'attore), vale anche ad equilibrare l'entita' delle risorse che ciascuna parte ha interesse ad investire nella controversia (Cass. SU, n. 7036 del 2006).
Ebbene, nel vigore della L. n. 281 del 1998, la legittimazione ad agire discende dalla qualita' di ente esponenziale ope legis, attribuita in base al sistema previsto dall'articolo 3 della legge stessa e con un sistema di iscrizione in elenco 'avente carattere costitutivo della legittimazione', in base ad accertamento disciplinato in sequenza procedimentale ex articolo 5, comma 2, L. cit.. Se, dunque, l'iscrizione nell'elenco ha carattere costitutivo della legittimazione, essa, se non immediatamente provata (in presenza di 'non contestazione'), deve, quanto meno, essere allegata da chi agisce. E, nella concreta fattispecie, dalla sentenza impugnata la circostanza predetta non risulta neppure allegata, mentre dalla memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c., si evince una implicita ammissione dell'inesistenza dell'iscrizione. Si tratta di rilievo dirimente perche', se in forza dell'articolo 3, L. cit., le associazioni iscritte possono agire per la tutela collettiva degli stessi diritti (dichiarati fondamentali) riconosciuti ai consumatori, a maggior ragione possono intervenire nel giudizio promosso dal singolo consumatore. GL MARESCIALLO INDAGATO E ASSOLTO - ACCANIMENTO GIUDIZIARIO?ll calvario del maresciallo assolto dall’accusa di mafia e di nuovo sotto processo. Per la procura generale che ha chiesto una nuova inchiesta, due indagini per concorso esterno, due archiviazioni e una assoluzione non sono ancora sufficienti
Due indagini per concorso esterno, due archiviazioni e un’assoluzione. Ma il «calvario» giudiziario di Giuseppe La Mastra, maresciallo dei carabinieri ora in servizio al nucleo radiomobile di Palagonia ( Ct), è lontano dalla parola fine. A raccontarlo è lui stesso, in un esposto indirizzato al procuratore generale della Cassazione, al Csm e al Presidente della Repubblica e firmato anche dal suo avvocato, Giuseppe Lipera, col quale si chiede a chi di dovere di verificare il comportamento dei magistrati in quello che viene considerato un «inspiegabile accanimento giudiziario» . La Mastra, nell’arma dal 1991, negli ultimi 10 anni è stato comandante della stazione di Catenanuova, Comune ad alta intensità delinquenziale. «Ho sempre svolto le mie delicatissime funzioni con il massimo della professionalità, sprezzo del pericolo, dedizione assoluta alla legge e alla magistratura», racconta il maresciallo. Che si sente stretto nella morsa di una giustizia ingiusta, fatta di accuse pesantissime. «L’onta dell’arresto, una lunga e inspiegabile indagine per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, poi sfociata in archiviazione, ed un processo dinanzi al Tribunale di Enna: ecco ciò che è stato riservato ad un servitore dello Stato come me», afferma La Mastra. È un collaboratore di giustizia a tirare in ballo La Mastra, accusandolo di essere vicino al clan Cappello. Una dichiarazione che, a maggio 2012, sfocia in un’indagine della Dda di Caltanissetta per concorso esterno e in una perquisizione al comando dei carabinieri da lui diretto. «Purtroppo la Dda di Caltanissetta non ha fatto chiarezza in tempi ragionevoli: non solo ho dovuto convivere per oltre due anni con questa terribile ed infondata accusa, ma, difficile a credersi, dopo una prima archiviazione, ha dovuto assistere ad una inspiegabile riapertura di indagini, basata su cosa non è stato dato sapere», racconta il maresciallo. Anche la seconda indagine si chiude con un’archiviazione, giungendo alla conclusione che La Mastra non ha mai favorito la mafia. Ma durante la perquisizione vengono trovate nell’armadio destinato ai reperti di reato alcune cartucce ed alcune munizioni. Il comandante viene così arrestato e sospeso dal servizio, finendo a processo davanti al Tribunale di Enna. L’accusa è di aver detenuto illegalmente quelle munizioni e di aver rifiutato atti del suo ufficio in relazione alle stesse. Il processo si è chiuso ad ottobre, con un coro unanime: La Mastra non ha commesso quel reato. Ne è convinto il pm Augusto Rio, che ha chiesto l’assoluzione, e ne sono convinti i giudici, che hanno ritenuto infondata l’accusa. Ma il calvario non è finito. Il sostituto procuratore generale della Corte d’Appello di Caltanissetta, Fabio D’Anna, ha infatti proposto appello, riaprendo «la mia personalissima quanto immeritata “via crucis” giudiziaria» . La Mastra parla di «stranezze» nell’atto di impugnazione proposto dalla Procura generale di Caltanissetta. «Non è un appello come tutti gli altri», dice il militare. Viene chiesta la rinnovazione dell’istruttoria, ritenendo insufficiente l’attività della Procura di Enna nel processo di primo grado. Dall’accusa di concorso esterno alla fine del processo sono passati intanto cinque anni. «Mi sento un vero e proprio perseguitato – spiega Questo è francamente troppo, specie per un maresciallo dei carabinieri che, per altro, in questi anni, ha dovuto convivere con l’atroce e prematura scomparsa della propria moglie, portata via da una lunga ed invincibile malattia». Nei motivi d’appello, la Procura generale accusa i giudici di primo grado di essersi appiattiti sulle dichiarazioni di La Mastra durante il processo. Il Tribunale ha evidenziato che le munizioni erano nell’armadio destinato ai reperti di reato, punto principale, secondo i giudici, per ritenere la non configurabilità del reato, che escluderebbe la detenzione delle munizioni a titolo personale. Quella stanza, inoltre, durante i giorni in cui La Mastra era assente, era a disposizione degli altri militari, per cui «se solo ci fosse stato un fine illecito non le avrei mai custodite in quell’armadietto ed in quella stanza», ha spiegato lo stesso maresciallo. Che lasciava la chiave in ufficio, allontanandosi spesso a causa della malattia della moglie. «La detenzione delle munizioni da parte del La Mastra non assume i caratteri dell’illegalità – si legge nella motivazione – tale detenzione, infatti, si inquadra nell’esercizio delle funzioni rimesse al La Mastra». Munizioni custodite non a titolo personale «ma per ragioni di ufficio», nella disponibilità di «chiunque avesse avuto titolo per richiederle, visionarle o prelevarle». Non sussiste, per i giudici, nemmeno l’accusa di mancata adozione di atti d’ufficio, dato che nessun accertamento è stato fatto per verificare l’effettiva mancanza di atti giustificativi della detenzione delle cartucce. Inoltre nel corso delle indagini furono man mano rinvenuti tutti gli atti pertinenti a ciascuna arma, con il conseguente dissequestro. Posizione non condivisa dalla procura generale, che invece escluderebbe l’accesso a terzi a quella stanza se non per consultare atti d’ufficio. Per La Mastra si tratta invece di una sorta di «persecuzione giudiziaria», di «fango» che ha portato l’uomo a dubitare delle «ragioni che stanno alla base di tale inspiegabile accanimento». Una vicenda che gli è costata due giorni nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, due mesi di arresti domiciliari a Castel di Iudica e, dopo la scarcerazione, anche il divieto di dimora in Catenanuova. «Questa storia non ci convince – commenta l’avvocato Lipera – probabilmente qualcuno sta tentando di riparare alla brutta figura fatta con le indagini a suo carico. Questa impugnazione non si comprende: non c’è parte civile, c’è un’assoluzione su conforme richiesta del pm. Hanno distrutto la sua vita: la sospensione dal servizio è durata diversi anni, con conseguenze economiche anche rilevanti e il blocco della carriera. Fosse capitato ad un magistrato il processo sarebbe stato molto più veloce. Invece è un carabiniere e deve passare le pene dell’inferno». FONTE: ILDUBBIO di Simona Musco 01/09/2017 sgombero degli occupanti a roma - funzionario di polizia - ordine legittimoEritrei e botte alla polizia, il colonnello dell'Arma: "Spaccare un braccio agli abusivi: vi spiego perché è giusto"
Evito di interloquire sulle cause e sulle modalità adottate dalle autorità capitoline nel corso della guerriglia urbana scoppiata durante lo sgombero di un palazzo e di una piazza abusivamente occupata da immigrati. Finché saranno considerati «buoni» coloro che agevolano l' ingresso indiscriminato di masse di immigrati nel nostro Paese, ben consci che finiranno in mezzo ad una strada e vivranno una vita di stenti, non c' è spazio per alcun ragionamento. Voglio invece concentrarmi su quello che oggi pare essere l' unico scandalo di tutta l' assurda vicenda: la frase del «becero» funzionario di polizia «se tirano qualcosa spaccategli un braccio!». Io ora scandalizzerò ulteriormente le anime belle che si stracciano le vesti chiedendo la lapidazione del poliziotto, affermando perentoriamente che quell' ordine, seppur espresso in una forma «impropria», era legittimo! E tenterò di spiegare perché. In base alla legge che consente alle forze dell' ordine (e al cittadino) di ricorrere alla violenza, con armi o con altri strumenti di coercizione (articoli 52 e 53 del codice penale), occorrono tre condizioni: - Inevitabilità, e cioè l' obbligo di invitare l' aggressore alla desistenza prima di colpirlo (ovviamente se c' è il tempo di farlo); - Attualità del pericolo, e cioè la possibilità di colpirlo solo nel momento in cui l' aggressore sta mettendo in pericolo l' incolumità di chi si difende o di altre persone (non può essere colpito quando, pur dopo aver commesso una strage, sta fuggendo); - Proporzionalità, chi si difende deve procurare all' aggressore la stessa lesione che lui avrebbe procurato alla vittima se non si fosse difesa. Ebbene, alla luce di quanto disposto dal legislatore, l' ordine del funzionario sarebbe stato censurabile se costui avesse detto: «Appena li vedete, spaccategli un braccio!». In tal modo avrebbe invitato i celerini a colpire una persona in assenza dei requisiti di inevitabilità e attualità del pericolo. Ugualmente illegittimo sarebbe stato l' ordine seguente: «Se tirano qualcosa, sparategli in testa!». Tale disposizione avrebbe violato il principio della proporzionalità. Ma è del tutto lecito ordinare di colpire qualcuno nel momento in cui sta portando in essere l' aggressione, e ancor più lecito è specificare di procurargli una lesione pari a quella che il poliziotto avrebbe subito prendendosi in faccia una pietra, una bottigliae addirittura una bombola di gas. Cosa rimane allora? Resta solo la frase «colorita» lanciata nel corso delle fasi concitate di una guerriglia. Cosa gli volete contestare? Di aver violato il bon ton del guerriero o il galateo battagliero? PS: Lo confesso, se avessero dovuto inquisirmi tutte le volte che ho detto «spacchiamogli il culo!» prima di effettuare un' irruzione in un covo di malviventi, mi avrebbero congedato mille volte. di Salvino Paternò Colonnello dei carabinieri congedatosi nel 2013 a Rieti dopo 36 anni di servizio, oggi insegna al master di criminologia della Sapienza Fonte:www.liberoquotidiano.it 29/08/2017 G.L. FORZE DI POLIZIA VS MAGISTRATURA - LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI Abbiamo avuto modo di leggere, sul quotidiano online “iltempo.it” il seguente articolo:
Se sei pm puoi insultare un carabiniere Il militare ha chiesto i documenti al magistrato che lo ha mandato «aff...». Ma per la Procura non è reato perché «avrebbe reagito a un atto arbitrario» Un carabiniere che «insiste» nel chiedere i documenti a un uomo che non indossa la toga ma che è «chiaramente» un magistrato, può essere liquidato con un sintetico invito ad andare a quel paese. Lo ha deciso la Procura di Caltanissetta, che ha ritenuto non punibile il giudice, mandando – seppur tra le righe – nuovamente a fanculo il militare troppo preciso. La storia farebbe anche ridere se non ci fosse di mezzo un oltraggio alla divisa da parte di un uomo che dovrebbe far rispettare la legge. Con la complicità, oltretutto, dei colleghi che hanno giustificato l’insulto. Tutto avviene a novembre scorso, non in un posto qualunque ma nell’area blindata della Procura di Palermo riservata alla Direzione Distrettuale Antimafia. Laddove le polemiche sulla scarsa sicurezza nei tribunali non si sono ancora placate, l’appuntato del reparto scorte ha chiesto i documenti a un uomo da lui mai visto prima. Infastidito dall’«affronto» del carabiniere, in servizio con altri tre colleghi, il giudice si è rifiutato di mostrargli il badge dandogli le spalle. Il militare non ha potuto far altro che insistere, quell’uomo avrebbe potuto esser chiunque, avere anche una pistola in borsa. Quindi ha riformulato la domanda, ottenendo di tutta risposta un «Ma vaffanculo!». L’esclamazione, pronunciata davanti agli altri militari e confermata dallo stesso togato nella propria relazione di servizio inviata al procuratore di Palermo, è stata ritenuta lecita. Il giudice, come hanno sentenziato i suoi stessi colleghi di Caltanissetta, non è punibile. Stava entrando nell’area riservata senza mostrare il badge, aveva il «diritto» di non essere importunato. Ha mandato a quel paese il militare che stava lavorando, ha girato i tacchi e tanti cari saluti. Secondo la corte, il magistrato ha reagito a un «atto arbitrario» del carabiniere consistente nell’aver chiesto l’esibizione dei documenti «quando appariva ormai chiaro che si trattava di un magistrato e quando lo aveva certamente valutato come un soggetto inoffensivo dal punto di vista della sicurezza del magistrato da lui protetto». Avrebbe dovuto immaginare chi aveva di fronte il puntiglioso militare, e il vaffanculo, insomma, «se l’è cercato». Contro la richiesta di archiviazione, presenteranno presto opposizione i legali del carabiniere, Giorgio Carta e Maria Laura Perrone. «La richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Caltanissetta – spiega l’avvocato Carta – mi sorprende. Mi chiedo, infatti, a quale rispetto possano oggi aspirare i poliziotti e i militari se perfino un magistrato pronuncia simili parole dinnanzi a chi sta svolgendo un delicato servizio per la collettività, peraltro particolarmente rischioso come quello della scorta». Fonte: www.iltempo.it ooo0ooo Sono chiare le difficoltà di quest'epoca, ove non si comprende più cosa sia ritenuto giusto o sbagliato, al limite dell'anarchia, in uno Stato sempre meno Stato che governa un popolo sempre meno popolo e che non “sente” affatto la Patria, divenuta a sua volta mero enunciato sulla carta Costituzionale. Come già diversi anni fa hanno documentato i giornalisti Stella e Rizzo nel loro famoso libro “La Casta” , l’ Italia soffre una disparità di trattamento tra i comuni cittadini ed una classe politica distante e iniqua , unitamente a pezzi di Istituzioni, che alimenta in ampi strati della popolazione la convinzione che politici ed alti esponenti delle Istituzioni godano di veri e propri privilegi, quando non di impunità. Naturalmente, come ci è stato insegnato nei primi giorni di catechismo, le generalizzazioni non vanno mai bene : non tutti i politici sono ladri, così come non lo sono tutti coloro che rivestono importanti funzioni pubbliche . Nondimeno, alcuni campanelli d’allarme sulla tenuta democratica delle Istituzioni (e tra Istituzioni, verrebbe da dire) non possono essere passati sotto silenzio, nell’interesse della Patria, e del popolo che in essa ancora si riconosce, cui abbiamo giurato fedeltà. In troppi casi , tra cui quello riportato da Il Tempo, si denota un atteggiamento foriero di un pensiero ideologico sempre più evidente , che va a confliggere con le difficoltà che le Forze di Polizia e i Militari incontrano quotidianamente nell'espletare il loro difficile e delicato compito. Abbiamo combattuto battaglie referendarie, vinte a stragrande maggioranza, contro una interpretazione sempre più estesa dell'immunità parlamentare, ed abbiamo per questo ritenuto estremamente necessaria una vera indipendenza della magistratura, che oggi , però, spesse volte, pare troppo soggetta ad iniziative manifestamente ideologiche e corporative, che fanno apparire l'esercizio delle funzioni magistratuali talvolta abnorme e fin troppo discrezionale , e comunque incomprensibile ai cittadini di comune buon senso. Chiediamoci: siamo sicuri che tutti i magistrati applichino la legge in maniera equanime , anche nei confronti dei loro stessi colleghi ? Non è arrivato il momento , anche alla luce di casi come quello riportato, di pensare finalmente ad una netta separazione delle carriere tra i magistrati che indagano e quelli che giudicano? Il sistema del giudizio penale, così come quello civile ed amministrativo (per non dire di quella specie di simulacro giudiziale che è il processo tributario) , si fonda su un elementare principio riconosciuto da tutti gli ordinamenti più avanzati, e che in Italia si ritrova nell’art.111 della Costituzione, secondo il quale chi giudica deve possedere due caratteristiche: la terzietà e l’ imparzialità. Come afferma l’appello degli Avvocati dell’Unione delle Camere Penali Italiane (che hanno raccolto in poche settimane 60.000 firme per una legge di iniziativa popolare sul tema) a sostegno della separazione delle carriere , « Il sistema processuale attuale, purtroppo, non garantisce però ciò che la Costituzione imporrebbe. Giudici e Pubblici Ministeri sono operatori del diritto che, pur giocando ruoli assai diversi in seno al processo, appartengono oggigiorno allo stesso ordine, partecipano delle stesse prerogative, possono trasmigrare da una funzione all’altra, siedono negli stessi consigli di disciplina ed autogoverno – valutandosi e giudicandosi reciprocamente – e, non ultimo, si aggregano nelle medesime in associazioni di categoria (Associazione nazionale Magistrati, Magistratura Democratica, Autonomia ed Indipendenza, Unicost).» . Il punto, aggiungiamo, è che non basta essere “terzi ed imparziali” : bisogna anche dimostrarlo esteriormente . Le tanto vituperate Forze di Polizia , e qui torniamo al fatto iniziale, oltre a doversi attenere alla legge ed ai regolamenti interni, talvolta anche rigorosamente militari, usano una certa etica comportamentale, che anche nella magistratura dovrebbe esistere, ancor di più che in altre Istituzioni. Esempio pratico: in casi di sinistro stradale ove è coinvolta un'auto dei carabinieri, si usa far intervenire, per i rilievi, una pattuglia della Polizia di Stato o della Polizia Municipale, proprio per non far apparire “interessato” un intervento di un pattuglia dello stesso corpo di polizia coinvolto nel sinistro; parimenti, anche quando si svolgono indagini a proprio carico. Orbene, quando vi è un magistrato che commette una violazione od un reato, perché deve essere giudicato da un appartenente allo stesso ordine giudiziario? Nel caso rappresentato nell'articolo che abbiamo sopra ripreso, come possiamo qualificare il comportamento del magistrato ? Offensivo, maleducato, irriguardoso, ingiurioso, o amichevole, confidenziale, spiritoso? Perché un Carabiniere , un Poliziotto , un Finanziere, eccetera, non può chiedere i documenti ad un magistrato o procedere alla sua identificazione, se non da lui conosciuto ? Vi è qualcuno al di sopra della legge? E' inutile negare la tensione che si respira fra i vari Apparati dello Stato , ed i comportamenti “disinvolti” (diciamo così) di taluni alti funzionari dello Stato (come i magistrati dell’ordine giudiziario) non fa che acuire l'attrito; il caso in questione certo non smussa gli spigoli. Oggi un operatore delle forze di Polizia si sente meno tutelato e si sente esposto a rischi sempre più evidenti, non solo verso una certa delinquenza, ma soprattutto, verso una Giustizia che agli occhi dei più appare sempre meno giusta, come ci dicono le rilevazioni statistiche di pubblico dominio. Si può agire tutelando la propria sicurezza e quella dei cittadini senza sentirsi in qualche modo sotto la lente di ingrandimento dei magistrati – il ché va bene nei casi di abusi - , senza rispettare al contempo il criterio di reciprocità ? Il potere legislativo e quello esecutivo sembrano non volersi accorgere della situazione attuale e dei conflitti non troppo latenti cui abbiamo fatto cenno. Il momento è indubbiamente difficile, e chi sta sulle strade è sempre più esposto a rischi di ogni genere. Chi, invece, da dietro una scrivania, rinfresca i suoi pensieri con l'aria condizionata, ha tempo e modo di meditare quale giudizi elargire e quali comportamenti perseguire. Il nuovo Codice di Procedura Penale ha posto le forze dell'ordine in una posizione troppo subalterna rispetto al pubblico ministero, a differenza di quanto lo fosse prima, con non infrequenti commistioni dei ruoli, e a nostro parere ciò ha in parte mortificato l’iniziativa dei singoli operatori di polizia, con danno per l’efficacia e l’efficienza delle stesse indagini. Con quale spirito si devono rapportare , gli operatori di polizia, con chi li manda “affanculo” ? Gli possono girare un tantino le scatole ? Cosa ne pensa il Consiglio Superiore della Magistratura ? G.L./A.S. 03/08/2017 CARABINIERI FORESTALI - QUALI DIFFERENZEMALCONTENTO TRA IL PERSONALE DELLA FORESTALE: LETTERA APERTA AL COMANDANTE GENERALE
www.infodifesa.it Si è ampiamente dibattuto sui suicidi all'interno delle Forze di Polizia, con risalto alle Istituzioni di estrazione militare, come si evince dall'articolo postato precedentemente e quelli inseriti nella news del presente sito. Inseriamo una lettera inviata dal presidente dell'associazione UNFOCED, al Comandante Generale dell'Arma dei carabinieri , che esplicita a grandi linee, uno dei tanti malcontenti, o malcostumi, che si annidano all'interno di alcune amministrazioni. LETTERA Al Sig. Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri Gen. C.A. Tullio DEL SETTE Ill.mo Sig. Comandante Generale, mi permetto di scriverLe queste poche righe per metterLa al corrente del crescente malcontento che serpeggia tra il personale del Ruolo Forestale, soprattutto in ordine alle tardive se non mancate risposte alle istanze di trasferimento, talune inevase anche da oltre 5 mesi. Sono risultate inefficaci anche le sollecitazione del COCER per i casi molto delicati, che riguardano figli in tenera età o genitori con problematiche sanitarie importanti o magari irrisolvibili. L’iter procedurale per richiedere un trasferimento risulta già di per se assai farraginoso, ma si è riscontrato che più la situazione è delicata e complicata e più – purtroppo – è maggiore il tempo che occorre per avere una risposta. Francamente, nell’epoca in cui tutto è informatizzato e la PA cerca di snellire e velocizzare tutte le procedure amministrative, per un’Associazione come UNFORCED che ha tra le finalità statutarie il benessere sociale degli associati e dei militari, quella che potrebbe apparire una mancanza di sensibilità riguardo tali situazioni delicate, risulta inaccettabile. Auspico che i militari del Ruolo Arma non siano rassegnati a questa “normalità gestionale”, a queste procedure, solo perché non ne conoscono altre; ma al personale del Ruolo Forestale, che proviene da un’Amministrazione ad ordinamento civile, con regole certe e prive di qualunque margine di discrezionalità – anche se a volte “interpretate” a uso e consumo del Vertice dell’epoca – tali lungaggini non fanno altro che alimentare la frustrante sensazione di aver subito, oltre all’ ingiustizia dell’assorbimento non voluto, la condizione di “diversità” all’interno di quella che viene definita “la stessa famiglia”. Ringraziando per la gentile attenzione, si porgono Cordiali Saluti. Il Presidente dell’associazione Unforced. Danilo Scipio Fonte : www.infodifesa.it G.L. 03/08/2017 SUICIDI nelle forze di poliziaUn problema già affrontato sul nostro sito (News), di cui riteniamo vada oltre le problematiche esposte nel documento che segue, da ricercare, a nostro avviso, anche all'interno delle singole amministrazioni, dalla gestione non sempre meritocratica ed attenta ai problemi dei singoli appartenenti.
Riportiamo il commento di Daniele Cantucci, Dirigente Sindacale di Polizia "CONSAP", tratto dal sito www.affariitaliani.it, di cui condividiamo l'analisi. Suicidi tra le forze dell'ordine, un'ecatombe silenziosa Preoccupante aumento dei casi di suicidi tra le forze dell'ordine. Il tasso è di 4 volte più alto rispetto alla media italiana. Su Affari il grido d'aiuto di Daniele Contucci (Dirigente Sindacale Consap Polizia) La cronaca evidenzia numerosi casi di suicidi tra gli appartenenti alle Forze dell'Ordine ed in particolare alla Polizia di Stato. Al di là dei casi specifici, sembra esserci poca attenzione su questo fenomeno in costante crescita. Il poliziotto è ovviamente più esposto, rispetto alla gente comune, in quanto possiede un'arma di servizio. Da qui la necessità di monitorare e verificare costantemente lo stato psicologico del singolo operatore di polizia, non solo al momento del suo ingresso, ma specialmente durante la sua carriera. Una carriera spesso accompagnata da problemi economici e familiari, che aumentano l'impatto emotivo. La sensazione è che lo Stato non protegga a sufficienza i suoi uomini addetti alla sicurezza e troppo spesso li abbandona al proprio destino. Per questo cresce il sentimento di frustrazione e cadono i punti di riferimento che portano ad una situazione di stress sottovalutata. Un monitoraggio da parte degli organi preposti è quasi inesistente, e nella maggior parte dei casi, si tende a sminuire il motivo del suicidio come problema personale e mai derivante da cause legate all'organizzazione che avrebbe conseguenze sulle responsabilità e sulla prevenzione non adottata. Suicidio che a volte rappresenta una fuga liberatoria da vessazioni, da coercizioni subite e ritenute ingiuste nel proprio ambiente lavorativo, stress continuo, aspettative disattese, ecc...Quindi una rete di aiuto con supporto psicologico di personale specializzato sul territorio eviterebbe forse altre tragedie. Inoltre organizzare dei colloqui ciclici individuali e se necessario supporti medici pratici e non teorici. Nella speranza che gli "addetti ai lavori" si attivino affinché mai più poliziotti siano costretti a versare altre lacrime per loro colleghi vittime delle proprie azioni disperate. Se confrontato con altre le nazioni il tasso dei suicidi in Italia è, fortunatamente, basso, per quanto sapere che circa 4000 persone all’anno si tolgono la vita nel nostro Paese è comunque triste. Recentemente i giornali hanno dato molto spazio a suicidi e tentati suicidi collegati alla crisi economica, con un tasso in aumento, addirittura raddoppiato, negli ultimi 3 anni. Ma c’è una tragedia nella tragedia, una ecatombe silenziosa, di cui i giornali o le televisioni parlano poco e con un certo imbarazzo: i sucidi tra gli appartenenti alle forze dell’Ordine e dell’Esercito. Premesso che il suicidio è considerato tra i gesti più complessi che possa compiere un essere umano, e le cause sono sempre di difficile lettura, è ormai pacificamente accettato che togliersi la vita non interessa mai solo la sfera personale del singolo, ma anche quella sociale e di rapporti personali. Questo vale anche per i sucidi tra i componenti delle forze dell’ordine/militari, che coinvolgono, certo a vari livelli, tutto il gruppo (Polizia, Carabinieri, Polizia Locale etc.), nei suoi rapporti umani e nelle dinamiche lavorative. Accettare il coinvolgimento, seppur in senso lato, delle Istituzioni nei suicidi dei propri dipendenti è difficile e impopolare, sia da un punto di vista delle responsabilità, che dalle misure di prevenzione che andrebbero adottate. Non possediamo dati precisi sull’entità del fenomeno. Esercito e Carabinieri hanno delle statistiche Ufficiali (dal 2003 al 2013 ci sono stati 241 sucidi complessivi nell’Esercito, di cui 149 Carabinieri), mentre per la Polizia di Stato, per la Finanza e Penitenziaria non abbiamo dati ufficiali (almeno io non ne ho trovate). Ma nell’ultimo quinquennio il trend sembra essere peggiorato, e le notizie di cronaca degli ultimi mesi lo dimostrano impietosamente. Ma tra i Carabinieri, per i quali come dicevo possediamo dati certi, il tasso di suicidi è di circa 4 volte più alto rispetto la media italiana!!!! E riteniamo che per le altre forze di Polizia i dati non si discostino molto da quelli dell’Arma. Un Poliziotto, un’appartenente alla Penitenziaria, un Carabiniere sono cittadini come tutti gli altri e le ragioni di un gesto così estremo sono simili a quelle delle altre persone. Almeno per un verso. Ma per un altro verso, alcune delle ragioni di una disperazione così profonda hanno delle concause proprio nel tipo di lavoro che svolgiamo e nelle strutture complesse e fortemente gerarchizzate di cui facciamo parte. La crisi economica ha colpito tutti, anche noi. Eppure, quando hai una famiglia, due figli, la casa in affitto ed un solo stipendio (1.300- 1.500 euro), che nell’immaginario collettivo è uno stipendio sicuro, cominci ad impegnare il tuo salario con i prestiti, la cessione del quinto, la rata per pagare l’apparecchio dentale, o il calcetto, per i bambini. Badiamo bene, noi ringraziamo Dio per questo stipendio e sappiamo quanto siamo fortunati rispetto alla tragica situazione occupazionale in Italia. Ma così questo salario diventa preda di un sistema che ti inghiotte nelle spire dei debiti e dell’impossibilità di dare una risposta ai bisogni dei tuoi figli, che come tutti gli altri (anche voi che ci state leggendo), sanno che tu hai un lavoro sicuro ed un buon stipendio! Se con questo stipendio sicuro devi affrontare anche un fuori programma tra quelli dolorosi che la vita riserva (un figlio disabile o una malattia “complessa”), allora sei a posto! G.L. 02/07/2017 TERRORISMO - pericolo reale - PREVENZIONELa situazione attuale in Italia impone un'attenta vigilanza contro una concreta attività terroristica. Non siamo nelle condizioni fattive di prevenire e reprimere, sul tutto il territorio nazionale, gli attentati degli affiliati alle organizzazioni islamiche. Il Capo della polizia , Franco Gabrielli, ha esplicitato che anche in Italia vi è un reale pericolo “terroristico” , facendo intendere che flange di terroristi potrebbero colpire anche il nostro paese. Viene pertanto rispolverata una circolare del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, che rappresenta la necessità per gli appartenenti alle forze dell'ordine di girare armati anche fuori dal servizio. Con Il solito “Uso e consumo” trattiamo gli agenti e gli ufficiali di Polizia Giudiziaria, manovalanza a basso costo. Se un agente dovesse fare richiesta di un porto d'armi per poter avere la possibilità di acquistare un'arma più piccola e congeniale da poter essere portata in borghese anche fuori servizio, la Prefettura risponderebbe negativamente. Orbene, mentre gli ufficiali ed i magistrati con il loro tesserino possono acquistare liberamente un'arma, gli operatori di polizia, ai quali si chiede di girare armati anche fuori servizio, ed ai quali viene destinata la maggiore responsabilità oggettiva degli interventi, non si da la possibilità di poter acquistare un'arma diversa dalla Beretta in dotazione. Un paradosso che andrebbe risolto con una legislatura consona, liberale e non di parte.
Finalmente, dopo anni di ignavia, si è preso coscienza del reale pericolo che incombe ( ISIS), ecco che allora nelle forze di polizia si decide di creare squadre con un'adeguata specializzazione per intervenire in situazioni specifiche, UOPI, SOS e API, squadre create solo in alcune grandi città , le quali vengono spostate in varie parti d'Italia a seconda dei presupposti pericoli. Una situazione che rimarca un'esigenza reale ancora non pienamente affrontata sotto l'aspetto logistico - operativo, con un apparato carente, utilizzato per fronteggiare un pericolo in un territorio vasto e non pienamente monitorato. Quanti, realmente, al di fuori dell'organizzazione tecnico - amministrativo, vengono impegnati in attività di indagine e prevenzione del pericolo? Quanto sono state rafforzate le squadre investigative e operative dei rispettivi corpi di Polizia? Ad avviso di chi scrive, credo molto poco, il più del personale viene impiegato negli uffici, per tenere in piedi un sistema che stenta a rinnovarsi per affrontare nel modo migliore le criticità sociali di un pericolo imminente. G.L. 23/01/2017 LEVA OBBLIGATORIA ANCHE IN ITALIA?" Su un argomento che ci sta a cuore, quello del servizio militare di leva insieme al sistema di difesa e soccorso nazionale contro gli attacchi interni ed esterni , riportiamo la notizia pubblicata online sull' Huffington Post .
La notizia è stata testata come vera e per tale motivo la riportiamo fedelmente, con una domanda: cosa si fa in Italia ? Ci si affida alla Nato, anche per la sicurezza interna ed il soccorso nazionale? " La Norvegia è diventata il primo Paese della NATO a introdurre la leva obbligatoria per le donne. Germania valuta ritorno alla leva obbligatoria. Nel piano sicurezza anche scorte di viveri nelle famiglie per 10 giorniL'Huffington Post Pubblicato: 23/08/2016 16:33 CEST Aggiornato: 23/08/2016 16:35 CEST Reintrodurre la leva obbligatoria e invitare i cittadini a fare scorte per almeno 10 giorni. Sul tavolo di Angela Merkel c'è un dossier sulla sicurezza nazionale con alcune misure che stanno facendo molto rumore in Germania. Berlino sta riesaminando la propria strategia di sicurezza alla luce dell'allerta terrorismo, con misure per il sostegno alle forze armate e per la difesa civile. Domani il Governo si riunirà per le sue valutazioni. Si sta valutando, secondo l'agenzia di stampa tedesca Dpa, se reintrodurre il servizio militare obbligatorio, abolito solo cinque anni fa. Il piano del ministero dell'Interno comprende infatti la sottosezione "Sostegno alle forze armate" che suggerisce il ritorno alla leva obbligatoria per preparare il paese a potenziali dispiegamenti nell'ambito della Nato. Ma i compiti dell'esercito potrebbero estendersi alla sicurezza interna. Il ministro della Difesa, Ursula von der Leyen, ha annunciato ai primi di agosto che i militari della Bundeswehr parteciperanno a sessioni di addestramento assieme alla polizia federale per poter essere dispiegati all'interno del paese in caso di operazioni antiterrorismo. Il piano comprende inoltre misure per imporre ai cittadini di mantenere a casa scorte di acqua, cibo e medicinali in modo da fronteggiare le emergenze. Con una terminologia volutamente neutra, scrive la Faz, si chiama "concetto di difesa civile" ma tradotto significa che ognuno deve fare scorte di acqua - almeno due litri a testa per 5 giorni - e viveri per almeno dieci giorni, nel caso in cui un evento di qualunque genere possa mettere in difficoltà il sistema di emergenza nazionale. Il documento del Ministero premette che "un attacco contro il territorio tedesco, che richieda una difesa convenzionale della nazione, è improbabile", ma una minaccia grave alla sicurezza della nazione non può essere esclusa in futuro e quindi sono necessari alcuni provvedimenti di difesa civile. Nel Civil Defense Concept si suggerisce al governo di riutilizzare i rifugi costruiti durante la guerra fredda. La Germania, fin dagli anni ’80, ammassa scorte di cibo come latte in polvere e fagioli in luoghi segreti, per rispondere ad una emergenza nazionale. I depositi sono regolarmente controllati e riforniti. Circa 2.000 bunker pubblici (garage, scuole, cantine) sono stati costruiti in Germania Ovest, mentre l’ex Germania dell’Est aveva una propria rete di rifugi. 26/08/2016 UOPI, API E SOS, SQUADRE ANTITERRORISMO - SOSTANZA O FACCIATA?Sappiamo che a seguito degli eventi più volte citati e conosciuti ai più, derivanti dalla progressiva minaccia del terrorismo islamico, sono state create ad hoc, in seno alle forze di Polizia, delle squadre specializzate per intervenire in teatri oggetto di attacchi terroristici . Orbene, leggendo alcune note sindacali ed ascoltando alcuni appartenenti alle forze dell'ordine, si è capito che vi sono ancora alcune lacune nel completamento tecnico delle predette squadre. Alcune lamentele riguardano l'effettivo equipaggiamento in dotazione, non proprio di ultima generazione, altre lamentele riguardano invece la mancanza di un continuo addestramento delle tecniche acquisite. Nella sostanza parrebbe che gli uomini di queste squadre una volta finito il corso di addestramento abbiano fatto di tutto tranne quello per cui erano stati preparati, ma soprattutto , non hanno mantenuto alto il livello di preparazione raggiunto durante il corso, proprio perché l'addestramento degli uomini di tali unità è stato discontinuo e non tenuto in considerazione dai Comandi che hanno in carico questi uomini. Ci si chiede se i competenti Ministeri e gli stessi comandi stiano monitorando il livello di preparazione di questi operatori e se tale assetto organizzativo sia stato attentamente considerato da chi ha la responsabilità di un controllo su di essi. Una verifica improvvisa potrebbe dimostrare che questi uomini siano costantemente attivi ma soprattutto continuamente addestrati? Vi sono ordini di servizio o registrazioni di attività di addestramento finalizzate al mantenimento delle tecniche di pronto impiego? Allo stato non pare che le risultanze siano confortanti. Un calciatore che non si allena non può di punto in bianco andare a giocare una partita ad alto livello. Si spera quindi che chi di dovere possa predisporre, tramite circolari o disposizioni mirate , che nei comandi di appartenenza si effettuino settimanalmente, oltre al servizio, il relativo addestramento, affinché questi ragazzi, qualora esposti alle attività per le quali sono stati demandati, abbiano coscienza della loro preparazione ed affrontino il rischio con minore incertezza e maggiore sicurezza.
G.L. 30/07/2016 URANIO IMPOVERITO - MILITARE VINCE IL RICORSO CONTRO IL MINISTERO DELLA DIFESA - I TRIBUNALI AMM.VI BASTONANO LE COMMISSIONI DI VERIFICA PER IL RICONOSCIMENTO DELLE CAUSE DI SERVIZIOUn militare si oppone al diniego del riconoscimento della propria malattia per cause derivanti il proprio servizio. Il T.A.R di Firenze accoglie il ricorso dell'appellante e nel corpo della sentenza bastona Il Comitato di verifica delle cause di servizio per il ripetuto utilizzo, nelle motivazioni di diniego del riconoscimento, di frasi usate ripetutamente «a stampone» in numerosissimi casi analoghi, evitando cosi una congrua e pregnante motivazione del non accoglimento. Siffatta sentenza è all'origine di un'interrogazione parlamentare, con richiesta di risposta scritta, circa il comportamento delle predette commissioni. Si riporta di seguito l'interrogazione, dalla quale si potrà leggere la motivazione della sentenza. Alleghiamo altresì altra sentenza del Tribunale Amministrativo Ligure che condanna il Ministero della Difesa per i ritardi derivanti dal pagamento dell'equo indennizzo.
ATTO CAMERA INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/12667 Dati di presentazione dell'atto Legislatura: 17 Seduta di annuncio: 597 del 29/03/2016 Firmatari Primo firmatario: DI MAIO LUIGI Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLEData firma: 29/03/2016 Destinatari Ministero destinatario: MINISTERO DELLA DIFESA MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA DIFESA delegato in data 29/03/2016 Stato iter: IN CORSO Atto CameraInterrogazione a risposta scritta 4-12667 presentato da DI MAIO Luigi testo di Martedì 29 marzo 2016, seduta n. 597 LUIGI DI MAIO, RIZZO e GRILLO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che: il 15 marzo è stata depositata una sentenza della I sezione del TAR Toscana (n. 462/2016) emessa sulla base di un ricorso proposto da un ex militare, G.M., contro il Ministero della difesa, il Ministero dell'economia e il Comitato di verifica delle cause di servizio. Tale ricorso sarebbe stato finalizzato all'annullamento del decreto del Ministero della difesa nonché del relativo parere della Commissione di verifica delle cause di servizio (d'ora in poi CVCS) nelle parti in cui si è ritenuto che l'infermità riscontrata al ricorrente non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio; in tale sentenza, vengono fatte dal citato giudice amministrativo alcune affermazioni molto gravi circa il comportamento delle CVCS. Si tratta di passaggi nei quali viene demolita l'attività di tali Commissioni, passaggi che – per quanto ampi – meritano di essere di seguito riportati; il giudice, infatti, afferma che «alla luce dell'ampia (anzi, come detto, eccessiva) esposizione delle acquisizioni scientifiche in materia di rischi da esposizione a proiettili ad uranio impoverito e a fronte della indiscutibile presenza prolungata del ricorrente in teatri di guerra ove è stato fatto uso di tali munizionamenti, con i conseguenti effetti di rilascio nell'ambiente di particelle da esplosione contro obiettivi a loro volta inquinanti (industrie chimiche), il tutto accompagnato da una condizione di indebolimento generale delle difese immunitarie indotto da una serie continua di vaccinazioni, appare davvero ermetica, come tale illogica e priva di ogni supporto descrittivo-motivazionale la sopra riportata affermazione del CVCS. Come si è già ricordato, quest'ultimo, infatti, si è limitato ad affermare che «non risultano sussistere nel tipo di prestazioni di lavoro rese, benché impegnative, disagi e strapazzi di tale intensità, né elementi di eccezionale gravità, che abbiano potuto prevalere sui fattori individuali». Si tratta di affermazione stereotipa, in quanto – secondo l'ampia casistica in materia, più volte sottoposta al vaglio di questo Tribunale – ripetutamente usata, con un'abusata tecnica redazionale «a stampone» dal medesimo Comitato in numerosissimi casi analoghi, come tale doppiamente inspiegabile e tanto più sorprendente. Si tratta, infatti, di valutazione proveniente da organo tecnico-amministrativo di cui fanno parte giudici provenienti dalle diverse magistrature, avvocati dello Stato, dirigenti statali, ufficiali medici superiori e qualifiche equiparate della polizia di Stato, funzionari medici di amministrazioni dello Stato: cioè quello che dovrebbe essere il fior fiore delle capacità e competenze in materia di procedimenti amministrativi e scienze medico-legali. Come tale, esso Comitato dovrebbe assicurare al cittadino il massimo grado di rispetto dei fondamentali canoni di buona azione amministrativa di carattere discrezionale, in termini di motivazione, adeguatezza istruttoria, logicità, imparzialità e trasparenza. (...) Come ampiamente rilevato in giurisprudenza, vari e qualificati studi, oltre alla documentazione citata nel ricorso, hanno evidenziato gli effetti gradimenti nocivi derivanti dall'esposizione all'uranio impoverito (relazioni delle commissioni parlamentari d'inchiesta del 12 gennaio 2008 e del 9 gennaio 2013: TAR Toscana, sez. I. 09/06/2015 n. 880; si veda anche TAR Lazio, Roma, I bis, 21 luglio 2014, n. 7777). (...) In tale contesto, il riconoscimento dell'indennità in questione non richiede la dimostrazione certa del nesso causale, operando un criterio di probabilità, alla cui stregua il verificarsi dell'evento canceroso costituisce elemento sufficiente a determinare il diritto, per la vittima della patologia, all'indennità, qualora l'Amministrazione non sia in grado di escludere, con specifica, puntuale e convincente motivazione, il nesso di causalità (TAR Sicilia, Palermo, I, 4 marzo 2014, n. 649). Rispetto a tale quadro scientifico-giurisprudenziale, la motivazione del CVCS si manifesta – come già evidenziato – apodittica, autoreferenziale, illogica ed errata; quanto al secondo aspetto di irragionevolezza, lo stesso Comitato non si è premurato di capire e far capire quali sarebbero i «fattori individuali» tali da recidere qualsiasi nesso quantomeno di concasualità con le sopra ricordate condizioni di lavoro, quali, ad esempio: familiarità tumorale, esiti di patologie tumorali anteriori all'impiego in zone di guerra, eccetera. Né lo stesso Comitato, a fronte delle significative circostanze favorevoli alle pretese del ricorrente, si è sforzato in alcun modo di dimostrare che i teatri ove ha operato il ricorrente fossero immuni da quei pericoli di inquinamento radioattivo o comunque ambientale che il ricorrente, dal canto suo, si è diligentemente preoccupato di dimostrare, anche con riferimento alle date di insorgenza della patologia tumorale. (...) In particolare, si è ribadito più volte che la pregressa partecipazione a missioni all'estero, se da un lato non giustifica il riconoscimento indifferenziato e in via automatica della dipendenza da causa di servizio delle patologie dalle quali il personale militare sia risultato affetto, essa, tuttavia e per converso, costituisce circostanza di fatto che – tenuto anche conto del numero consistente di missioni (come nel caso di specie) – richiede un puntuale approfondimento istruttori e motivazionale del CVCS caso per caso (e non con formule «copia e incolla»), diretto a far emergere con convincente chiarezza le ragioni che abbiano indotto l'amministrazione ad escludere l'esistenza di un fattore specifico di rischio in rapporto di causalità con la malattia (TAR Toscana, 9-6-2015, n. 880); peraltro, dalla stessa giurisprudenza emerge l'andamento ondivago ed imperscrutabile del CVCS, il quale per altre, del tutto analoghe fattispecie, ha riconosciuto la dipendenza da causa di servizio delle patologie tumorali contratte in zone di guerra: TAR Toscana, 13/07/2015, n. 1068. Ugualmente ondivago ed imperscrutabile appare il giudizio dello stesso CVCS, laddove per lo stesso militare e per le stesse circostanze da un lato riconosce il nesso eziologico per una patologia tumorale e dall'altro esclude per un'altra analoga infermità (TAR Toscana, 13/07/2015, n. 1068). In definitiva, nessuna specifica ragione di esclusione è dato rinvenire nella tautologica motivazione dell'atto impugnato che attraverso generico riferimento all'insussistenza di “disagi e strapazzi di tale intensità, né elementi di eccezionale gravità, che abbiano potuto prevalere sui fattori individuali”, da un lato, trascura di attribuire la dovuta considerazione alle peculiari caratteristiche (geografiche e funzionali) del servizio prestato dal ricorrente, dall'altro mette di indicare quali siano i fattori individuali predisponenti o determinanti sul piano causale»; infine, il TAR Toscana conclude che «in relazione al reiterato comportamento del CVCS, denotante grave negligenza nell'esame del caso, il Collegio trasmette copia della presente sentenza il Sig. Ministro dell'economia delle finanze e al Sig. Capo di gabinetto dello stesso Ministro, nonché – in relazione al ricorrente contenzioso che il predetto comportamento del Comitato di verifica ingenera con i conseguenti esborsi a carico dell'erario per oneri processuali, maggiori somme per interessi e quant'altro – alla Procura regionale Toscana della Corte dei Conti»; la citata sentenza certificata ad avviso degli interroganti il fallimento dell'attività dei CVCS, fallimento che ha risvolti gravissimi da un punto di vista della giustizia sociale e dell'immagine dello Stato: non bisogna dimenticare che si tratta di servitori dello Stato che contraggono patologie gravissime che nella maggior parte dei casi uccidono giovani vite dopo atroci sofferenze, lasciando vedove e orfani giovanissimi; in un contesto del genere è vergognoso e inammissibile che la risposta dello Stato – già ontologicamente colpevole per non aver saputo salvaguardare la salute dei suoi servitori – consista in essere quello che agli interroganti appare un insabbiamento sistematico; dalla lettura dei citati passi della recente sentenza del TAR Toscana, infatti, si deduce come sia frequente la prassi del CVCS di insabbiare le richieste di riconoscimento di causa di servizio, negandole con decisioni «copia e incolla», motivate pretestuosamente che poi danno luogo a un contenzioso perdente per amministrazioni con conseguente insoddisfazione delle vittime (se non dopo contenziosi che durano anni e che spesso vedono la fine molto tempo dopo la morte del malato), costi ancora più alti per l'erario, incalcolabile danno d'immagine per lo Stato; occorre precisare che quanto rilevato dal TAR Toscana fosse già noto agli interroganti da molteplici segnalazioni ricevute anche in ragione dell'attività della Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell'utilizzo dell'uranio impoverito; è evidente come il Parlamento e il Governo non possano più tollerare una situazione del genere –: se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto espresso in premessa; se il Governo non ritenga di dover attivare nel più breve tempo possibile affinché le Commissioni di verifica delle cause di servizio vengano superate e i loro compiti vengano affidati ad un organismo veramente capace di assumere delle decisioni che siano aderenti alla realtà dei fatti; se, nel frattempo, i Ministri interrogati non ritengano di richiamare, per quanto di rispettiva competenza, i membri delle Commissioni di verifica delle cause di servizio ad uno svolgimento dignitoso delle loro, in linea con lo spirito di cui al secondo comma dell'articolo 51 della Costituzione, laddove si prevede «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore», requisiti che, secondo quanto si legge nella sentenza citata in premessa e secondo quanto segnalato agli interroganti da una pluralità di ex militari, non sarebbero ravvisabili nei componenti delle Commissioni di verifica delle cause di servizio; se i Ministri interrogati non ritengano, per quanto di competenza, di segnalare alla Corte dei Conti i comportamenti posti in essere dai membri delle Commissioni di verifica delle cause di servizio e se non ritengano altresì di assumere, in tutte le sedi le iniziative necessarie per tutelare l'immagine delle istituzioni lesa dalle decisioni assunte da codeste commissioni. (4-12667) TAR Liguria 237/2016 7/06/2016 G.L. I CONIUGI FRANCESI JEAN-CLAUDE E MICHELINE MAGUE' HANNO CONSEGNATO LA LEGIONE D'ONORE E LA "CROIX DE GUERRE" AI PARENTI DEL TENENTE ALEXANDER PROKHORENKO.La logica del capitalismo finanziario portata avanti dai paesi della nato, i cui militari hanno ormai abbandonato gli antichi ideali della cavalleria (si è più sentito parlare o vedere, anche solo in televisione o al cinema, di ideali della cavalleria? Eppure sino a trent'anni fa eravamo sommersi da film e sceneggiati che si ispiravano a quegli ideali...vorrà dire qualcosa?) per dedicarsi a quelli dell'industria bellica, alla ricerca dei sistemi d'arma più costosi a difesa del sistema economico dominante, al quale sono funzionali anche quei predoni dell'isis (predoni che poi nella storia ci sono sempre stati). L'Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia ha deciso di dedicare il prossimo corso di abilitazione al lancio alla memoria di Aleksander Prokhorenko, il paracadutista russo morto il 24 marzo a Palmira, in Siria. Il tenente Prohorenko è rimasto ucciso il 24 marzo durante un raid aereo mirato contro i terroristi del Daesh vicino Palmira. Una volta resosi conto di essere circondato dagli islamisti e di non aver possibilità di fuga, ha indirizzato il fuoco dell'Aviazione contro sè stesso e i terroristi. Il presidente russo Vladimir Putin ha assegnato a Prokhorenko l'onorificenza postuma di Eroe della Russia. L'incontro della coppia francese con i parenti del militare russo caduto si è svolto al ministero della Difesa della Russia. Il segretario di Stato e vice ministro della Difesa Nikolay Pankov ha ringraziato la coppia francese a nome del ministro della Difesa russo Sergey Shoigu "per il gesto nobile, toccante e d'amicizia." Ancora non sono ritornati in sè. Chi avrebbe mai pensato che un giorno da loro sarebbe arrivato l'ambasciatore della Russia in Francia e li avrebbe consegnato un messaggio personale del presidente Vladimir Putin? "Siamo stati colti di sorpresa, siamo molto colpiti. Non ci saremmo mai aspettati che il nostro gesto di cuore avrebbe avuto delle conseguenze." Dopo aver donato le loro onorificenze di famiglia alla vedova del soldato russo rimasto ucciso in Siria, sono stati sommersi da appelli di riconoscenza e ringraziamenti. Il presidente russo Vladimir Putin li ha invitati a Mosca per partecipare come ospiti d'onore alla parata militare del 9 maggio. Quando i media russi hanno segnalato la morte eroica del giovane ufficiale russo in Siria il fatto non era stato segnalato in Francia. Questa notizia si era diffusa tramite i social network e proprio attraverso Facebook i coniugi Maguè hanno appreso la morte eroica del soldato. La notizia li ha colpiti al cuore per un ricordo molto personale. "Abbiamo ricordato nostro figlio, che è rimasto ucciso a Sarajevo, in Bosnia, anche se non sul campo di battaglia. Non è più con noi da 15 anni. Siamo venuti a conoscenza della sua morte in un modo abbastanza usuale: abbiamo ricevuto una telefonata." I coniugi Maguè hanno pensato subito alla famiglia di Alexander, ai suoi genitori e alla sua moglie in attesa di un bambino. La coppia si è chiesta: "perché non ne parla nessuno?". Alla fine hanno deciso di inviare ai cari di Alexander la cosa più preziosa che avevano in famiglia: la "Croix de Guerre" del 1939-1945 e l'Ordine della Legione d'Onore. "Quest'uomo è morto da eroe, siamo molto orgogliosi di questo. Vogliamo offrirvi le nostre onorificenze di famiglia. Naturalmente questo non ha un significato molto ufficiale, si tratta di un gesto personale. Vogliamo davvero dare queste medaglie alla famiglia dell'eroe," — ha detto Jean-Claude Maguè. Ha parlato della storia di queste onorificenze. L'ordine della Legione d'Onore di grado "Cavaliere" è stato assegnato postumo allo zio di Micheline Maguè, che ha partecipato alla Resistenza e fu internato al campo di concentramento di Buchenwald all'età di 17 anni. "E' stato il mio padrino, lo amavo molto." La "Croix de Guerre" con ramo di palma era stata assegnata al padre di Micheline, un pilota di un bombardiere, che aveva risposto all'appello leggendario del generale de Gaulle durante la Seconda Guerra Mondiale. Il figlio dei Maguè aveva seguito le orme della sua famiglia, diventando capitano delle unità di sminatori. "Ho sempre tenuto in grembo mio figlio al suono delle marce militari", ammette Micheline. Dopo che i coniugi hanno consegnato le loro medaglie, sono stati letteralmente sommersi da lettere di ringraziamento e stima da Francia, Belgio e Russia. Alcuni hanno seguito l'esempio della coppia francese inviando ai cari di Prokhorenko denaro e persino medaglie. Amanti di Tolstoj, Eisenstein e Borodin, i coniugi Maguè presto scopriranno la Russia in un viaggio inaspettato. "Ci siamo solamente messi nei panni della famiglia, che ha perso il figlio di 25 anni, avevamo provato lo stesso dolore quando abbiamo perso nostro figlio. Non volevamo nessuna altra cosa, non c'è alcun significato politico". La parata militare del 9 maggio a cui sono invitati i coniugi, si terrà nel Giorno della Vittoria, una festa poco evidenziata nei libri di testo scolastici al di fuori della Russia. Il giorno della conquista di Berlino da parte delle truppe sovietiche, conclusasi con la resa della Germania nazista, si celebra in Russia in grande stile ogni anno: nella Piazza Rossa marciano le unità di fanteria, i veicoli militari, in cielo volano gli aerei dell'Aviazione. L'invito a Mosca della coppia di Florensac, che ha vissuto 20 anni in un piccolo comune del dipartimento dell'Hérault nel sud della Francia, è un segno che tutto le storie sono legate tra di loro. I coniugi Maguè sono convinti: "E' essenziale che una volta per tutte finiscano le guerre." Fonte:http://it.sputniknews.com/mondo/20160505/2615958/russia-francia-coniugi-mague.html 9/05/2016 A.S. ONORI AL SOLDATO ALEKSANDR PROKHORENKOONORI al Soldato Aleksandr Prokhorenko !
Le ultime parole di Aleksandr Prokhorenko, lo Spetsnaz eroe di Palmira, riportate dai resoconti che stanno emozionando tutto il mondo: Prokhorenko: non posso lasciare la mia posizione. Mi hanno circondato e si avvicinano. Vi prego sbrigatevi. Comandante: vai sulla linea verde, ripeto vai sulla linea verde. Prokhorenko: sono qui, eseguite l’attacco aereo ora. Sbrigatevi, è la fine, dite alla mia famiglia che li amo e muoio combattendo per la Patria. Comandante: negativo, torna sulla linea verde, è un ordine. Prokhorenko: non posso. Comandante, sono circondato. Sono qui fuori. Non voglio che mi prendano. Conduca l’attacco aereo. Faranno strame di me e di questa uniforme. Voglio morire con dignità e che tutti questi bastardi muoiano con me. Vi prego è la mia ultima volontà, ordini l’attacco aereo. Comunque, mi uccideranno. Comandante: confermate la vostra richiesta. Prokhorenko: Mi hanno ormai raggiunto, non ho più munizioni, sono qui fuori, è la fine, comandante, la ringrazio. Dite alla mia famiglia e al mio Paese che gli voglio bene. Ditegli che sono stato coraggioso e che ho lottato fino alla fine. La prego si prenda cura della mia famiglia; vendicatemi, addio comandante, dite alla mia famiglia che le voglio bene. Comandante: nessuna risposta, ordinato l’attacco aereo” . Le forze speciali russe non sono autorizzate a farsi catturare vive dal nemico. Il presidente Vladimir Putin presenzierà personalmente sia ai funerali di Stato, consegnando all’eroe la più alta onorificenza del Paese che alla solenne cerimonia privata riservata esclusivamente agli specnaz in un luogo segreto. La moglie Ekaterina, incinta del loro primo figlio, ha rivelato di non sapere che suo marito combattesse in Siria e che fosse uno specnaz. Il 25enne militare si congedò dalla moglie due mesi fa, dicendo che sarebbe andato in addestramento nel Caucaso russo. Prokhorenko era in realtà un giovane ufficiale del Vympel, unità delle forze speciali agli ordini diretti dei servizi segreti russi , specializzata nello spionaggio e nella raccolta di informazioni in territorio nemico. La missione del giovane ufficiale era quella di identificare le postazioni nemiche del califfato in vista dell’offensiva dell’esercito siriano nella città patrimonio dell’umanità, Palmira, liberata nei giorni scorsi dalle forze governative siriane anche grazie all’eroismo del militare Prokhorenko che ha saputo indirizzare (con ogni probabilità con gli speciali laser) i bombardamenti dell’aviazione sui tagliagole daesh. ONORI al Soldato Aleksandr Prokhorenko ! 31/03/2016 A.S. LA LEVA MILITAREEBBENE SÌ : LA LEVA NON E’ STATA AFFATTO ABROGATA ! ANZI, FORSE E’ IL CASO CHE SIA RISPOLVERATA... Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Corte Cass., sez.I penale, sentenza 8 gennaio 2016, n. 517/2016 ), nel decidere un ricorso presentato da un giovane renitente alla leva , già condannato nel merito per renitenza alla leva, che chiedeva la revocazione della sentenza di condanna per essere stato abrogato il servizio militare di leva, ha avuto modo di precisare una cosa che per noi dell’ambiente stellato era scontata, ma non così per l’opinione pubblica, ben traviata da un sistema dei mass-media quanto mai superficiale; e cioè , che la legge 231/2000 ha solo “sospeso” e giammai “abrogato” il servizio militare di leva, anche perché la sua abrogazione sarebbe palesemente in contrasto con l’art.52, comma 2, della costituzione della Repubblica Italiana . Vale la pena , anche per noi che abbiamo solennemente giurato sulla bandiera tricolore di difenderne i Valori, riportare il testo dell’art.52 Cost.: « 1. La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. 2.Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino , né l’esercizio dei diritti politici. 3.L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica .». La sentenza di cui abbiamo riportato , per così dire, il principio essenziale (in base al quale è stato rigettato il ricorso della persona , a suo tempo, renitente alla leva, anche se ne è stata ridimensionata la pena in modo significativo alla luce della "sospensione" della leva stessa) ci consente di riproporre una problematica troppo frettolosamente accantonata nel dibattito politico (e non solo) , ma che i tragici fatti di terrorismo stanno riportando di stringente attualità : “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”. Tante sono le riflessioni che possono farsi sull’art.52 Cost. e sulla effettiva condizione in cui versano le Forze Armate ed i Corpi Militari dello Stato nell’attuale difficile contingenza dell’ordine pubblico internazionale e in genere della difesa della Patria nella rinnovata ottica geopolitica , e sui riflessi sempre più pressanti di tale condizione sull’ordine pubblico interno , e sulla politica complessiva dell’antiterrorismo alla luce dei tagli lineari di personale e mezzi per farvi fronte dovuti alle rigide politiche economiche europee di ispirazione germanica (al di fuori dell’UE , se nella presente scombussolata situazione internazionale parli di tagli alle forze armate e di polizia ti portano alla Neuro. In Europa, invece, la situazione è sotto gli occhi di tutti: vedi attentati in Francia, Belgio, Germania. ecc. ). Da più parti, sempre meno sommessamente, si levano voci che reclamano la riattivazione del servizio militare di leva universale, per gli evidenti vantaggi che vi sarebbero alla luce dell’esperienza , in termini di quantità e qualità del personale coscritto (chi di noi ha esperienza diretta, ricorderà la presenza tra i militari di leva di laureati e diplomati nelle più varie discipline, quanto mai utili per le Forze Armate e per le Forze dell’Ordine) ; vantaggi che il servizio volontario , va onestamente riconosciuto, non è in grado, nella situazione attuale, di conseguire ( più di così...spremuto fino all'osso). Per non dire, da punto di vista soltanto medico, il vero e proprio screening di massa che con il servizio di leva veniva svolto (e che sarebbe riavviato) sui giovani italiani, molti dei quali scoprivano di avere malattie o disfunzioni di cui ignoravano l’esistenza... Per il momento, ci interessa riportare all’attenzione del nostro Ambiente un argomento molto sentito, di cui alcuni tra i più sensibili vertici militari stanno discutendo al loro interno . Vista l’ampiezza e l’importanza della cosa , torneremo quanto prima a parlarne, dando voce ad un sempre più diffuso ,e quanto mai attuale, interesse nazionale. A.S. 19/01/2016 concorsi - malessere fra i militari congedatiSono plausibili le considerazioni esposte nel seguente articolo, riteniamo opportuno postarle anche nel nostro sito.
È impossibile non notare il malessere che in questi minuti sta dilagando fra le svariate pagine e gruppi dedicati alle forze Armate e dell’ Ordine , sopratutto in quei gruppi e pagine indirizzati all informativa dei concorsi in uscita… Infatti oggi veniva pubblicato anche nella pagina ufficiale dei Carabinieri, L’apertura ai prossimi concorsi anche ai civili… Voi direte cosa c’è di male ? Cosa turba? Semplice … Il governo ha prediletto i civili privi d esperienza e sacrificio regalandogli un 50% dei posti a concorso , poi ha prediletto i militari in servizio lasciando a loro il 35% del rimanente 50… E punendo i militari in congedo quindi disoccupati , lasciando a loro un 15% di un già tagliato 50% .. Una miseria . Uno schiaffo in faccia a tutti quei ragazzi che pur di seguire i loro sogni , sono stati vincolati a svolgere una ferma prefissata nella forza armata, e ora vengono ripagati così , dimenticati , svalutati , ragazzi di qualsiasi età da 18 ai 30 anni colpevoli di solo di aver svolto un anno di ferma solo per poter sbloccare le altre fasi concorsuali… Queste percentuali dovrebbero essere al contrario… Ma purtroppo , qualche personaggio importante , alcuni dei tanti , forti come RACCOMANDATORI in individuali forze di polizia , non riuscivano a far entrare i loro pargoli in tali , perché non sempre si riusciva a passare la prova selettiva della forza armata… Quindi quale buona idea di non liberalizzarle? Un ottimo guadagno per tutti, una bella immagine per lo stato in cerca di voti, un bel guadagno per chi ci campa con aiutino sotto banco… È un bel calcio in culo, L ennesimo per tutti i ragazzi che hanno servito con ONORE per un sogno e ora sono nuovamente disoccupati e giustamente INDIGNATI… E cosa possono pensare di questo paese? Che anche per servire e onorare la bandiere si deve essere raccomandati … Una volta si diceva che nessun soldato rimane indietro… Ora non solo ci hanno lasciato indietro … Ma ci hanno dato anche il colpo di grazia … CONDOGLIANZE A TUTTI I MILITARI CONGEDATI E NON .. È MORTA DEFINITIVAMENTE LA MERITOCRAZIA E LA GIUSTIZIA IN ITALIA… Movimento Militari in Congedo 30/12/2015 TRASFERIMENTI ED ESIGENZE DI SERVIZIO - CARABINIERI - RIGETTATA L'ISTANZA PER ESUBERO DI PERSONALE - IL TRIBUNALE RITIENE LA MOTIVAZIONE GENERICA E INSUFFICIENTE.L’espressione motivazionale “esigenze di servizio”, ha perso nel tempo il suo pregnante significato, in quanto ex se potrebbe rivelare una generica ed incompleta illustrazione delle ragioni , potrebbe incorrere nell’omissione delle reali motivazioni che ne stimolano l'affermazione ; pertanto, in ipotesi, si potrebbe essere indotti a pensare che dietro la generica enunciazione de qua, insistano motivi di assoluta riservatezza (per lo più inesistenti) da far omettere una più esplicita e congrua giustificazione della procedura attivata. Da qui un possibile vizio di insufficiente e/o generica motivazione dell’atto.
Si potrebbe quindi pensare che l’effettiva esigenza procedurale possa trovare un più plausibile fondamento nella locuzione:”esigenze di organico”, cioè nella necessità di aumentare, diminuire e/o comunque ripristinare un inquadramento non corrispondente a quello previsto. Orbene, nella fattispecie, per quel che riguarda l'articolo che andremmo a postare , tratto da un interessante sito www.infodifesa.it, si esplicitano le medesime considerazioni al riguardo della domanda proposta da un appartenente all'Arma dei carabinieri. E' chiaro che un'Istituzione cosi ampia e vasta nel territorio non può esimersi dall'affrontare il problema di un suo dipendente, motivando una negazione alla sua richiesta di trasferimento con la semplice motivazione del sovra numero del personale , omettendo di dare l'opportuno risalto alle motivazioni che ne hanno determinato la richiesta. Il Tribunale amministrativo di Catanzaro ha infatti ritenuto che tali motivazioni siano di fatto generiche e insufficienti. In maniera esaustiva si potrà meglio capire nell'articolo di seguito postato quale sia il contesto cui ci si riferisce e quali siano gli interessi da tutelare, anche in un ambiente militare. G.L. 29.11.2015 La sentenza n.1104/2015 del Tar Catanzaro sezione Prima affronta questo tema, traendo spunto dal ricorso di un Appuntato dell’Arma dei Carabinieri il quale, prestando servizio in Calabria, propone istanza di trasferimento temporaneo per gravi motivi familiari, connessi alla stato di salute della coniuge, affetta da sindrome depressiva post partum ed alla necessità di assistere i due figli. Istanza che il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri accoglie in via temporanea ma rigetta allorquando il militare propone istanza di trasferimento definitiva. Il Militare ricorre quindi contro il Ministero della Difesa per l'annullamento della determinazione con la quale si rigetta la domanda di trasferimento. Veniamo ai punti salienti della sentenza. “Appaiono fondati, invece, i rilievi con i quali parte ricorrente deduce che il provvedimento di diniego è stato adottato nonostante i pareri favorevoli al trasferimento espressi dal Comandante provinciale di -OMISSIS- e dal Comandante della Legione -OMISSIS- Calabria, oltre che dal Comandante della Compagnia di -OMISSIS-, rilevanti anche sotto il profilo dell’impatto del trasferimento sull’assetto degli organici e sulla funzionalità del reparto di appartenenza del militare. Con ciò il ricorrente coglie, pur senza menzionarlo espressamente se non nella rubrica del motivo, un evidente difetto di motivazione, giacché la presenza di tali pareri avrebbe imposto una più approfondita esternazione delle ragioni poste a base del diniego, sia in ordine alla sussistenza di fondati e comprovati motivi, sia in relazione all’affermato esubero di personale nella Legione Puglia. Rispetto al primo profilo, deve tenersi conto del fatto che nel provvedimento lo stesso Comando Generale riconosce che il quadro delle situazioni rilevate appare degno di considerazione, ma poi si limita ad affermare che tale quadro non integra quei fondati e comprovati motivi che possano consentire l’adozione di un provvedimento eccezione. Con riferimento all’esubero di personale del ruolo -OMISSIS- e -OMISSIS-, la relativa affermazione appare del tutto priva di qualsiasi indicazione in grado di conferire ad essa un minimo di specificità e concretezza. D’altra parte, va evidenziato che l’Amministrazione, nel costituirsi in giudizio, si è limitata a produrre una memoria di stile e non ha fornito alcun apporto di carattere documentale, né alcuna difesa idonei a suffragare gli argomenti posti a base del diniego. Non è certamente compito del giudice indagare d’ufficio in ordine alle esigenze di corretta distribuzione del personale tra i reparti dislocati nelle diverse regioni. Quel che risulta agli atti è solo una generica e, perciò, insufficiente affermazione riguardo all’esubero di personale in Puglia. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) accoglie in parte il ricorso e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato. Rigetta la domanda di risarcimento dei danni. Condanna il Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica, al pagamento in favore del ricorrente di spese e competenze di giudizio, da compensare nella misura di un terzo, che liquida, nell’intero, in € 4.150,00, oltre accessori come per legge e rifusione del contributo unificato se pagato, con distrazione in favore del procuratore.” Si tratta di una sentenza importante perché sancisce la rilevanza delle problematiche di salute e familiari rispetto agli esuberi di personale in una determinata regione. E’ quanto afferma il delegato Co.Ce.R. carabinieri Giuseppe La Fortuna. Purtroppo, nonostante la sentenza, il Comando Legione Puglia non ha accolto con la stessa sensibilità le problematiche del ricorrente, confinandolo in un Comando distante oltre 80 km dalla propria famiglia. Insomma un cambio di regione, ma non di distanza. Un anno di iter processuale, per ottenere un trasferimento ma invariata la lontananza dalla propria famiglia - sottolinea il segretario del Co.Ce.R. carabinieri Gianni Pitzianti - E’ davvero assurdo. Il trasferimento è eccezionale ed ha ragioni assistenziali, ma in che modo il collega potrà prestare la necessaria vicinanza alla consorte se destinato ad oltre 80 km di distanza? http://www.infodifesa.it/2015/11/carabinieri-trasferimento-in-puglia.html SANZIONE DISCIPLINARE DELLA SOSPENSIONE DAL SERVIZIO - ILLEGITTIMITÀ' - MANCATA AFFISSIONE DEL CODICE DISCIPLINARE.a S.C. di Cassazione afferma che, relativamente alle sanzioni disciplinari conservative - e non per le sole sanzioni espulsive - ha ritenuto che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta (vedi ex plurimis, Cass. 27 gennaio 2011 n. 1926).
Da quanto esposto emerge, tuttavia, che quando la condotta contestata al lavoratore appaia violatrice non di generali obblighi di legge ma di puntuali regole comportamentali negozialmente previste e funzionali al miglior svolgimento del rapporto di lavoro, l'affissione si presenta necessaria. Va considerato che, in tema di procedimento disciplinare nei confronti di dipendenti pubblici, la disposizione di cui all'art. 25, n.10, del c.c.n.l. del 6 luglio 1995 per il personale degli enti locali - prevede che al codice disciplinare deve essere data la massima pubblicità mediante affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti. La particolare disciplina contenuta nel CCNL di settore - di natura pubblicistica e quindi oggetto di accertamento ed interpretazione diretta da parte della Corte di Cassazione - prevede che al codice disciplinare deve essere data una particolare forma di pubblicità, che è tassativa e non può essere sostituita con altre (vedi, in tali sensi, Cass. 23 marzo 2010 n. 6976). Non può, infatti, ritenersi valido il principio, pur enunciato dalla S.C., alla cui stregua la previsione nella disposizione di legge, pubblicata nella Gazzetta ufficiale, è sufficiente alla conoscenza da parte della generalità e rende inutile la suddetta affissione (vedi Cass. 8 gennaio 2007 n. 56). Ciò in quanto è il contenuto stesso della disposizione collettiva che disciplina la fattispecie scrutinata - relativa all'obbligo di idonea pubblicità del codice disciplinare - che palesa come inderogabile siffatto obbligo, e rende inapplicabile sia quella giurisprudenza la quale ha ritenuto non necessaria l'affissione del codice disciplinare quando la violazione è percepita come tale dal senso comune o in base ai principi generali (vedi Cass. cit. n. 6976/10), sia quell'orientamento che sulla natura "normativa" delle disposizioni collettive di comparto, fonda il giudizio di non necessità della affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti. Cass. Civ. Lav. 21 luglio 2015, n. 15218 G.L. La morte di un militare della folgore - la lettera di una madre - indifferenza delle istituzioniNoi comprendiamo e affianchiamo la signora Annarita Lo Mastro, pubblicando sul sito la lettera di dolore che ha inteso rendere pubblica attraverso il quotidiano "ILGIORNALE".
Annarita Lo Mastro, mamma di David Tobini, il paracadutista della Folgore mortò in Afghanistan, ha deciso di non partecipare all’inaugurazione del monumento dedicato a tutti i caduti organizzata da Mattarella: “Le mancanze istituzionali hanno offeso la memoria di mio figlio” Pur ringraziando il Presidente Mattarella di questo pensiero verso i caduti, ho deciso di non partecipare, il prossimo 4 novembre, all’inaugurazione del monumento a tutti i caduti. Molti mi hanno chiesto il perché ed è giusto dare risposte a chi, fino ad oggi mi ha affiancata, con affetto solidarietà e partecipazione pratica. Ho deciso (ma questo, ripeto, è un mio pensiero che non esclude né giudica quello di altri), di non partecipare a queste manifestazioni di “ricordo”. Ho udito ed assistito a mancanze istituzionali che, per quel che mi riguarda, hanno offeso la memoria di MIO FIGLIO. Ho udito sermoni. Ho udito i “mi dispiace”… ma di questi ne sono pieni i cimiteri! Ho udito silenzi dove un nome aveva il diritto di essere nominato. Ho “sentito” rumori di porte chiudersi sulla mia faccia. Mio figlio non “ha” ricevuto ciò Gli spettava. Ho visto paragonare un morto ai vivi. Ho stretto mani e mi sono sforzata di dare fiducia pur sapendo che non ne avrei tratto alcun segno…. Mi sono sentita rimbalzare come una pallina da ping pong…. Ho aspettato risposte da mail mai ricevute così come da quelle AR. Ho letto falsi cordogli dimenticati un attimo dopo. Ho visto costruire una tomba dove solo i miei occhi assistevano a questo orrore. Ho visto porre onori che non chiamerei onori. Ho sentito rumori di telefoni che chiudevano comunicazione…mi sono tanto sentita umiliata! Non ho visto purtroppo morire mio figlio. Non ho potuto salutarlo. Non ho potuto baciarlo….. ma questo pensiero che tutti i giorni minuti mi accompagna non sfiora altre “menti”. Dopo 4 anni mi sono chiesta perché ancora la mia presenza dopo queste risposte o meglio non risposte. Forse mio figlio non approverebbe più…Lo sento “suggerire” altre vie per poter combattere un sistema che mi ha offesa o, meglio, lo ha offeso. Ho capito di aver perso la cosa più importante. L’unica cosa vitale della vita: UN FIGLIO e le “parole” e la mancanza di fatti hanno confermato quello che nessuno capirà e non può nemmeno cercare di capire. Detto ciò un caro saluto a chi comprenderà e mi affiancherà con quei soliti graditi gesti d’affetto. Io rompo le “righe”. Mi ritiro nei miei “alloggi” e non dirò SISIGNORE!!!!! Ho visto indifferenza dove la verità non può parlare. Spero che questo mio messaggio apra le porte di un accoglienza più sana a molti altri. Anna Rita, la madre di quel David espostosi più volte incurante della sua incolumità pur di coprire fianco amico. Classificato secondo “criteri” con Medaglia Argento al Valor Militare. 22 ottobre 2015 IlGiornale 23/10/2015. MODELLO "c" - causa di servizio e pensione privilegiata - decorrenza.L’articolo 3 del d.P.R. n. 461 del 2001 dispone che: “L’Amministrazione inizia d’ufficio il procedimento per il riconoscimento della causa di servizio quando risulta che un proprio dipendente abbia riportato lesioni per certa o presunta ragione di servizio o abbia contratto infermità nell’ esporsi per obbligo di servizio a cause morbigene e dette infermità siano tali da poter divenire causa d’invalidità o di altra menomazione della integrità fisica, psichica o sensoriale.
L’Amministrazione procede d’ufficio anche in caso di morte del dipendente quando il decesso è avvenuto in attività di servizio e per fatto traumatico ivi riportato”. In linea generale, giova ricordare che la giurisprudenza della Corte dei conti ha da tempo affermato che in presenza di infermità di origine traumatica, sussiste il dovere dell’Amministrazione di promuovere d’ufficio il procedimento di cui trattasi ( Sez. IV n. 73429/1989, Sez. I app. n. 516/2007, Sez. Emilia Romagna n. 159/2013). Pertanto l’Amministrazione, nell’emettere il decreto, non deve tenere conto della data della domanda presentata dall'istante, atta al riconoscimento della causa di servizio e della stessa pensione privilegiata, poiché il procedimento deve essere attivato d’ufficio, ai sensi del più volte richiamato art. 3 del D.P.R. n. 461 del 2001, con conseguente decorrenza economica del trattamento privilegiato dalla data del congedo (in senso conforme cfr Sez. IV n. 73429/1989, Sez. Emilia Romagna n. 159/2013, Sez. Campania n. 473/2014). Nella fattispecie, non vi è la necessità di avviare alcuna indagine medico legale che determini la dipendenza per cause di servizio , atteso che l'insorgere della patologia è strettamente legata all'evento traumatico occorso durante l'attività lavorativa. GL 21/09/2015 Corte dei Conti n. 49/2015; Consiglio di Stato n. 351/2015; Consiglio di Stato n. 4328/2012; IL SALUTO DEL CAPO DELLA PROCURA DI SAVONA - CHIARO RIFERIMENTO AL CAPITANO "ULTIMO".Pubblichiamo favorevolmente la lettera del Procuratore Capo della Procura di Savona, tratta dal quotidiano online:"Sostenitori delle forze dell'ordine"
Una lunga lettera scritta dal magistrato. Ultimo giorno di lavoro per il Procuratore capo Francantonio Granero che da oggi va in pensione dopo una lunga carriera conclusa con gli ultimi sette anni alla guida della Procura della Repubblica di Savona. Il magistrato, 75enne, non ha voluto nessuna festa ma ha devoluto una cifra all’“Associazione Volontari Capitano Ultimo” attiva nel settore dell’assistenza socio sanitaria. “Cari tutti, aborrisco la retorica degli addii e nella mia lunga carriera, avendo partecipato a molti incontri di commiato, mi sono convinto quasi da subito che sarebbe stato meglio non indulgere a questo tipo di cerimonie. Voglio dirvi, invece, con convinzione, forza ed affetto, che sono molto orgoglioso del clima che siamo riusciti a creare nel nostro ufficio e dei risultati che abbiamo ottenuto. Questi sono paragonabili, senza tema di smentita, a quelli mediamente ottenibili in un ufficio di dimensioni molto, ma molto più grandi e, d’altra parte, l’elaborazione e la riproposizione quasi maniacale delle statistiche (per la quale gli altri magistrati dell’ufficio mi prendono affettuosamente in giro), lo dimostra ampiamente, anche se la constatazione resta solo come soddisfazione morale. Tutti abbiamo contribuito, magistrati ordinari ed onorari, personale amministrativo, polizia giudiziaria delle sezioni ed aggregata”. “Mi soffermo un po’ di più sulla polizia giudiziaria, per le implicazioni costituzionali ed istituzionali che derivano dalla sua presenza negli uffici di procura che, almeno qui da noi, ha occupato la parte nettamente prevalente del mio impegno lavorativo. Una presenza preziosa, che spero non ci venga mai tolta, perché, grazie al ruolo che le compete, rappresenta il baluardo organizzativo dell’autonomia costituzionale del pubblico ministero che, altrimenti, avrebbe le mani legate. Ne risentirebbe il clima dell’intero Ufficio, destinato a divenire, di fatto, meno indipendente, molto più scialbo e burocratizzato, un mero passacarte del Potere Esecutivo, in pratica della politica, a sua volta condizionata dai cd. “poteri forti”. Le ricadute sarebbero devastanti, perché – senza bisogno di attentare formalmente all’indipendenza del Giudice – quest’ultimo, privato dell’apporto indipendente del motore del processo, il pubblico ministero, sarebbe costretto a giudicare “liberamente” solo sulle questioni che interessano alla politica”. “I rischi di questa involuzione ci sono, perché i “poteri reali” mal sopportano il controllo di legalità ad opera del potere formale di un pubblico ministero indipendente ed efficiente. Quindi assistiamo a tentativi sempre più sottili, ma incisivi, per svuotare di possibilità operative i nostri poteri formali, che non si ha ancora avuto il coraggio politico di toccare apertamente, così trasformando il Pubblico Ministero in un burocrate. Se questo dovesse davvero accadere, ne risentirebbe l’intero ufficio di procura, che cambierebbe pelle (molto in peggio). Si tratta di un rischio reale, al quale mi auguro che tutti quanti Voi sappiate resistere, con retta coscienza, mente lucida, schiena diritta e piede fermo. Ed è anche l’augurio che mi pare di poter fare collettivamente a ciascuno, senza distinzioni di ruoli o, meno che mai, di caste”. “Quanto a me, nel momento del commiato, tengo fermo il proposito ultradecennale di evitare cerimonie politically corrette, ma melense: me ne vado in silenzio, senza malinconiche festicciole ed in punta di piedi, devolvendo il corrispettivo economico della “festa” ad una Onlus benemerita, basata sul volontariato, che opera nel settore dell’assistenza sociale e socio sanitaria, della beneficenza, dell’ istruzione e della formazione. L’Onlus verso la quale mi sono orientato, non a caso, è quella fondata e diretta dal colonnello dei Carabinieri, Vice-Comandante dei NOE, Sergio De Caprio, che, insieme ad alcuni di noi, ho avuto il piacere di conoscere e di frequentare, apprezzandone la generosità e la grande positività e nobiltà di intenti. Si tratta di un reparto speciale dei Carabinieri che, dopo una serie di operazioni di polizia giudiziaria di particolare rilievo, ivi compresa l’indagine Tirreno Power, sta subendo (sicuramente per concomitanza puramente casuale) un netto depotenziamento, attraverso la sottrazione al vice-comandate, ormai formalizzata, del coordinamento della polizia giudiziaria. Ragione di più per sostenerne, in maniera convinta, l’attività di volontariato. Chi vorrà associarsi, potrà farlo versando liberamente quanto riterrà, in favore dell’Associazione Volontari Capitano Ultimo – Onlus – Codice fiscale: 97559180589 – IBAN: IT47H0623003214000043135954”. “Grazie per questi anni passati insieme, che non esito a definire umanamente e professionalmente bellissimi”. Pocuratore capo Francantonio Granero Savona, 23 agosto 2015 Tratto da: SOSTENITORI DELLE FORZE DELL'ORDINE MOBBING - CORRESPONSABILITA'La Corte di Cassazione interviene nuovamente sulle responsabilità generali riconducibili al mobbing. Nella fattispecie, la suprema Corte ritiene fondata la corresponsabilità dell'azione mobbizzante del Comune ove il dipendente lavorava, atteso che la responsabilità non poteva essere declinata esclusivamente al solo superiore gerarchico, in quanto il Comune stesso non poteva non sapere delle azioni poste in essere nei confronti del dipendente. Sostanzialmente, sebbene l'azione configurante il mobbing sia posta in essere da un dirigente, anch'egli dipendente del Comune, non vale ad escludere le responsabilità del datore di lavoro ( il Comune) su cui incombono gli obblighi di cui all'art. 2049 c.c., qualora questi sia rimasto colpevolmente inerte innanzi al fatto lesivo. Tollerare siffatte condotte integra la responsabilità in solido dell'illecito.
Cass. 10037/2015. GL 11/08/2015 REATI MILITARI - VIOLENZA O PERCOSSE NEI CONFRONTI DI UN INFERIORE.Il G.U.P. in base alle dichiarazioni della parte offesa, allieva Maria Teresa Luisa Lentini, riteneva accertato che nella sala mensa, durante la pausa pranzo l'imputato, definito persona manesca, le aveva inferto un forte colpo dietro la spalla senza motivo. Il fatto, tuttavia, era privo di collegamento con episodi di servizio o di disciplina, per cui, non ricorrendo nessuna delle condizioni poste dall'art. 199 c.p.m.p., doveva essere qualificato come percosse, punito con una pena sino a sei mesi, e pertanto procedibile a Richiesta del comandante di Corpo, che non risultava essere stata presentata. Avverso la sentenza di proscioglimento ha presentato ricorso per cassazione il Procuratore Generale Militare osservando che sussisteva la circostanza della "presenza di militari riuniti per servizio" che rendeva il reato procedibile d'ufficio: sostiene in proposito il ricorrente che la consumazione del pasto in mensa è una delle operazioni giornaliere di Reparto. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10599 Anno 2015 , comunque, rigetta il ricorso e da ragione al GUP, perchè il rilievo per stabilire se la violenza contro l'inferiore si possa considerare lesiva dell'interesse tutelato dalla norma, non è la circostanza che sia stata commessa in un luogo, la mensa, dove si svolge una delle operazioni giornaliere di Reparto, ma l'esistenza di una correlazione col servizio della situazione in cui si è trovato ad agire l'autore del fatto; correlazione che nel capo di imputazione era stata indicata nel servizio di istruttore dell'imputato. Nell'escludere che Rosellini dovesse espletare un incarico all'interno della mensa, il G.U.P. ha inferito logicamente che ricorresse la causa di esclusione prevista dall'art. 199 c.p.m.p.
RIPOSI - ORARIO DI SERVIZIO E ORARIO DI LAVOROSecondo la Circolare del Ministero dell'Interno 557/RS/011113/0461 dell'8 marzo 2010, per orario di servizio si intende il periodo di tempo giornaliero necessario ad assicurare la funzionalità degli uffici centrali e periferici del Dipartimento della pubblica sicurezza; per orario di lavoro si intende il periodo di tempo giornaliero durante il quale ciascun dipendente assicura la prestazione lavorativa nell'ambito dell'orario di servizio secondo le disposizioni di cui al presente Accordo e nel rispetto delle norme contrattuali.
Orbene, negli anni sono stati promulgati Decreti Presidenziali che recepivano gli accordi sindacali riguardanti il personale delle Forze di Polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato, Corpo di polizia penitenziari e Corpo forestale dello Stato ) che i provvedimenti di concertazione riguardanti le Forze di polizia ad ordinamento militare ( Arma dei Carabinieri e Corpo della guardia di finanza), sottolineando l'uguaglianza della normativa che generava l'indirizzo economico – sociale e lavorativo dei lavoratori impiegati nel comparto Sicurezza. Il quadro normativo che modella l' orario di lavoro, la retribuzione, la sicurezza e l'igiene nei luoghi di lavoro, deve trarre origine dalle medesime norme che di fatto regolano la materia. Se ne deduce, pertanto, che la circolare in questione, seppur indirizzata a tutte le gerarchie affini alla Polizia di Stato, deve ricadere su tutte le altre forze di Polizia, di estrazione civile e militare. Rimandiamo alla lettura della circolare che riguarda le argomentazioni d'interesse per il personale delle forze dell'ordine, ma ne estrapoliamo alcuni argomenti, che di seguito citiamo: a) La programmazione degli orari di lavoro deve essere disposta settimanalmente e affissa all'albo dell'ufficio entro le ore 13.00 del venerdì precedente. Essa deve indicare, oltre l'orario di lavoro giornaliero dei singoli dipendenti per l'effettuazione dell'orario d'obbligo settimanale, la giornata in cui, in quella settimana, il dipendente effettuerà il turno di riposo settimanale, i turni di reperibilità, nonché le eventuali prestazioni di lavoro straordinario programmato, i recuperi riposo, i riposi compensativi, il giorno libero dal servizio, le aspettative, i congedi straordinari e ordinari. Le eventuali successive variazioni alla programmazione settimanale che ricadono nelle giornate di sabato e domenica saranno comunicate al personale interessato (Art. 7 Co. 8); b) Eventuali deroghe previste da accordi sottoscritti a livello territoriale, in ragione di specifiche esigenze locali di cui all'articolo 7, comma 6, possono attuarsi tenendo conto dei seguenti criteri:
f) Per cambio turno si intende la modifica dell’orario di lavoro previsto dalla programmazione settimanale disposta successivamente alla programmazione stessa. 2. La modifica dei turni previsti dagli articoli precedenti può essere disposta:
In relazione all'impiego del personale, alcuni provvedimenti furono presi dalle rispettive amministrazioni per armonizzare le esigenze del personale con quelle del servizio. Nelle Circolari del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri SM- Ufficio Legislazione Nr. 183/66-236-2-2006 datata 26 febbraio 2009 si ribadiva il tempo che doveva trascorrere per l'impiego del personale alla fine del riposo settimanale ( sei ore ), con l'intento di garantire l'effettivo godimento del riposo settimanale. Tale assunto veniva ribadito nella Circolare del Comando generale dell'Arma dei carabinieri, n. 548/243-178-1-1950 dell'11/02/2008, nella quale si specificava altresì, che per i servizi H24 , la successione dei turni comportasse, in coincidenza con il riposo settimanale, un intervallo di 60 ore complessive tra l'ultimo turno prestato e quello successivo. Oltre all'esigenza di beneficiare appieno della giornata di riposo , bisogna ricordare che il riposo deve essere considerato parte integrante del servizio , in quanto subordinato ad esso, pertanto, valutando la distanza che deve intercorrere fra un servizio e l'altro, il militare non può essere impiegato in un turno notturno alla scadenza del giorno di riposo. Per quanto riguarda il cumulo dei riposi che dovevano essere calcolati per un massimo di giorni tre , che sarebbe diventata licenza breve, si deve considerare quanto innovato dall'ultima Circolare del Comando Generale n.90/277-1962 del 30 aprile 2015, che riepiloga la disposizione vigente e stabilisce la possibilità di fruire dei due riposi delle settimane che si susseguono, a cui poter ulteriormente cumulare i riposi settimanali non fruiti da recuperare entro le 4 settimane successive, a cui poter ulteriormente accumulare i riposi festivi infrasettimanali non fruiti, a cui poter ulteriormente aggiungere fino a tre recuperi compensativi, le ore di lavoro straordinario non remunerate, da avere in pagamento accumulato o da poter recuperare. A quanto anzidetto si puo' aggiungere la licenza ordinaria o straordinaria. In sostanza, nessun limite reale al cumulo dei riposi di vario genere. Infine, qualora il carabiniere fosse impiegato nella fascia orario 22-24 del giorno precedente al riposo programmato, quest'ultimo puo' avere la facoltà di non fruire del riposo e poterlo riprogrammare in un altra giornata. Circolare Ministero Interno 19 febbraio 2013 ( cambio turno e reperibilità ) Consiglio di Stato 062/2015 TAR Marche 417/2015 G.L. 08/07/2015 LE NOTE CARATTERISTICHENel ricorso avverso la compilazione delle note caratteristiche si potrebbero seguire contemporaneamente due vie ( a mio avviso impropriamente), quella gerarchica e quella giurisdizionale, mentre diversamente è previsto per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica anziché al TAR. Il ricorso gerarchico ha una durata di 90 giorni rispetto al tempo che il TAR impiega ad emettere sentenza. In ogni caso, seguendo il ricorso gerarchico, è poi possibile esperire rimedio con ricorso straordinario al TAR o al Capo dello Stato.
Si deve poi ricordare la differenza del giudizio espresso nelle note caratteristiche e il foglio di comunicazione; mentre il primo può non essere accettato, essendo successivamente impugnabile, il secondo deve essere obbligatoriamente sottoscritto, poiché costituisce formalmente lo strumento che rende incontestabile l'avvenuta comunicazione. Diversamente, si potrà incorrere nel reato di disobbedienza previsto dall'art. 173 c.p.m.p. (o Tribunale penale ordinario Cass.40303/2012) con applicazione della pena della reclusione. Si tratta ovviamente di una conseguenza inerente il particolare status di militare.
G.L. 02 /07 2015 PARA' INVALIDO DI GUERRA RICEVE SOLO 280 EURO -GIUDICE CONDANNA L'ITALIA.Enrico Boccolon aveva 19 anni quando in Somalia è rimasto invalido di guerra al 45%. La Difesa ora dovrà corrispondergli la giusta indennità Era partito appena 19 enne come volontario nella missione di pace che l'Italia stava gestendo in Somalia. Era il 1983, Enrico Boccolon si era arruolato nella Folgore. Era un "parà", e lo è ancora oggi che dopo tanti anni ha smesso di combattere con le armi per l'Italia e si è ritrovato a dover lottare nelle aule di un tribunale contro quello Stato che aveva deciso di servire.
Durante la missione in Somalia, infatti, Boccolon era stato ferito all'altezza dell'inguine da un proiettile accidentalmente esploso dal fucile di un commilitone. Come riporta veneziatoday, nel 2012 il tribunale gli aveva riconosciuto lo status di vittima del dovere con un'invalidità permanente del 45%. Ma questo non è bastato allo Stato italiano e al ministero della Difesa per decidere di corrispondere al militare più di quei miseri 280 euro mensili che per anni sono stati il ringraziamento dell'Italia per servigi del parà. Così Boccolon ha deciso di portare lo Stato in tribunale, ed ora è finalmente riuscito a farsi riconoscere dal giudice i 500 euro mensili che gli spettavano. Una battaglia legale che non avrebbe dovuto nemmeno aver luogo. Ma in Italia rimanere invalidi per aver servito la Patria vale solo 280 euro. G.L. Fonte: Il Giornale.it PROBLEMA AMIANTO NELL'AMBIENTE MILITARE -QUALCOSA SI MUOVEDa più parti si sono levate , negli ultimi anni, prese di posizione contro l'utilizzo dell'amianto nei mezzi militari, soprattutto aeronavali. Anche le strutture immobiliari non ne sono state immuni. Sono molti in tutta Italia i casi all'esame della scienza medica di militari ammalatisi per sospette patologie legate all'amianto. Sembrava che le Istituzioni non se ne preoccupassero troppo, in piena coerenza con la politica del "prendere tempo" di italica prassi.
Qualcosa, nello stagno nazionale, sembra tuttavia muoversi, ed è importante che a smuovere le acque della palude sia il Comandante Generale della Guardia di Finanza, in risposta ad una richiesta del Cocer del Corpo, con una risposta ufficiale pubblicata nel numero di Marzo 2015 (p.54) della gloriosa rivista "Il Finanziere", con il dettaglio programmatico del lavoro di monitoraggio e bonifica delle strutture interessate dalla presenza di amianto. Ci auguriamo che altri seguano l'esempio. Alleghiamo la citata risposta del Comandante Generale GdiF con le relative tabelle, così come pubblicate ne "Il Finanziere" di Marzo 2015. Alleghiamo il link di un'interessante servizio di Giorgio Mottola, trasmesso nella trasmissione "REPORT". G.L. Cocer ; Delibera n 1/105/11 URANIO IMPOVERITO, COLONNELLO CROCE ROSSA:" TRADITI : vertici sapevano, ANCHE MATTARELLA"Ormai è chiaro: per le vittime dell’uranio impoverito – in primis i militari andati in missione nell’ex Jugoslavia negli anni Novanta - il danno si unisce alla beffa. Come abbiamo raccontato sul fattoquotidiano.it, anche dopo una sequenza di sentenze favorevoli, con il riconoscimento del rapporto causa-effetto fra missione e malattia, non è scontato infatti che lo Stato risarcisca in tempi congrui i militari ammalatisi in servizio di linfoma non hodgkin e altre patologie tumorali o i familiari di coloro che, per il contatto con la polvere di uranio, hanno perduto la vita. Di un lungo calvario sanitario e giudiziario è testimone Emerico Laccetti, colonnello in forza alla Croce Rossa, da trent’anni impegnato in missioni di solidarietà internazionale. Ammalatosi di linfoma, è prima riuscito a guarire completamente e ha poivinto la causa. Ma non dimentica “il muro di gomma opposto in tutti questi anni dalle istituzioni”. “Migliaia di colleghi si sono ammalati e centinaia sono morti avendo lo Stato contro“, spiega Laccetti. “Siamo stati inviati in missione senza adeguata informazione dei rischi che correvamo; dopo estenuanti ricorsi giudiziari vinciamo le cause, ma spesso i risarcimenti non vengono erogati”. Per Laccetti i vertici del governo sapevano: “Questo ormai è provato, i ministri della difesa dell’epoca erano consapevoli dei rischi, compreso l’ex ministro Mattarella“. Il colonnello Laccetti si sente tradito due volte: “come militare sono stato mandato allo sbaraglio da un governo che avrebbe dovuto dotarci delle necessarie precauzioni; come ufficiale sono stato costretto a tradire la fiducia dei miei sottoposti: numerosi tra loro sono morti” di Piero Ricca, riprese Mauro Episcopo, montaggio Matteo Fiacchi - 15 giugno 2015 (Fonte:http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/06/15/uranio-impoverito-colonnello-croce-rossa-traditi-vertici-sapevano-anche-mattarella/381166/ ).
Nostro commento- Uranio depleto, nanoparticelle, arsenico, benzene, ecc.: l' Onore Militare e quello delle Istituzioni. Il caso riportato, conclusosi positivamente , dimostra che ci sono ancora dei Giudici a Berlino, anche se esso si riferisce ad uno dei diversi fattori patogeni (in questo caso l'uranio depleto penetrato nei tessuti del Militare impiegato in operazione umanitaria in zone ove era stato precedentemente utilizzato il particolare munizionamento). L'Associazione dell'Ammiraglio Falco Accame (Anavafaf) si occupa della problematica di cui si parla nell'articolo da oltre vent'anni, stimolando ricerche scientifiche di pregio , prestando assistenza ai militari ed alle loro famiglie e provocando inchieste in Italia e all'estero sui rischi connessi all'utilizzo di determinati materiali e per il riconoscimento ai reduci o alle famiglie dei caduti dei giusti riconoscimenti economico-previdenziali e dei dovuti Onori a chi si è sacrificato in nome della Patria. Man mano, la stessa società civile ha preso coscienza dell'esistenza della problematica e si è diffusa nell' opinione pubblica , soprattutto in Gran Bretagna, negli USA , in Francia ed in minor misura anche in Italia, l'esigenza di una maggiore tutela dei militari e dei civili maggiormente esposti ai rischi d'impiego operativo e/o addetti ad impianti soggetti all'utilizzo di materiali rischiosi. Le Istituzioni italiane , tuttavia, non sempre hanno dato seguito agli impegni assunti in sede legislativa; sulla carta, diverse disposizioni di legge avrebbero dovuto venire incontro ai militari ammalati e alle loro famiglie. In teoria, infatti, ci sarebbero anche le norme a favore del personale in questione e dei familiari; peccato che il Ministero della Difesa si ostini , da sempre, ad esigere la dimostrazione diabolica del "nesso di causalità necessaria" e la prova della "causa di servizio" , nonostante le norme speciali distinguano e prevedano la dimostrazione che le morti e/o le invalidità o le lesioni si siano verificate "in occasione di servizio" (esempio: aver semplicemente operato in poligoni o in teatri di guerra) e la stessa giurisprudenza sia orientata, nei casi particolari degli elementi fisico/chimici di cui si discute , ad applicare il criterio probabilistico ai fini della dimostrazione del nesso tra il danno e la causa (esempio: in un militare adibito allo sgombero poligono in Italia dove vengono svolte esercitazioni a fuoco da parte di velivoli o carri armati, o adibito alla pulizia armi o impiegato in teatri di guerra all'estero, ammalatosi di tumore in assenza di altri fattori di rischio di tipo personale - es. non fumatore- è "più probabile che" la malattia sia insorta in conseguenza di tale impegno operativo, "piuttosto che non"). Centinaia di richieste di indennità speciali fatte sulla base delle leggi succedutesi nel tempo sono state così respinte, nonostante la fondatezza della maggior parte di loro, aventi in comune, per l'appunto, l'essere correlate ai medesimi impieghi in poligoni e/o in zone operative inquinate da agenti chimico-fisici ad alto rischio patogeno. Insomma, sembra che qualcuno, ai piani alti dei Ministeri competenti, applichi l'adagio " bussate,bussate, tanto non apriamo", costringendo così il personale, o gli eredi, a ricorrere ai Tribunali, con il bel risultato, sempre più spesso, di perdere la partita e , con essa, di mettere in dubbio l'Onore delle Istituzioni che pure quelle provvidenze le hanno previste, ma che si ostinano a non riconoscere i dovuti Onori ai militari ammalati ed allo loro famiglie. Tant'è che viene spontanea una domanda : ma non sarebbe molto meglio per tutti riconoscere il dovuto in sede amministrativa, e finirla lì? A.S. IL SENATO APPROVA I NUOVI REATI ALLA GUIDAMercoledì 10 giugno, i parlamentari di Palazzo Madama hanno approvato (163 sì, 2 no, 65 astenuti) il testo che introduce le nuove fattispecie di reato di omicidio stradale e lesioni personali. Il provvedimento passa ora alla Camera dei Deputati, in vista della votazione finale.
Nuove fattispecie di reato. Il Senato della Repubblica ha approvato ieri il testo che introduce il nuovo reato di omicidio stradale con 163 voti favorevoli, 2 contrari e 65 astenuti. Si attende ora la votazione della Camera dei Deputati per l’approvazione finale. Le pene per l’omicidio stradale. Viene disposto il carcere da 8 a 12 anni per omicidio colposo commesso dal conducente che si trovi in stato di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, oppure in stato di ebbrezza alcolica, con un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l. Una leggera diminuzione (pena compresa tra 7 e 10 anni) è prevista se il tasso alcolemico è superiore a 0,8 g/l, ma inferiore a 1,5 g/l: di questa diminuzione non beneficeranno, tuttavia, i conducenti professionali per attività di trasporto di persone e di cose, i quali subiranno la pena da 8 a 12 anni anche in caso di tasso alcolemico superiore a 0,8 g/l. Invece, non verrà applicata la pena stabilita dalle nuove norme per i conducenti che cagionino la morte a seguito di attraversamento del semaforo rosso, di inversione del senso di marcia, di sorpasso in corrispondenza di un attraversamento pedonale. Se si causa la morte di più persone, la condanna alla reclusione potrà arrivare fino a 18 anni. Se il conducente fugge dopo aver causato delle morti, la pena può aumentare da un terzo alla metà. Insieme alla pena detentiva, viene prevista anche la revoca della patente, per un periodo di tempo che può arrivare fino a 30 anni. Lesioni stradali punite autonomamente. Viene introdotto anche il reato di lesioni stradali: per questa fattispecie, la pena varia tra 2 e 4 anni se il tasso alcolemico è superiore a 1,5 g/l (o a 0,8 g/l per i conducenti di mezzi riservati al pubblico) o se si è agito sotto l’effetto di droghe, mentre è tra 9 mesi e 2 anni se il tasso è superiore a 0,8 g/l e inferiore a 1,5 g/l, se vengono superati i limiti di velocità, non si rispettano i semafori, si circola contromano, si inverte la marcia nei pressi di curve, dossi e incroci, o, infine, se si superi in corrispondenza di strisce pedonali o linea continua. Le pene possono aumentare da un terzo alla metà se le lesioni sono gravi e dalla metà a due terzi se gravissime. (Fonte: Diritto e Giustizia, Ed. Giuffrè, 11 giugno 2015) Nostro commento : quello che abbiamo riportato è un buon iter legislativo; c'è da sperare che la Camera approvi in via definitiva la riforma nel più breve tempo possibile, senza perdere altro tempo. Molte vite sono state spente, e molte famiglie stanno ancora soffrendo la perdita dei propri cari. Non è più oltre tollerabile che le nostre strade siano diventate circuiti di velocità e azzardi di ogni tipo per cocainomani, alcolisti e tossici di vario genere, razza e provenienza: sappiano , costoro, che dopo decenni di lassismo legislativo e , conseguentemente, di insignificanti sanzioni giudiziarie, sta arrivando per loro la giusta punizione. Auspichiamo che finalmente venga privilegiata dal legislatore la sicurezza delle persone e si diffonda nel Paese la consapevolezza delle gravi responsabilità che ha ognuno di noi quando si mette allla guida di un veicolo. A.S. COSA CE NE FACCIAMO DI QUESTE REGIONI?L'art.5 della Costituzione Italiana così recita: « La Repubblica,una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento »; il successivo art.114 , al primo comma, stabilisce:« La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato »; l'art.116 Cost. individua le 5 Regioni a Statuto Speciale (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige/Sudtirol e la Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste), i cui Statuti sono approvati con legge costituzionale, e si trovano pertanto, nella gerarchia delle fonti, su un gradino più alto rispetto alle 15 regioni a Statuto Ordinario, approvato con legge ordinaria (va detto anche che i consigli regionali delle regioni a statuto ordinario furono istituiti "solo" nel 1970).
A distanza di tanti anni dalla nascita delle Regioni, forse è arrivato il momento di fare un bilancio concreto , e porsi qualche domanda. Non abbiamo la presunzione, in queste poche righe, di dare risposte definitive; tuttavia, alcune domande possono essere sottoposte alla riflessione collettiva, stimolati anche da ciò che accade nel nostro Paese nel presente momento storico. Chiediamoci, in particolare,nella consapevolezza di porre un problema non da poco, alla luce di ripetuti episodi di chiara disobbedienza di alcuni "Governatori" (così i Presidenti delle Regioni vengono pomposamente chiamati dalla stampa, scimmiottando il sistema federale statunitense ) rispetto agli indirizzi di ordine pubblico nazionale : la Repubblica Italiana è ancora "una e indivisibile" ? Magari i Presidenti delle Regioni in questione potrebbero avere anche ragione nel merito delle singole problematiche, ma questo non giustifica il dimenticarsi dell'interesse nazionale in quanto tale... Ancora: è vero o no che da quando furono istituite le Regioni Ordinarie il Bilancio dello Stato è "esploso" ? Alcune settimane fa, un importante dirigente del Ministero dell'Economia, persona perbene esperta e assai qualificata, ci confermava che , in effetti, l'enorme deficit dello Stato ha coinciso con lo sviluppo delle Regioni Ordinarie (esattamente quello che temevano alcuni componenti dell'Assemblea Costituente nel 1946-47 in sede di discussione degli articoli della costituzione che riguardavano le regioni). Peraltro, la controversa riforma costituzionale del 2001, con l'attribuzione di nuovi ed importanti compiti alle Regioni ordinarie (di fatto, secondo i costituzionalisti più critici, si sono quasi azzerate le differenze tra le Regioni a Statuto Speciale - che erano giustificate dalla particolare Storia e Geografia - e Regioni Ordinarie), ha creato e crea sempre maggiori conflitti di competenze tra lo Stato e le stesse Regioni, tanto che gran parte dell'attività della Corte Costituzionale è ormai dedicato alla soluzione di tali conflitti. Tutto ciò, indubbiamente, ha portato a nuovi costi per il bilancio aggregato statale, con il bel risultato , nel tempo, di un ulteriore appesantimento della tassazione complessiva ( vi dice niente l'IRAP? E le "addizionali regionali" sull'IRPEF ?) . Vogliamo poi parlare di quella vera e propria "mangiatoia" che sono diventati i fondi dei Consigli Regionali per troppi mariuoli-consiglieri ? Vogliamo parlare delle indagini in corso e dei processi (in molti casi già conclusisi con condanne per peculato ) sulla distrazione di tali fondi (in teoria destinati alla promozione dell'attività politica, in troppi casi utilizzati per scopi personali)? Ed in cambio di tutto ciò , nel corso di tutti questi decenni, che cosa hanno avuto in cambio i cittadini delle regioni ? Forse un miglioramento del sistema sanitario? A parte tre/quattro eccellenze, il resto delle regioni è in una situazione penosa.. Forse è migliorato il sistema dei trasporti, forse l'urbanistica e l'edilizia, o la formazione professionale? Magari è aumentata la partecipazione dei cittadini alla vita politica regionale, magari tutti noi ci sentiamo più ascoltati dai nostri amministratori regionali, che hanno dato vita ad un efficiente apparato burocratico regionale al servizio del pubblico, in cui si fa carriera solo per merito e per capacità di perseguire il bene dei cittadini della regione... Ma questo, evidentemente, è un sogno. La dura realtà è che le Regioni (tutte, nessuna esclusa) sono diventate nel tempo un centro di potere autoreferenziale, impermeabile alle esigenze della povera gente e ben sensibile a quelle dei più ricchi; in altri termini, è cresciuto un sistema più subdolo (in quanto la vicinanza ai cittadini del territorio dovrebbe far pensare il contrario) e peggiore di quello statale. Ed allora, se le cose stanno così, è giunto il momento di domandarsi: cosa ce ne facciamo di queste Regioni? AS avanzamento degli ufficiali- DISCREZIONALITÀ' della commissione - limiti - meriti.Il principio della tendenziale insindacabilità della discrezionalità tecnica va applicato con grande cautela ai singoli casi, per evitare che quella discrezionalità si trasformi in abuso nell’esercizio del potere.
Il principio di discrezionalità, infatti, non comporta l’attribuzione alla Commissione superiore di avanzamento di un potere insindacabile e di puro arbitrio o, comunque, esclusivo ed ermetico, atteso che i principi giurisprudenziali seguiti dal giudice amministrativo non tendono affatto a prefigurare la intangibilità dei giudizi in questione, bensì a precisare i limiti del proprio sindacato, segnati dalla necessità di rispettare la linea che comunque separa il giudizio di legittimità dalla valutazione di merito, squisitamente discrezionale, demandata in via esclusiva all’apprezzamento del competente organo valutatore (Cons. St., sez. IV, 10 dicembre 2009 , n. 7736; cfr. anche sez. IV, 17 dicembre 2008, n. 6248). G.L. Consiglio di Stato n. 754/2015. La MADRE di un militare deceduto scrive al presidente renziCi pare doveroso lasciare uno spazio su questo sito, per la pubblicazione della lettera di una madre di un militare caduto in Afghanistan, inviata al Presidente Renzi. Non entriamo nel merito e non vogliamo fare alcun commento. Lasciamo che sia il lettore a fare le proprie riflessioni.
Caro Presidente! Mi permetta tale confidenza perché oggi in questo periodo di celebrazioni e ricorrenze, leggo del suo viaggio particolare. Leggo che a distanza di anni, fatalità, oggi ricorda l’Afghanistan e i suoi caduti. Lei che trasmette forza a chi come noi e loro hanno subito tante umiliazioni e tante trascuratezze. Sono Annarita, Presidente, quella madre che non ha mai voluto incontrare, preferendola a una squadra di pallavoliste. Quella madre di cui non ebbe mai una parola di sconforto e conforto. Sono quella madre, Presidente, che l’anno scorso era davanti al suo palco per guardarla da lontano perché solo da lontano potevo guardarla in quella parata militare del 2 giugno che presidio da sempre … fin dai tempi “verdi”. Perché solo oggi, Lei porge questi Onori? Presidente, quel “sangue” meritava e merita più rispetto, come rispetto meritano le forze dell’ordine e chi è sopravvissuto perdendoli. Il rispetto alle Forze Armate va tutti i giorni, perché loro sfilano tutti i sacrosanti giorni, rischiando la vita in cambio di noncuranza. Mi sembra che ci stiamo lavando la coscienza laddove possiamo trarne vantaggio. La mimetica non è un gioco. Non la si può indossare se non la si sa portare. Tutto ciò glielo dice una madre che ha perso un figlio per un dovere dettato dalle Istituzioni italiane e non permetterà che tali Istituzioni traggano profitto – se pur soltanto in termini di visibilità mediatica – da quel Sangue, perché i nostri figli Vivi o Morti non sono un baratto politico. Vorrei dire al presidente che immaginando di sforzarmi sulle sue benevole intenzioni gli suggerirei prima di fare sermoni sul sacrificio a quei ragazzi, dovrebbe MANGIARE COME LORO, DORMIRE COME LORO, VIAGGIARE COME LORO. Il sacrificio prima di essere decantato va “gustato”… così come il coraggio. Annarita Lo Mastro” Fonte Libero Roma, 3 giugno 2015 G.L. IL PAPA e la sua vicinanza ai militari ed alle forze di polizia.Continuando nella tradizionale posizione di vicinanza della Chiesa rispetto alla Forze Armate e alle Forze dell'Ordine contro tutte le derive contrarie, ancora recentemente ribadita dal Card. Bagnasco e da noi puntualmente riportata nel nostro sito, volentieri pubblichiamo per intero l'articolo apparso su Avvenire di oggi 21 maggio 2015 , che riporta a sua volta il contenuto del discorso papale di ieri 20 maggio 2015.
Il Papa alla Polizia: difendete i deboli - "Avvenire" 21 Maggio 2015 L’Italia ha bisogno di persone che la “servano con disinteresse, generosità e continuità”. E’ uno dei passaggi del discorso di Papa Francesco ai familiari delle vittime e dei caduti in servizio della Polizia di Stato, ricevuti in Vaticano. Il Pontefice ha ringraziato le forze dell’ordine per l’impegno contro violenti e corrotti, per l’accoglienza dei migranti e l’opera di contrasto ai trafficanti. Un’udienza per dire grazie a chi ogni giorno mette a rischio la proprio vita per difendere i cittadini e la democrazia. E’ lo spirito che ha animato l’udienza di Francesco ai familiari dei caduti della Polizia di Stato, che il Papa ha elogiato per “l’attaccamento alle istituzioni”. Contrastare criminalità organizzata e terrorismo Il Pontefice ha definito quella del poliziotto un’autentica missione ricca di “valori di speciale rilevanza per la vita civile”: “Mi riferisco allo spiccato senso del dovere e della disciplina, alla disponibilità al sacrificio, fino, se necessario, a dare la vita per la tutela dell’ordine pubblico, per il rispetto della legalità, per la difesa della democrazia e il contrasto della criminalità organizzata o del terrorismo”. “La collettività – ha aggiunto – vi è debitrice della possibilità di condurre una vita ordinata e libera dalle prepotenze dei violenti e dei corrotti”. Un’esistenza “impegnata su questo fronte e centrata in questi ideali – ha detto ancora – presenta un alto valore presso il Signore, e ogni sacrificio accolto per amore del bene verrà da Lui premiato”. Parole, ha detto, che hanno un significato particolare per i “parenti delle vittime dei violenti, i quali, trovando nelle forze dell’ordine l’ostacolo più arduo ai loro disegni efferati, spesso si scagliano contro di esse”. “Chi, giorno dopo giorno – ha proseguito – assume la serietà e l’impegno del proprio lavoro e lo pone a disposizione della comunità, e specialmente di chi è nel pericolo o si trova in situazioni di grave difficoltà, ‘esce’ verso il prossimo e lo serve”. Ed ha invitato i parenti delle vittime a contemplare Gesù sulla Croce per “trovare la forza del perdono e il conforto” per affrontare le proprie croci: “La testimonianza dei valori cristiani è ancora più eloquente in questo tempo, nel quale, allo slancio generoso di tanti, spesso non fa seguito la capacità di incanalarlo in un impegno coerente e costante. Nel nostro tempo risulta infatti più facile impegnarsi in qualcosa di provvisorio e di parziale”. L’azione svolta dalle forze di Polizia, ha osservato, richiama invece “qualcosa di solido nel tempo, che, pur nel mutare delle situazioni contingenti, presenta una costante che attraversa le varie epoche: quella di garantire per tutti i cittadini la legalità e l’ordine, e con questi beni la possibilità di fruire di tutti gli altri”: “Inoltre, in questi anni l’azione della Polizia si trova a dare un contributo decisivo per gestire l’impatto con la corrente di profughi che arrivano in Italia cercando rifugio da guerre e persecuzioni. Siete “in prima linea” sia nell’accoglienza iniziale dei migranti, sia nell’opera di contrasto verso i trafficanti senza scrupoli”. “Cari fratelli e sorelle – ha concluso – siate fieri del vostro lavoro e continuate a servire lo Stato, ogni cittadino e ogni persona in pericolo”. Nel “difendere i deboli e la legalità – ha detto – troverete il senso più vero del vostro servizio e sarete di esempio al Paese, che ha bisogno di persone che lo servano con disinteresse, generosità e continuità”. Avvenire, 21 Maggio 2015. Ovviamente, le parole del Santo Padre, vero gigante dei nostri difficili tempi, devono intedersi estese a tutti i tutori dell'ordine, della Difesa e della Sicurezza nei divfersi scenari operativi , ed è in linea con gli obiettivi che la Chiesa Mondiale ha proposto per l'annuale Pellegrinaggio Militare Internazionale, che nei giorni 14-18 maggio 2015 ha visto a Lourdes la presenza di 12.000 uomini e donne in rappresentanza delle Forze Armate e delle Polizie di tutto il mondo. Se anche i nostri politici si prendessero cura di questi operatori con il 10% di affetto e vicinanza dimostrato dalla Chiesa, forse la realtà operativa sarebbe assai più gratificante e proficua per tutti. Per il momento non possiamo che urlare il nostro : GRAZIE, SANTITA' e...FORZA PARIS! A.S. banda larga in mano pubblica - una scelta sacrosanta.Finalmente una buona notizia che segna un vero e proprio cambio di rotta nelle politiche ventennali del governo nazionale, improntate all'imperativo delle "privatizzazioni" , ovvero, detto in altri termini, della "vendita dei gioielli di famiglia", magari all'estero. Per decenni ci hanno detto in tutte le lingue che "privatizzare" i servizi pubblici era bello e vantaggioso per i cittadini, dall'acqua ai trasporti, alla scuola, alle poste, alle banche, ecc. ecc. . I "meravigliosi " risultati sono sotto gli occhi di tutti : chi non conosce la disastrosa e dannosa situazione per le casse pubbliche in cui versano le società di gestione dell'acqua (pubbliche di nome, privatissime nei fatti...) ? Un nome per tutti: Abbanoa S.p.A. Vogliamo poi parlare della grandi banche e assicurazioni finite in mano straniera? Altro esempio: che cosa ha guadagnato lo Stato dalla privatizzazione di Sip/Telecom? Un documentatissimo libro di Massimo Mucchetti (dal titolo interrogativo, "Licenziare i padroni?" ) spiega ed illustra i mancati introiti nei decenni per le casse dello Stato derivanti dal passaggio ai privati dei grandi (e strategici) gruppi economici e le nefaste conseguenze in mancati introiti per l'Erario e di benefici per i lavoratori e il tessuto economico-sociale nazionale. Ora, fortunatamente, in una partita importantissima e delicata per la modernizzazione tecnologica del Paese, il Governo sembra aver cambiato rotta, forse cogliendo gli umori della Nazione, che di questo mantra delle privatizzazioni ad oltranza delle cose che funzionano non ne può più. Ritenendola una essenziale risorsa strategica per l'economia e (non viene detto, ma è sottinteso) per la sicurezza del Paese, la c.d. "banda larga" (ovvero la rete super veloce di trasmissione dei dati Internet), il Governo italiano ha deciso di poggiare (letteralmente) la nuova rete sui cavi dell'Enel e raggiungere in tal modo, nei prossimi tre anni, tutte le case degli italiani, risparmiandoci lo sbrego urbano delle trincee in tutta Italia (con annessi e connessi contenziosi, disagi, mangiatoie locali,ecc...), ed affidandone il compito all'Ente Nazionale Energia Elettrica, che, per l'appunto, lo svolgerà senza oneri per la collettività. A tutto questo viene affiancato un finanziamento oltre 6 miliardi di euro in 5 anni , provenienti in buona parte da fondi europei, per favorire anche altri sistemi, quali le fibre ottiche. Si spera che questa nuova impostazione, oltre a costituire - come riteniamo- un volano per tante altre iniziative economiche nazionali, possa servire anche per altre industrie strategiche, come quelle legate alla cantieristica aeronavale e della Difesa e Sicurezza in genere. Era ora che lo Stato (ri)battesse un colpo! Le risorse strategiche devono essere e rimanere della Repubblica Italiana; in questo campo, non c'è Europa (o altro interesse) che tenga! A.S. L'OSSESSIONE FINANZIARIA DEL LEGISLATORE 2011/2013 - l' ILLEGITTIMITÀ DEL BLOCCO DELLE PENSIONI E LE SUE CONSEGUENZE.L'ossessione finanziaria del legislatore 2011/2013 - L' illegittimità del blocco delle pensioni e le sue conseguenze.Con la sentenza n.70 pubblicata il 30 aprile 2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, d.l. n. 201/2011, convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, l. n. 214/2011 nella parte in cui prevede che in considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, l. n. 448/1998, è riconosciuta per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100%.
Tradotto dal linguaggio tecnico-giuridico-burocratico, questo significa che il blocco delle pensioni superiori a euro 1.217,00 netti mensili introdotto dal governo Monti (Ministro del Lavoro e Prev.Sociale prof.ssa Fornero) è del tutto illegittimo. La Corte Costituzionale nota come la norma cassata aveva l'intento di reperire risorse per il bilancio dello Stato, ma male ha fatto il governo di allora a bloccare emolumenti che non hanno affatto natura tributaria, come le pensioni, poichè il "blocco" delle stesse , per l'appunto, nulla ha a che fare con le esigenze tributarie. In altre parole, il governo ed il Parlamento, avrebbero dovuto utilizzare un altro strumento per garantire le necessarie entrate all'Erario, rispetto al mero risparmio di spesa garantito dal "blocco". Non va dimenticato, poi, come rileva la Corte, che la perequazione automatica, quale strumento di adeguamento delle pensioni al mutato potere di acquisto della moneta, fu dapprima disciplinata dalla legge 21 luglio 1965, n. 903 con la finalità di fronteggiare la svalutazione che le prestazioni previdenziali subiscono per il loro carattere continuativo. Per perseguire un tale obiettivo, in fasi sempre mutevoli dell’economia, la disciplina in questione ha subito numerose modificazioni, fino a giungere alla legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), ove si prevede che la perequazione automatica (che è un adeguamento della pensione al costo della vita ) spetti per intero soltanto per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici fino a tre volte il trattamento minimo INPS; spetta nella misura del 90 per cento per le fasce di importo da tre a cinque volte il trattamento minimo INPS ed è ridotto al 75 per cento per i trattamenti eccedenti il quintuplo del predetto importo minimo. Questa impostazione fu seguita dal legislatore in successivi interventi, a tutela delle fasce più deboli. Ad esempio, l’art. 5, comma 6, del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 127, prevede, per il triennio 2008-2010, una perequazione al 100 per cento per le fasce di importo tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS. In conclusione, la disciplina generale che si ricava dal complesso quadro storico-evolutivo della materia, prevede che soltanto le fasce più basse siano integralmente tutelate dall’erosione indotta dalle dinamiche inflazionistiche o, in generale, dal ridotto potere di acquisto delle pensioni. Ne consegue che il legislatore in questione , nell'ossessione di far tornare i conti pubblici, imponendo "sic et simpliciter" il blocco della perequazione automatica, ha travalicato i principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità , pregiudicando il potere di acquisto del trattamento pensionistico , che, non si deve dimenticare, ha natura di retribuzione differita ; risulta quindi leso , nella fattispecie, il diritto dei pensionati ad una adeguata prestazione previdenziale . Come conseguenza della sentenza in esame, i pensionati avrebbero diritto agli arretrati della perequazione, calcolabile , secondo alcuni istituti di ricerca economico-finanziaria, in un maggiore esborso complessivo per le finanze pubbliche di circa 11-12 miliardi di euro. C'è da aspettarsi un nuovo intervento normativo, con la probabile restituzione a rate del dovuto , limitato ai redditi più bassi (fino a tre volte il minimo della pensione INPS) e con la rateazione più uno "sconto-Erario" per quelli superiori, in cui rientrano le pensioni del comparto militari/forze dell'ordine, secondo i principi e gli scaglioni della legge finanziaria 2001. AS Corte Costituzionale 70/2015 concorsi - legge d'alia - scorrimento delle graduatorie.L’applicabilità della cosiddetta
Legge D’Alia (D.L. n. 101 del 2013) , trova un nuovo impulso con la sentenza
del TAR del Lazio, che estende chiaramente la sua applicazione anche ai
concorsi militari, con conseguente
inderogabile obbligo dello scorrimento delle graduatorie precedenti.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 14 del 28 luglio 2011, aveva affermato la legittimità dello scorrimento delle graduatorie preesistenti e vigenti a fronte di un nuovo concorso che avrebbe dovuto costituire l’eccezione e richiedere perciò un’approfondita motivazione che desse conto del sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle preminenti esigenze di interesse pubblico. Con la sentenza n. 6077 del 27 aprile 2015, il Tar ha accolto il ricorso del ricorrente ritenendo l' efficacia delle graduatorie concorsuali ai fini dello scorrimento delle medesime, applicabile con il dettato dell’invocato D.L. n. 101 del 2013», il Decreto D’Alia, appunto. G.L. Tar Lazio 06077/2015. CARO PRESIDENTE RENZI-ALL'ESTERO NON CI SIAMOAlzi la mano chi non ha confidato e confida nella energia innovatrice del più giovane presidente del consiglio della Repubblica.
Egli ha dimostrato abilità e apprezzabile determinazione nella battaglia politica interna, sia nei confronti dei "vecchi" (anche se non per l'anagrafe) e usurati esponenti del suo partito, sia nei confronti degli altri partiti. È indubbiamente lodevole l'intento di dare alla caotica e litigiosa politica italiana una guida sicura e determinata, capace di riscrivere le regole del gioco in linea con i sistemi più avanzati del mondo. L'ambito in cui in Presidente del Consiglio si dimostra impacciato, purtroppo , è quello della politica internazionale, e della geopolitica in particolare. Non si possono far perdere miliardi e miliardi di euro di esportazioni (le associazioni agricole calcolano circa 12 miliardi solo per i prodotti agricoli) aderendo acriticamente alle astruse sanzioni alla Russia ( di cosa sarebbe poi colpevole, la Russia: di volere una fascia di sicurezza ai propri confini? Ma questa posizione russa è nota da almeno tre secoli, e sfidare la storia geopolitica allargando a Est i confini dell'Unione Europea e della Nato , fino ai confini russi, si è dimostrato improvvido e abbastanza stupido ) , in ossequio ai dettami degli alleati della Nato e dell'UE: nella vicenda di questi giorni che ha tragicamente riguardato il nostro compatriota Lo porto, ucciso in PAkistan nel corso di un attacco condotto da un drone della US Air Force, , abbiamo visto tutti come ci trattano gli alleati, ovvero con assoluta mancanza di riguardo e di fiducia, meno considerati dell'Arabia e del Qatar, che pure qualcosa sull'Isis devono spiegarla al mondo. Per non dire, poi, del mancato permesso americano di armare i nostri droni, mentre gli stessi Usa premono per l'acquisto dei pericolosi e costosissimi F35 ! Vogliamo poi parlare della fallimentare operazione Tritone delle dichiarazioni degli inglesi, finlandesi, ecc., secondo i quali, in ossequio al Regolamento di Dublino del 2003 gli immigrati (che al 90% dei casi e più , va detto chiaramente, son clandestini, mentre lo status di rifugiati è attribuibile ad una piccolissima minoranza) deve tenerseli l'Italia, in quanto primo Paese in cui gli immigrati hanno messo piede. I trattati internazionali, nell'impossibilità o nell'evidente grave pregiudizio per gli interessi nazionali, secondo il diritto internazionale si "denunciano" e, nei casi più gravi, si recede da essi. Ma finché accetteremo di apparire degli zerbini, nessuno, a livello internazionale, ci riconoscerà il dovuto rispetto e la necessaria considerazione, come del resto è apparso lampante nel caso dei due sottufficiali del San Marco. Non parliamone poi dei giganteschi rospi che dobbiamo ingoiare in materia economico- finanziaria ... In politica internazionale, caro Presidente Renzi, è il caso di darsi una robusta mossa, ed usare il suo innato istinto machiavellico (inteso nel positivo significato storico- politico, non moralistico, del termine) nell' interesse della Patria. Se occorre, come al tempo del Card. Casaroli, giocando su più tavoli... AS MOBBING - MOTIVAZIONI.Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati: a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) dall'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore; d) dalla prova dell'elemento soggettivo e, cioè, dell'intento persecutorio (Cons. St., sez. IV, 6 agosto 2013, n.4135; sez. VI, 12 marzo 2012, n.1388).
Si è, poi, ulteriormente precisato che l'azione offensiva posta in essere a danno del lavoratore deve essere sistematica e frequente, deve articolarsi in una serie prolungata di atti e di comportamenti e deve avere le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione o rivelare intenti meramente emulativi (Cons. St., sez. IV, 19 marzo 2013, n.1609). Sotto il profilo del rilievo del fattore psicologico del datore di lavoro, è stato, ancora, chiarito che la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito e che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. St., sez. IV, 16 febbraio 2012, n.815). G.L. Cons. Stato 00576_2015 GRAZIE CARDINALEIn occasione di una messa a favore delle forze dell'ordine celebrata il 15 aprile 2015 presso la cattedrale di Genova, come riportato dal quotidiano Avvenire, il Cardinale Bagnasco, Presidente della C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana) ha dichiarato , rivolto alle Forze dell'Ordine:«Siete servitori del bene comune, perchè particolarmente dedicati alla giustizia ed alla sicurezza. Siatene sempre molto consapevoli (...) Vorrei qui esortarvi a non cedere mai a nessuna ombra, nè interna nè esterna, a nessun vento contrario (...) Il Signore vi guarda».
Sono parole che fanno riflettere e che sembrano cogliere lo spirito di frustrazione, la sensazione di abbandono, la sfiducia per l'assenza di riguardo morale ed economico che molto spesso avvolge personalmente molti operatori dell' Ordine, della Sicurezza e della Difesa. Eppure la forza morale di ognuno di noi e la lealtà al giuramento fatto (« Giuro di essere fedele alla Repubblica Italiana , di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni») sono più forti di ogni forza contraria e consentono ancora oggi all'Italia di andare avanti, nonostante tutto, unita e pacifica. Grazie, quindi, al Cardinale Bagnasco per aver ricordato ad ognuno di noi la propria Alta Funzione, e per aver voluto trasmettere ai Difensori della Patria la serenità della Fede, sotto lo sguardo benedicente dell'Onnipotente e dei nostri Santi Protettori. A.S. strage al tribunale di milano - la visione del CNF - ruolo delle forze di polizia.Strage Tribunale Milano, CNF: Investire nei diritti fondamentali
Il Presidente Mascherin: “L’Avvocatura resta in prima linea a tutela della democrazia ma non deve essere lasciata sola” Roma 10/ 4/2015 “ Dopo i tragici fatti di Milano, l'Avvocatura italiana chiede con forza che la politica e le forze sociali mettano da parte qualsiasi forma di speculazione e di strumentalizzazione e finalmente recepiscano una verità non più eludibile: basta con la corsa al ribasso in materia di diritti fondamentali”, lo dichiara oggi il presidente del Consiglio Nazionale Forense, Andrea Mascherin. “Gli Avvocati esercitano in prima linea la loro funzione di tutori dei diritti fondamentali dei cittadini, e lo fanno senza tutele di sorta da parte dello Stato, ma di questo non si lamentano, né si lamentano dei rischi concreti per la loro incolumità a cui la loro attività gli espone”. Per il presidente degli Avvocati “è ora di dire basta a quelle forme culturali che vogliono esporre i diritti inviolabili della persona ad una corsa al ribasso, che finisce con l'esporre funzioni che sono presidio di legalità, come quella dell'Avvocato, ad una sottovalutazione culturale che si traduce in uno scadimento del livello di quella democrazia solidale che sta alla base del rispetto dei diritti altrui. E deve dirsi basta all'idea che si possa o si debba risparmiare in Giustizia, Salute, Sicurezza, Istruzione: ottimizzare i costi è una cosa, pensare a ridurre quei diritti, pilastri di una società civile, a merce di poco valore su cui risparmiare ed aprire corse al ribasso, è un errore che stiamo pagando e ancor più pagheremo”. “L'Avvocatura resterà in prima linea a tutela della nostra democrazia, ma non può e non deve essere lasciata sola”, conclude Mascherin. . Il Presidente dell'Avvocatura istituzionale italiana ha perfettamente ragione: "basta al ribasso in materia di diritti fondamentali... deve dirsi basta all'idea che si possa o si debba risparmiare in Giustizia, Salute, Sicurezza, Istruzione" . Bene ha fatto, l'Avvocatura, a richiamare i 4 capisaldi della nostra Costituzione, troppo spesso dimenticati dai centri di potere che contano e dalle loro marionette in politica. Ci piace sottolineare, per quel che riguarda la nostra Associazione, che crediamo così tanto a questi Principi che li abbiamo richiamati nel nostro Statuto, oltre che nella stessa denominazione. E' giunto il momento che i lavoratori della Giustizia (in primis Magistrati e Avvocati) , della Salute (Medici e Infermieri) , dell'Istruzione (Insegnanti) e della Sicurezza (Forze Armate, Forze di Polizia, Servizi di Sicurezza) recuperino l'orgoglio della propria insostituibile Funzione Pubblica , ma è altrettanto essenziale che chi di dovere si decida una volta per tutte a non considerare questi lavoratori e la loro Funzione come numeri da sacrificare sull'altare del "dio-finanza" . Con l'andazzo attuale non faremo molta strada, e non è fantasioso prevedere che lo Stato , così continuando, andrà gambe all'aria... A.S. non rompere i coglioni - rivolto ai carabinieri - integra il reato di oltraggio a p.u.Per la sussistenza del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale non si richiede il dolo specifico essendo sufficiente la consapevolezza, nel soggetto attivo, dei significato oltraggioso delle parole usate. Tale consapevolezza è in re ipsa quando l’espressione, pur se entrata in uso corrente, non ha perso il suo significato di disprezzo dell’operato altrui (nella specie l’imputato aveva esclamato “a quest’ora mi avete rotto i coglioni, io debbo andare a casa”). (Sez. 6, n. 7837 del 26/02/1981 Rv. 150084). Nella specie, la sentenza liberatoria si fonda sull’assunto che l’espressione rivolta ai carabinieri non integra gli estremi dei delitto contestato, non essendo diretta a ledere l’onore o il prestigio dei pubblici ufficiali, richiamando giurisprudenza di legittimità riferite ad analoghe espressioni ritenute prive di contenuto offensivo nei riguardi dell’altrui onore o decoro, benché proposte con terminologia scomposta ed ineducata.
G.L. Cassazione Penale n. 6101/2015 "IMU" E “RIMBORSO
FORFETTARIO” PER IL PERSONALE DEL COMPARTO SICUREZZA
Una specifica agevolazione in materia di IMU in favore, tra gli altri, degli appartenenti al comparto “Sicurezza e Difesa”. Nel dettaglio, al fine di tutelare il predetto personale, come noto soggetto a trasferimenti di sede, a decorrere dal 1° luglio 2013 non sono più richiesti i requisiti della dimora abituale e della residenza anagrafica, nel comune in cui insiste l'unico immobile posseduto e non concesso in locazione dai suddetti appartenenti, ai fini della qualificazione come abitazione principale (art. 2, Co. 5 del D.L. n.102/2013. Detta previsione è stata confermata dall'art. 1 Co. 707 della L. n. 147/2013.
In risposta ad un 'apposita istanza di interpello avanzata dal Comando Generale della Guardia di Finanza, inoltre, l'Agenzia delle Entrate ha confermato la correttezza dell'interpretazione prospettata dal Corpo riguardo al c.d. “rimborso forfettario” percepito a titolo di ristoro delle spese di vitto e alloggio sostenute in caso di missione fuori dalla sede di servizio – dal personale delle forze di Polizia, ai sensi dell'art. 36, Co. 12 del D.P.R. n. 51/2009, inequivocabilmente ammettendo che il relativo importo non concorre alla formazione del reddito del percipiente, a norma dell'art. 50 del D.P.R. n.917/1986. G.L. IL DISSENSO AL TRASFERIMENTO DEVE ESSERE MOTIVATOl'art. 42 bis del D. Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, introdotto dall'art. 3 comma 105, della legge 24 dicembre 2003 n. 350, prevede che "Il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L'eventuale dissenso deve essere motivato. L'assenso o il dissenso devono essere comunicati all'interessato entro trenta giorni dalla domanda";
TAR Piemonte n. 988/2013 G.L. PORTO D'ARMI - e' immotivato il diniego del rinnovo ad un agente di poliziaAbbiamo inteso riproporre l'esposizione effettuata dall' Avv. Francesco Pandolfi, della sentenza del T.A.R. dell'Umbria, così come riportata sul sito: www.StudioCataldi.it
Il Tar Umbria si distingue per il competente tecnicismo trasfuso nella sentenza n. 68/14 del 29.01.2014 in materia di rinnovo di porto d'armi e giudicato amministrativo. Il Tribunale pone il principio in forza del quale il giudicato non restituisce all'Amministrazione una "facolta' di scelta" incondizionata, ma un potere-dovere di adottare un provvedimento di cura dell'interesse pubblico, che non contrasti o eluda il giudicato stesso;inoltre che pur dovendosi salvaguardare la sfera di autonomia e di responsabilita' dell'Amministrazione, grava su quest'ultima l'obbligo di soddisfare la pretesa del ricorrente vittorioso, nell'ottica di leale ed imparziale esercizio del munus publicum oltre che di buonafede e correttezza. Espone l'odierno ricorrente, in qualita' di Sovrintendente di Polizia di Stato in servizio presso la Questura di T., di aver ottenuto sin dal 1xxx licenza di porto d'armi per difesa personale, pur essendo comunque abilitato a portare l'arma d'ordinanza anche fuori servizio. Con decreto prot. n. xxxx la Prefettura ha respinto l'istanza di rinnovo presentata dall'odierno istante, non ritenendo sussistente alcun pericolo attuale. Il P. ha impugnato il suddetto decreto innanzi al Tar che con sentenza passata in giudicato, in accoglimento del ricorso, ha annullato il decreto e intimato all'Amministrazione di rivalutare l'istanza con la massima sollecitudine ed in conformita' ai criteri conformativi ivi stabiliti;in particolare, l'adito Tribunale ha evidenziato la manifesta illogicita' dell'operato dell'Amministrazione, risultando il ricorrente gia' autorizzato all'utilizzo dell'arma da fuoco in dotazione (pistola Be. cal 9 x 19) e limitando la possibilita' di difesa di un agente della Polizia di Stato. Indichiarata esecuzione del giudicato, il Dirigente della Prefettura ha però nuovamente negato al ricorrente il rinnovo della licenza diporto di pistola per uso personale, diversa dall'arma di ordinanza,escludendo la sussistenza di rischi di incolumita' attuali tali da giustificare il rilascio della richiesta autorizzazione, stante il trasferimento del P ad incarichi prettamente amministrativi. L'odierno istante impugna il suddetto provvedimento, deducendo le seguenti censure, cosi' riassumibili: I.Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 10 - bis della L.241/90; elusione del giudicato, sviamento di potere: il provvedimento impugnato sarebbe elusivo del giudicato, non limitandosi la sentenza 259/2012 ad annullare il provvedimento per difetto di motivazione, ma sostanzialmente accertando la spettanza del bene della vita ovvero l'interesse del Pa. apoter utilizzare anche arma diversa da quella d'ordinanza e maggiormente adatta alla difesa personale; in particolare, il giudicato avrebbe oramai definitivamente accertato l'attualita' dell'esposizione al pericolo, ragion per cui l'Amministrazione non avrebbe piu' alcuna discrezionalita' al riguardo, dovendo soltanto dare piena attuazione al decisum; II.Violazione e falsa applicazione dell'art. 42 del TULPS in combinato disposto con l'art. 3 della L. 241/90 e s.m., del DM 371/94; eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e travisamento dei fatti e contraddittorieta': sarebbe del tutto illogico in correlazione al lavoro svolto sino al 2009, ritenere non piu' sussistente l'attualita' del pericolo, in contraddizione con tutti i precedenti provvedimenti autorizzatori rilasciati dal 1992;l'utilizzo di una pistola diversa da quella gia' in dotazione sarebbe funzionale ad una migliore tutela sia per se' che per l'ordine pubblico; III.Violazione e falsa applicazione dell'art. 73 RD 635/40; eccesso di potere per contraddittorieta' ed ingiustizia sotto altri profili:il ricorrente quale agente di pubblica sicurezza, non dovrebbe nemmeno essere autorizzato, ai sensi dell'art. 42 TULPS, all'utilizzo di arma diversa da quella in dotazione, al pari del resto ai magistrati ed ai vice prefetti. Sie' costituito il Ministero dell'Interno, chiedendo il rigetto del gravame, evidenziando: -la generalita' del divieto di porto d'armi, dovendosi limitare il rilascio per difesa personale ai soli casi di effettiva necessita'; -la necessita' di autorizzazione per i Sovrintendenti della Polizia di Stato all'uso di arma diversa da quella d'ordinanza, ai sensi dell'art. 73 del R.D. 635/1940; -il venir meno, allo stato attuale, di qualsivoglia concreto rischio di esposizione a pericolo, non essendosi peraltro registrato alcun episodio di aggressione alla incolumita' personale del Pa., nemmeno in riferimento alla pregressa attivita' svolta; -in materia di autorizzazione al rilascio del porto d'armi cosi' comein ipotesi di rinnovo, il Prefetto avrebbe ampia discrezionalita' enon sarebbe tenuto a motivare puntualmente l'eventuale diniego,secondo consolidata giurisprudenza. Alla camera di consiglio del 2xxxx, con ordinanza e' stata accolta l'istanza di sospensione dell'efficacia del provvedimento impugnato,attesa pur ad un sommario esame tipico della fase cautelare, la sostanziale violazione dei criteri di cui alla sentenza n. 259/2012,in uno con la intrinseca irragionevolezza, stante la legittimazione del ricorrente all'utilizzo permanente della pistola d'ordinanza anche al di fuori del servizio prestato,unitamente alla "verosimile permanenza di una situazione di pericolo attuale tale da legittimare il porto d'armi per uso personale". Le parti hanno svolto difese in vista della pubblica udienza del 19 dicembre 2013, nella quale la causa e' passata in decisione. Il ricorso e' fondato e deve essere accolto. E'materia del contendere la legittimita' del provvedimento con cui la Prefettura in dichiarata ottemperanza alla sentenza emessa dall'adito Tar n. 259/2012, passata in giudicato, ha negato a lricorrente in servizio presso la Questura di T. e adibito a mansioni amministrative, il rinnovo della licenza di porto di pistola per uso personale, diversa dall'arma di ordinanza. Va evidenziato come con la sentenza n. 259/2012, passata ingiudicato, l'adito Tar ha annullato il precedente analogo diniego e intimato all'Amministrazione di rivalutare l'istanza "con la massima sollecitudine" ed in conformita' ai criteri conformativi ivi stabiliti; in particolare,il decisum ha evidenziato la manifesta illogicita' dell'operato dell'Amministrazione, risultando il ricorrente gia' autorizzato all'utilizzo dell'arma da fuoco in dotazione e limitando la possibilita' di difesa di un agente. Ha altresi' escluso il venir meno di ragioni di pericolo per il solo fatto di essere stato adibito dal 2009 a mansioni amministrative,essendo la possibilita' di essere armato anche fuori dal servizio"fatto intrinsecamente indicativo della sussistenza di condizioni di pericolo insite nella natura stessa della funzione". Risulta pertanto oramai coperta dal giudicato, come condivisibilmente prospettato dalla difesa del ricorrente, anche la questione circa la mancata corrispondenza tra la cessazione dal servizio effettivo e l'esposizione al pericolo per la propria incolumita', cosi' come deve essere evidenziata la portata sostanziale del giudicato, non limitato al mero annullamento per difetto di motivazione, ma esteso a profili sostanziali della pretesa azionata dal ricorrente. E' pertanto evidente come il suddetto giudicato non restituisca all'Amministrazione una"facolta' di scelta" incondizionata, ma un potere-dovere di adottare un provvedimento di cura dell'interesse pubblico, che non contrasti o eluda il giudicato;ne deriva che i principi emergenti dalla decisione non possono essere valutati come semplici "obiter dicta", poiche' la loro funzione e' quella di contribuire complessivamente alla concreta individuazione della regola giuridica assunta dalla decisione da eseguire (Consiglio di Stato sez. IV, 22 gennaio 2013, n.369). Da ultimo, si e' autorevolmente osservato che pur dovendosi salvaguardare la sfera di autonomia e di responsabilita' dell'Amministrazione, grava su quest'ultima l'obbligo di soddisfare la pretesa del ricorrente vittorioso, nell'ottica di leale ed imparziale esercizio del munus publicum (art.97 Cost. e Convenzione E.D.U.) oltreche di buona fede e correttezza (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria, 15 gennaio 2013, n.2). Tanto premesso, e' del tutto evidente il contrasto del nuovo provvedimento di rigetto qui impugnato con gli specifici criteri conformativi derivanti dal giudicato, dal momento che l'Amministrazione, a seguito dell'annullamento giurisdizionale, ha nuovamente riproposto il proprio mutato convincimento - in difformita' da quanto ritenuto perun ventennio - circa il venir meno dell'attualita' del pericolo,cosi' alterando l'assetto degli interessi di cui al decisum. Meritano quindi piena condivisione le doglianze. Parimenti fondate risultano le censure dedotte con il II motivo. Ritiene il Collegio che a fronte dell'ormai definitivo accertamento di uno stato di pericolo attuale incombente sulla persona del ricorrente,che comunque lo legittima all'utilizzo permanente della pistola d'ordinanza anche al di fuori del servizio prestato, sia del tutto manifesta l'irragionevolezza dell'impugnato diniego, essendo la fattispecie del tutto differente da quella che si verifica in sede di ordinaria autorizzazione al porto d'armi nei confronti di comuni cittadini, ove vige la regola della eccezionalita' nei confronti di soggetti non abilitati all'uso di armi e per cui la giurisprudenza anche di questo Tribunale ha da sempre evidenziato l'ampia discrezionalita' dell' Autorita' di Pubblica sicurezza. Del resto trattasi anche in questo caso di affermazioni puntualmente gia' contenute nel primo giudicato di annullamento. Alla luce delle esposte considerazioni il ricorso e' dunque fondato, con l'effetto di annullare il provvedimento impugnato e conseguente obbligo della Prefettura di procedere al rinnovo del porto d'armi richiesto dal ricorrente, venendosi ad esaurire il potere esercitato con il secondo giudicato di annullamento. Avv.Francesco Pandolfi G.L. destinazioni di servizio dei marescialli al termine del corso di formazioneAvv. Francesco Pandolfi
cassazionista La nota a commento che segue riguarda la sentenza del Tar Lazio Sez 1bis n.8104/13 ( di accoglimento delle istanze del ricorrente ), molto interessante sotto il profilo della valutazione dell’operato amministrativo in materia di corso di formazione degli allievi marescialli. Nello specifico, il Tribunale ha criticato l’iter procedurale seguito dal Ministero ( carente nell’aspetto motivazionale ), accogliendo il ricorso dell’interessato. Il ricorrente impugna il provvedimento n. 8xxxx12 con il quale il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, al termine del xxx° corso biennale di formazione allievi marescialli, lo ha destinato alla Legione CC "Sxxxx Cxxxxi attribuendogli la destinazione presso il comune di D. L'interessato premette di essersi collocato al xx° posto della graduatoria finale di merito, con punteggio di xxxx su xxx neo promossi. Invitato dall'Amministrazione a segnalare tre preferenze, egli ha indicato nell'ordine: -Legione Toscana; -Legione Lazio; -Legione Emilia Romagna. L'Amministrazione lo ha assegnato, invece, alla Legione Sardegna. Il ricorrente deduce violazione dell'art. 976 c.o.m., difetto di motivazione e disparità di trattamento. Come seguono le censure: 1)l'Amministrazione non ha minimamente preso in considerazione le preferenze indicate dal ricorrente e lo ha destinato in Sardegna, tra l'altro, senza alcuna motivazione; 2)molti neo promossi, collocatisi dopo il ricorrente nella graduatoria finale, sono stati assegnati proprio nelle sedi richieste da quest'ultimo; 3)non sono state indicate le ragioni per cui i soggetti posizionatisi in graduatoria molto al di sotto del ricorrente sono stati destinati nelle sedi prescelte dal Ca.; 4)non risultano accennati, nei provvedimenti, i criteri generali cui l'Amministrazione avrebbe dovuto attenersi nel determinare le sedi di prima assegnazione; 5)l'art. 976 c.o.m. impone all'Amministrazione di seguire un criterio di assegnazione della destinazione sulla base della graduatoria di merito. L'Amministrazione ha depositato documenti e relazione. All'udienza del 1xxxx la causa è stata trattenuta per la decisione Il ricorso è fondato. Recita l'art. 979 c.o.m.: "I marescialli dell'Arma dei carabinieri promossi a conclusione dei corsi di formazione sono assegnati, secondo il vigente profilo d'impiego, di preferenza alle stazioni per compiervi almeno 2 anni di servizio". La disposizione va letta in combinato disposto con il precedente art. 976 c.m.o. ai sensi del quale: "Al termine della fase di formazione l'amministrazione stabilisce, secondo l'ordine della graduatoria di merito, la prima assegnazione di sede di servizio per il militare. 2. Le successive assegnazioni di sede di servizio avvengono d'autorità o a domanda.... omissis..." Nel caso di specie, l'intimata Amministrazione non ha fatto buon governo delle disposizioni che regolano l'impiego dei marescialli al termine del corso di formazione. L'interpretazione sistematica delle disposizioni in esame implica che al termine della fase di formazione l'Amministrazione debba tenere conto (art. 976 c.m.o.) dell'ordine della graduatoria di merito ai fini della prima assegnazione del maresciallo alla sede di servizio. E' la norma stessa, enucleata dal tenore testuale della disposizione in commento, che vincola l'Amministrazione a seguire l'ordine della graduatoria nell'assegnazione delle sedi servizio. Ed infatti, in pedissequa applicazione della prefata disposizione, l'Amministrazione aveva chiesto ai marescialli di indicare tre sedi di preferenza. Il Collegio non ignora la rilevanza che assume l'interesse pubblico primario al corretto andamento dell'Istituzione militare e, dunque, l'opportunità che l'Amministrazione coordini l'assegnazione della sede con le esigenze di servizio alle quali la prima cede. Sennonché, nel caso di specie, l'Amministrazione procedente ha del tutto trascurato le tre preferenze indicate dal ricorrente adducendo, come motivazione peraltro postuma (vedi relazione di servizio), l'opportunità di coprire zone delicate e sensibili con il personale ritenuto più meritevole al corso. Al riguardo, l'Avvocatura dello Stato ha supportato la decisione mediante deposito della circolare 14 ottobre 2002, n. xxxxx con la quale l'Amministrazione ha predefinito i criteri di assegnazione in relazione al profilo di impiego, di carriera e professionale degli appartenenti al ruolo degli Ispettori. L'allegato B) alla lettera circolare prevede che "I criteri di destinazione dei marescialli neo-promossi sono i seguenti: -assegnazione: ad una delle sedi richieste dai frequentatori dei corsi formativi classificatisi nel 1/10, al fine di mantenere l'incentivo necessario a stimolare gli allievi allo studio durante il corso; dei militari più qualificati (ancorché non inclusi nel 1/10) anche a quelle regioni maggiormente impegnate sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica che, sebbene non richieste dagli allievi, necessitano di personale preparato". Nonostante la direttiva sia rimasta inoppugnata, l'operato dell'amministrazione non di meno presta il fianco alle rubricate censure di illogicità e violazione del canone di imparzialità alla luce, non soltanto delle citate fonti normative primarie bensì, anche con riferimento specifico alla circolare de qua. Il Collegio è consapevole della discrezionalità di cui gode l'Amministrazione nell'assegnazione/trasferimento del proprio personale a copertura delle sedi di servizio, trattandosi di attività strettamente funzionale al perseguimento del buon andamento dell'Istituzione militare. Sennonché, quando nel relativo procedimento trovano rappresentazione interessi secondari secondo la scansione dettata dalla fonte primaria (id est, art. 976 c.m.o.) si rende, allora, ancora più stringente l'obbligo di fornire una motivazione puntuale e congruente sulle ragioni sottese alla decisione assunta. L'Amministrazione resistente, con il suo operare, si è riservata, autoreferenzialmente ed apoditticamente, la possibilità di assegnare i marescialli (tranne il 1/10°) a qualunque sede di servizio, trascurando la posizione in graduatoria dei marescialli (art. 976 c.m.o.) nonché le preferenze all'uopo indicate da costoro su sollecitazione della stessa Amministrazione. L'intimato Ministero con il proprio operato, ha finito per favorire arbitrariamente marescialli collocatisi nella graduatoria di merito in posizione poziore rispetto all'interessato – vedi il militare P. collocatosi al xxx° posto e destinato in T., sede da questi prescelta - senza che questo trovi, nei confronti del ricorrente, una plausibile ed evidenziata ragione giustificatrice sul piano del profilo di impiego del militare nonché degli interessi da costui rappresentati in seno al procedimento amministrativo. Va rimarcato, che la stessa Amministrazione si è determinata nel senso di acquisire al procedimento de quo l'interesse dei marescialli, sollecitandoli ad indicare tre preferenze. E' evidente, pertanto, che tale interesse non avrebbe potuto, successivamente, essere del tutto pretermesso senza incorrere in un evidente eccesso di potere. L'illegittimità si coglie ancor più sul piano della irragionevolezza e della violazione della circolare 14 ottobre 2002, ove considerato che i xx militari inviati nella Stazione della S. risultano essersi tutti collocati nella graduatoria di merito con punteggi bassissimi, nelle ultime posizioni. Il ricorrente, nelle note di udienza, ha evidenziato che il militare più vicino alla sua posizione (xx° posto) è E. il quale si è collocato al 1xx° posto; tutti gli altri militari inviati in Sardegna occupano le ultime posizioni, oltre duecento e trecento posti dopo quella dell'interessato. Palesa, dunque, forti perplessità il comportamento dell'Amministrazione, anche e proprio alla luce della menzionata circolare, che ha deciso di assegnare alla stazione in Sardegna 4x marescialli, su xx, tutti collocatisi nelle ultime posizioni in graduatoria (soltanto uno era arrivato tra i primi dieci) includendo tra costoro anche il ricorrente classificatosi, però, al xx° posto; ancor più lo è, ove tenuto conto che il militare P. , collocatosi al xx° posto (dopo il ricorrente), risulta accontentato nella sua richiesta di destinazione in Toscana mentre nessuno dei marescialli collocatisi nelle medesime posizioni del ricorrente è stato preso in considerazione per la sua assegnazione alla stazione de qua. L'Amministrazione èvoca l'art. 979 c.m.o. come disposizione regolatrice della fattispecie. Ad avviso del Collegio, l'ambito oggettivo di applicazione dell'art. 979 cit. è ontologicamente e funzionalmente diverso da quello appena esaminato di cui all'art. 976 cit. regolando, esso, non la sede di servizio del maresciallo (intesa come destinazione geografica), bensì, l'Ufficio/Struttura di assegnazione del medesimo al termine del corso orientando, a tal fine, l'Amministrazione a preferire le "Stazioni" per completarne la formazione iniziale e rimettendo ad essa la possibilità di valutare l'impiego del maresciallo anche in strutture più complesse ove le attitudine di costui lo consentissero. L'Amministrazione, per giustificare l'assegnazione della prima sede in assenza di una adeguata, particolare motivazione, sostiene che il provvedimento de quo appartiene alla categoria degli "ordini". Il Collegio osserva che di "ordini" in senso stretto può parlarsi per le "successive assegnazioni di sede di servizio" le quali "avvengono d'autorità o a domanda" (v. comma 2°, art. 976 c.m.o.). Il provvedimento impugnato, per le ragioni sopra esposte, non si sottrae all'obbligo di una congruente e puntuale motivazione la cui carenza ne inficia, pertanto, la legittimità. Il ricorso è, in conclusione, fondato e va, perciò, accolto, con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato. Avv. Francesco Pandolfi Fonte:StudioCataldi.it G.L. REATI MILITARI, CARABINIERI - CONCORSO IN ABBANDONO DI POSTO E VIOLATA CONSEGNAInseriamo il commento sulla sentenza della S.C. n.34033/2014, ben illustrata dall' Avv. Francesco Pandolfi, riportata sul sito www.StudioCataldi.it
Interessanti ed utilissimi spunti offre la sentenza della Corte di Cassazione Sezione 1 penale n.34033 del 31.07.2014, in materia di concorso in abbandono di posto e violata consegna: la Corte stabilisce che la sentenza impugnata non ha tenuto conto degli elementi emergenti dagli atti e della normativa riguardante il riparto di competenze in materia di pubblica sicurezza; pertanto la annulla senza rinvio perche' il fatto non sussiste. Con la sentenza resa il xxxx3 la Corte militare di Appello riformava parzialmente la pronuncia del 9xxx2, con la quale il Tribunale militare di V. aveva dichiarato l'imputato (OMISSIS) responsabile del reato ascrittogli di "concorso in abbandono di posto o violata consegna", contestatogli perche', nella qualita' di maresciallo aiutante dei Carabinieri in servizio presso il primo battaglione Carabinieri "Piemonte" in (OMISSIS), comandato di servizio di ordine pubblico presso la (OMISSIS) in occasione di un concerto musicale, abbandonava il posto assegnato con ordine di servizio nr. (OMISSIS) (ingresso di (OMISSIS)) per trasportare all'interno dell'area del concerto, in almeno due occasioni, alcune persone prive di biglietto o comunque violava la consegna, non svolgendo il previsto servizio di ordine pubblico nel periodo di tempo utilizzato per gli spostamenti col mezzo di servizio e lo aveva condannato alla pena di mesi quattro di reclusione con i doppi benefici di legge e la pena accessoria della rimozione dal grado. La Corte di Appello eliminava, invece, detta sanzione e confermava nel resto l'impugnata sentenza, rilevando la superfluita' della rinnovazione dell'istruttoria chiesta dalla difesa in ragione della prova documentale circa la consegna ricevuta dall'imputato e l'indiscussa acquisizione di elementi sul comportamento dallo stesso tenuto; nel merito, ribadiva che la perentorieta' della consegna, indicativa dell'ingresso di via (OMISSIS) non come punto di adunata, ma di svolgimento del servizio di ordine pubblico, non gli avrebbe consentito di trasferirsi in luogo diverso dal posto assegnato, anche se da tale diversa posizione lo avesse potuto controllare e se tale modalita' costituisse quella migliore di espletamento del servizio, l'irrilevanza della chiamata telefonica effettuata al centro operativo e della condotta tenuta dopo il richiamo del cap. (OMISSIS), essendo in contestazione quella antecedente. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del difensore, il quale ha dedotto: a) violazione di legge in relazione alle norme di cui al Regio Decreto 14 giugno 1932, n. 1169, articoli 54 e 79, agli articoli 216 e 217 regolamento generale dell'arma dei Carabinieri, all'articolo 120 c.p.m.p., Legge 121/81. La Corte di appello non aveva considerato che la consegna impartita al ricorrente non era costituita dall'ordine di servizio del 12 luglio, quanto piuttosto dagli atti precedenti del Questore e del Comando Provinciale Carabinieri di T., quest'ultimo dipendente funzionalmente per l'impiego dal primo, sicche' l'unico ordine impartito dal comandante del battaglione o della compagnia era quello di recarsi nel luogo dell'adunata e la localita' (OMISSIS), ingresso (OMISSIS), costituiva soltanto il luogo di adunata delle forze impiegate nel servizio di ordine pubblico, mentre nel resto era il comandante della compagnia Carabinieri di V. R. a dover impartire un ordine di servizio, ma questi per sua ammissione si era presentato ore dopo l'arrivo dei militari al comando del ricorrente, il quale aveva disposto i propri uomini in modo da controllare gli ingressi in concomitanza con l'afflusso degli spettatori e, prima di spostarsi, aveva avvertito telefonicamente il centro operativo alla ricerca del proprio superiore. Erroneamente e' stato ritenuto che egli non avesse avuto la possibilita' di spostarsi di pochi metri per andare alla ricerca del comandante e l'irrilevanza dell'ottemperanza agli ordini impartitigli, quando presentatosi, dal cap. (OMISSIS), si sono confusi i concetti di posto e di consegna, senza considerare che l'abbandono di posto e' una fattispecie qualificata della violazione di consegna e che nel caso sino agli ordini dettati dal predetto capitano non era stata impartita alcuna consegna ed il ricorrente era sempre rimasto all'interno della (OMISSIS) in prossimita' del parcheggio J., per cui l'essersi allontanato di pochi metri dall'ingresso su via (OMISSIS) per cercare il comandante o salutare la propria figlia non assume alcun rilievo e non costituisce abbandono del posto; b) Violazione di legge in riferimento agli articoli 190, 190 bis e 495 c.p.p. e degli articoli 24 e 111 Costo, dell'articolo 6 paragrafo 3 CEDU per il diniego di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, frutto della negazione del contraddittorio e del diritto di difesa, mentre i testi indicati nell'apposita e tempestiva lista avrebbero dovuto dimostrare la verificazione di situazioni contingenti, quali l'assenza del capitano e le sue protratte ricerche mediante comunicazioni via radio e chiamate al centro operativo, nonche' la pressione della folla degli avventori sulla zona di controllo dei biglietti, tali da giustificare lo spostamento del ricorrente in altra posizione; c) Nullita' della sentenza ed erroneita' dei criteri di valutazione del materiale probatorio e vizio di motivazione circa l'utilizzo probatorio delle testimonianze rese dal cap. (OMISSIS), dal maggiore (OMISSIS) e dal capitano (OMISSIS), dei quali il primo non aveva rilevato alcuna irregolarita' nella prestazione del servizio da parte di esso ricorrente, mentre l'iniziativa l'aveva assunta il cap. (OMISSIS) che pero' non aveva consegnato personalmente il foglio definito ordine di servizio che in realta' era il luogo di adunata. In modo erroneo anche i giudici di appello hanno ritenuto che il ricorrente si fosse spostato per consentire ad alcuni civili di fare ingresso nell'area recintata del concerto in modo gratuito o piu' agevolmente, senza pero' che egli, nessuno dei suoi sottoposti o dei mezzi d'istituto fossero usciti dall'area della manifestazione, per cui l'accusa era stata ritenuta provata sulla base di fumose ed inattendibili dichiarazioni, riportate diffusamente, mentre alcuna attenzione era stata dedicata alle prove a discarico. Il ricorso e' fondato e merita accoglimento. Per ragioni di ordine logico, prima ancora che giuridico e per il suo rilievo potenzialmente dirimente, va affrontato in via preliminare il secondo motivo di gravame. La sentenza impugnata ha respinto le istanze di parziale rinnovazione dell'istruttoria, gia' avanzate dalla difesa, ritenendo che le testimonianze richieste non fossero idonee ad apportare al processo informazioni rilevanti per la decisione in ragione della natura dell'addebito mosso all'imputato, del fatto che la consegna impartitagli era attestata da documenti gia' acquisiti al processo e di sicura provenienza, di cui la prospettazione difensiva contestava soltanto il contenuto ed il valore giuridico e della non controversa ricostruzione degli spostamenti effettuati dall'imputato, essendo piuttosto divergente tra le parti l'indicazione delle ragioni giustificative. Ha completato l'analisi della questione con il rilievo dell'ininfluenza delle spiegazioni fornite dal ricorrente ed eventualmente confermabili attraverso le testimonianze richieste per l'assorbente rilievo della impossibilita' giuridica per l'imputato di disattendere la consegna e scegliere modalita' difformi di esecuzione del servizio, anche in ragione del fatto che le presunte esigenze di trasferimento non integravano eventi del tutto eccezionali e di particolare allarme, nemmeno dedotti e non ravvisabili in quelle situazioni "contingenti" indicate anche in ricorso. E' dunque evidente che difettano i profili di decisivita', ma anche di semplice rilevanza, delle prove non ammesse, dal momento che dalla loro assunzione, secondo la valutazione effettuatane dai giudici di merito in modo logico e ben argomentato, non avrebbe potuto discendere un diverso esito decisorio del processo, condizionato dalla questione di diritto circa l'individuazione della consegna e della sua efficacia vincolante per il militare che ne sia destinatario. In punto di diritto e' opportuno ricordare che la norma di cui all'articolo 603 c.p. in tema di rinnovazione dell'istruttoria in appello contiene previsioni differenziate, a seconda che si tratti di prove preesistenti o concomitanti al giudizio di primo grado, ovvero di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio. Nel primo caso, il giudice d'appello deve disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti. Questa disciplina si fonda sul principio di presunzione relativa di esaustivita' e completezza dell'indagine istruttoria condotta nel grado precedente, ed e' oggetto di valutazione discrezionale del giudice d'appello, non rimessa alla disponibilita' delle parti processuali, sulle quali grava soltanto l'onere di allegazione, ossia di indicazione dei mezzi di prova da assumere e della loro necessita'; la rinnovazione del dibattimento in appello e' dunque delineata come istituto di carattere eccezionale, al quale puo' farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nell'ambito dei suoi poteri di apprezzamento discrezionale, di non potere decidere sulla base degli elementi gia' acquisiti. Pertanto, quando le richieste della parti siano respinte, la motivazione potra' anche essere implicita e desumibile dalla struttura argomentativa della sentenza d'appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti all'affermazione o alla negazione di responsabilita' dell'imputato, richiedendosi una puntuale giustificazione, invece, nel caso di ammissione della prove che non siano nuove o sopravvenute. Nel diverso caso di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice deve procedere alla rinnovazione dell'istruttoria, fermi restando i limiti di cui all'articolo 495 c.p.p. riguardanti il diritto alla prova ed i requisiti della stessa. Orbene, nel caso in esame, da un lato il giudice di merito ha dimostrato in positivo, con spiegazione immune da vizi logici e giuridici, la concludenza delle prove gia' acquisite e, dall'altro il ricorrente non ha dimostrato l'esistenza, nel percorso motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicita' su punti di decisiva rilevanza, le quali avrebbero potuto essere evitate qualora si fosse provveduto all'assunzione dei testi dallo stesso indicati, le cui informazioni avrebbero potuto svalutare il peso del materiale probatorio raccolto e valutato. Quanto al merito dell'imputazione, l'impugnazione prospetta fondate censure, gia' esaminate dalla Corte di merito, ma non adeguatamente e correttamente risolte. In particolare, detta Corte ha ritenuto di disattendere la tesi difensiva che pretende di interpretare l'ordine, impartito al m.llo (OMISSIS) per iscritto e contrassegnato dal nr. (OMISSIS) con nota del 1xxxx0, recapitatagli in busta chiusa, del seguente tenore "O.P. concerto (OMISSIS) 19,00/fine (OMISSIS) (ingresso (OMISSIS))" quale mera indicazione del luogo di adunata del contingente di dieci carabinieri, dallo stesso imputato comandato per svolgere il servizio di ordine pubblico, richiesto e disposto dal Questore di T. Al riguardo ha rilevato che tale autorita' e' estranea alla gerarchia militare e che la sua ordinanza ha ispirato la precisa consegna impartita all'imputato dai militari a lui sovraordinati senza che gli fosse stato consentito discostarsi da tali precise indicazioni. In tal modo i giudici di appello non hanno affrontato, ne' propriamente inteso la specifica questione, sollevata dalla difesa, circa la competenza ad emettere l'ordine di servizio nel caso specifico. Invero, che il Questore non appartenga alla struttura militare costituisce argomento irrilevante, dal momento che a norma della L. 121/81 rappresenta l'autorita' di pubblica sicurezza in ambito provinciale e che ad esso sono conferiti i poteri di direzione, responsabilita' e di coordinamento a livello tecnico operativo dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e dell'impiego in essi della forza pubblica e delle altre forze a sua disposizione. Nel caso specifico il Questore si era limitato a richiedere l'impiego di dieci carabinieri presso la (OMISSIS) in occasione della manifestazione canora ed a prevedere che il drappello fosse a disposizione del Comandante della Compagnia Carabinieri di V. R., a cio' delegato; l'attuazione concreta e l'organizzazione del servizio era avvenuta mediante l'indicazione da parte del Comando Provinciale Carabinieri di T. che il luogo di adunata era (OMISSIS), giardini reali presso la Reggia con ingresso di via (OMISSIS) al fine di realizzare un presidio di ordine pubblico, mentre il successivo ordine nr. (OMISSIS) emanato dal Comandante della prima compagnia del primo Battaglione Carabinieri P. del 1xxxx1 non avrebbe potuto impartire disposizioni tassative e vincolanti, costituenti la consegna del militare destinatario, in quanto non a cio' competente. Invero, secondo quanto previsto dall'articolo 216 del regolamento generale dell'Arma dei Carabinieri, u.c., che ribadisce la ripartizione delle attribuzioni tra funzionari di pubblica sicurezza ed appartenenti all'Arma, qualora i primi non abbiano diramato specifiche indicazioni su organizzazione e modalita' attuative dei servizi, spetta agli ufficiali o sottufficiali dei Carabinieri, comandanti territoriali, provvedervi secondo il grado e le previsioni delle leggi di pubblica sicurezza, mentre l'articolo 217 dello stesso regolamento stabilisce che in caso di riunioni o manifestazioni pubbliche, dirette da ufficiali o sottufficiali, comandanti territoriali, spetti a costoro formare drappelli, posti al comando di sottufficiali o graduati, per impiegarli nel modo ritenuto piu' idoneo in relazione alle finalita' del servizio secondo compiti assegnati a ciascun militare mediante "precise consegne". Ebbene, nel caso specifico, all'ufficiale Comandante territoriale, ossia al capitano (OMISSIS), posto al comando della Compagnia di Venaria Reale, non soltanto competevano funzioni di pubblica sicurezza, delegate espressamente dal Questore con la sua ordinanza dell'11 luglio 2010, ma altresi' la specificazione delle concrete modalita' di espletamento del servizio, costituenti la "consegna" da rispettare, cosa cui non aveva effettuato, ne' per iscritto con un atto formale e nemmeno verbalmente, dal momento che alle ore 1xxx quando il contingente comandato dal m.llo (OMISSIS) si era attestato nei pressi dell'ingresso alla (OMISSIS) da via (OMISSIS) egli era assente e tale sarebbe rimasto a lungo, sebbene l'imputato avesse tenta di contattare la centrale operativa per conferire con il predetto capitano, comparso soltanto a distanza di un'ora o piu' per sua stessa ammissione. Pertanto, deve convenirsi con la difesa che l'ordine nr. (OMISSIS), impartito dal Comandante dell'unita' da cui dipendeva l'imputato poteva solamente stabilire la partecipazione dello stesso al servizio, attribuirgli l'incarico di comandare il contingente e determinare il luogo della sua adunata, mentre poi in concreto sarebbe spettato all'ufficiale comandante territoriale stabilire come svolgere il servizio stesso e, in sua assenza, allo stesso imputato, militare di grado piu' elevato nella situazione specifica. Ne discende che l'eventuale violazione del provvedimento ed il temporaneo trasferimento dal luogo di adunata non assume rilievo al fine di integrare la fattispecie di violata consegna o abbandono del posto, assegnato in modo vincolante mediante un ordine di servizio valido e cogente, anche tenuto conto del fatto che il percorso seguito dall'imputato con la vettura di servizio si era limitato, secondo quanto risulta dalle sentenze di merito, a poche decine di metri, non aveva comportato l'abbandono dell'area, ne' compromesso in alcun modo lo svolgimento del servizio di ordine pubblico. Inoltre, anche sotto il profilo soggettivo rileva che l'imputato prima di effettuare qualsiasi spostamento avesse cercato di mettersi in contatto col comandante territoriale, senza esservi riuscito e che quando costui era comparso sulla scena ed aveva ordinato di assestarsi presso l'ingresso di via (OMISSIS), impartendo in tal modo specifiche e chiare prescrizioni per l'adempimento del servizio, l'imputato vi avesse prontamente ottemperato. La sentenza impugnata non ha tenuto conto dei superiori elementi, emergenti dagli atti e della normativa riguardante il riparto di competenze in materia di pubblica sicurezza; va dunque annullata senza rinvio perche' il fatto non sussiste. Avv. Francesco Pandolfi Fonte:(www.StudioCataldi.it) G.L. CARABINIERE SUGGERISCE L'AVVOCATO ALL'ARRESTATO - ABUSO D'UFFICIOCon la sentenza impugnata veniva confermata la sentenza del Tribunale di Cagliari del 30/11/2012, con la quale...X.... era ritenuto responsabile del reato continuato di cui agli artt. 323 e 479 cod. pen., commesso fino al 13/04/2007, quale maresciallo in servizio presso le Stazioni dei Carabinieri di Sinnai prima e di Quartu S. Elena poi, nominando l'avv. Y difensore d'ufficio degli arrestati , nonostante lo stesso non fosse inserito nell'elenco dei difensori reperibili predisposto dal locale consiglio dell'ordine degli avvocati, sollecitando gli arrestati, o i congiunti degli stessi a nominare l'avv. .Y quale difensore di fiducia ed attestando falsamente, nei verbali, che l'arrestato era stato interpellato con esito negativo circa la volontà di nominare un difensore di fiducia.
G.L. Cassazione_penale_sentenza_3_ottobre_2014_n._41191 LA MALATTIA NON PUO' SOSPENDERE LA MATURAZIONE DELLE FERIEE' interessante il passo, di seguito riportato, secondo cui, la Corte di Cassazione , sez. Lavoro, con sentenza 14 aprile – 29 luglio 2014, n. 17177, afferma, in sostanza, che la malattia non può sospendere la maturazione delle ferie.
Per completezza è da aggiungere che anche le argomentazioni poste a base delle censure risultano estremamente generiche e si risolvono nell'affermazione apodittica della prospettata violazione delle norme richiamate non seguita da dimostrazione adeguata, tanto più in considerazione della conformità della decisione assunta dalla Corte milanese a Cass. SU 12 novembre 2001, n. 14020 (e alla successiva giurisprudenza di legittimità ad essa conforme), secondo cui "il diritto del lavoratore alle ferie annuali, tutelato dall'art. 36 Cost., è ricollegabile non solo ad ima funzione di corrispettivo dell'attività lavorativa, ma altresì - come riconosciuto dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 616 del 1987 e n. 158 del 2001 - al soddisfacimento di esigenze psicologiche fondamentali del lavoratore, il quale - a prescindere dalla effettività della prestazione - mediante le ferie può partecipare più incisivamente alla vita familiare e sociale e può vedersi tutelato il proprio diritto alla salute nell'interesse dello stesso datore di lavoro; da ciò consegue che la maturazione di tale diritto non può essere impedita dalla sospensione del rapporto per malattia del lavoratore e che la stessa autonomia privata, nella determinazione della durata delle ferie ex art. 2109, capoverso, cod. civ., trova un limite insuperabile nella necessità di parificare ai periodi di servizio quelli di assenza del lavoratore per malattia". G.L.
MILITARI - SICUREZZA SUL LAVORO - RISARCIMENTO DANNI .Militari: sicurezza sul lavoro, risarcimento danni per euro 150.000,00 oltre interessi
Avv. Francesco Pandolfi cassazionista Un nota di commento alla sentenza n. 2020/12 del Tar Lombardia – Brescia sez. 1 - in tema di sicurezza sul lavoro in ambito militare e risarcimento dei danni biologico, morale, psichico, esistenziale, alla vita di relazione e alla dignità personale anche per violazione di norme antinfortunistiche da parte dell’amministrazione. Il principio generale ricavabile dalla lettura del testo della sentenza offre e conferma le preziose linee guida da utilizzare per la domanda di danni anche avanti il Tar, similmente a quanto accade per le istanze promosse davanti il Giudice Ordinario o al Magistrato del Lavoro. I criteri per approdare alla prova del danno sono: 1) il ricorrente deve provare i fatti costitutivi dell'obbligazione, ovvero il titolo di essa, 2) può limitarsi ad allegare il fatto dell'inadempimento, 3) deve provare il danno subito e il nesso causale fra l'inadempimento ed il danno ( così in termini generali ma la soluzione, nel senso che il danneggiato possa limitarsi ad allegare l'inadempimento, è costante a partire dalla nota Cass. civ. S.U. 30 ottobre 2001 n. 13533 ). Con ricorso 2008, A. ha premesso di essere militare in sevizio nell'Arma dei Carabinieri, di esser stato ricoverato d'urgenza il 1xxxx presso l'Ospedale di C., di avere ricevuto in tale occasione la diagnosi di sclerosi multipla, di esser stato quindi, in dipendenza dalla malattia contratta, trasferito presso la Stazione CC di C. quale addetto al servizio rilevamento dati, mansione che comportava anche la necessità di archiviare manualmente pesante materiale cartaceo, posto su scaffali a notevole altezza; di essere, asseritamente a causa delle sue precarie condizioni di salute, precipitato da una scala utilizzata per tale mansione e di avere per tal fatto subito un danno alla persona, a suo dire dovuto a negligenza dell'amministrazione sua datrice di lavoro; ha pertanto concluso per la condanna della stessa al ristoro del danno patito. Ha resistito alla domanda l'amministrazione della Giustizia, con memoria formale nella quale ha chiesto la reiezione del ricorso. Il Collegio ha disposto CTU medico legale sui fatti di causa, intesa ad appurare quanto richiesto dal ricorrente nei termini di cui in epigrafe; la Sezione ha inoltre disposto la comparizione personale del CTU per chiarimenti, indi ha ritenuto la causa non compiutamente istruita quanto agli aspetti medico legali, e più specificamente quanto all'influenza della patologia già in essere a carico del ricorrente sull'allegato infortunio, quanto alla eziologia dell'allegato danno e quanto alla misura di esso ed ha disposto la rinnovazione della CTU, affidandola a diverso consulente. La domanda del ricorrente nel merito è da ritenersi fondata. Occorre ricordare che A. ha agito nella presente sede per sentir condannare l'amministrazione di appartenenza al risarcimento del danno asseritamente arrecatogli a titolo di responsabilità contrattuale: tale dato non muta anche osservando che il richiamo al "contratto di lavoro" è giuridicamente impreciso, trattandosi propriamente di militare legato all'amministrazione da un rapporto di servizio: anche da tale rapporto, così com'è pacifico, sorgono diritti ed obblighi delle parti, il cui inadempimento può generare responsabilità civile: in tal senso, per implicito ma inequivocabilmente, TAR Puglia Bari sez. III 27 gennaio 2011 n. 190, che si cita per tutte, in quanto relativa al caso analogo di un militare della Guardia di Finanza. La giurisprudenza, nel caso particolare, che qui rileva, del rapporto concernente una prestazione lavorativa, in cui si faccia valere la responsabilità del datore per infortunio subito dal dipendente, traduce le regole generali in materia di danno nell'equivalente massima secondo la quale il lavoratore ha il solo onere di provare il fatto costituente l'inadempimento e il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento e il danno; non deve invece provare la colpa del datore di lavoro, nei cui confronti opera la presunzione posta dall'art. 1218 c.c.: così per tutte Cass. civ. sez. lavoro 19 giugno 2007 n°16003 ( in termini logici, è infatti chiaro che dover provare il fatto storico dell'inadempimento, ma non la colpa della controparte, significa avere l'onere di provare che l'obbligazione sussiste con certi connotati, ma potersi limitare all'allegazione dell'inadempimento ). A riprova, la stessa giurisprudenza in tema di infortuni sul lavoro è costante nell'affermare che, a fronte della prova suddetta da parte del lavoratore, il datore può andare esente da responsabilità solo se a sua volta provi che il danno è avvenuto per causa a lui non imputabile, ovvero in concreto se dimostri di avere adottato tutte le cautele necessarie, che per inciso possono anche non esaurirsi nel mero rispetto di misure antinfortunistiche tipiche indicate dalla legge. Le regole così delineate si applicano infine anche al caso di specie, di militari dipendenti dalla relativa amministrazione: così la già citata TAR Puglia Bari sez. III n. 190/2011, nonché Cass. pen. sez. IV 14 maggio 2002 n. 34345, per l'esplicita affermazione secondo la quale l'obbligo di rispettare le norme antinfortunistiche sussiste anche nei riguardi del personale militare nell'ambito delle relative strutture. Nel caso di specie, applicando le regole esposte, ritiene il Collegio che sussistano tutti gli estremi per accogliere la domanda risarcitoria di A. In primo luogo, il ricorrente ha provato i fatti storici presupposto dell'obbligazione inadempiuta, ha cioè dato la prova di essere militare in servizio nell'Arma dei Carabinieri sin dal 1xxx; di essersi ammalato il 1xxxx di quella che all'inizio venne qualificata come "malattia demielinizzante" e successivamente in modo più preciso come "sclerosi multipla", e di essere stato successivamente assegnato - su propria domanda e non d'ufficio, come invece sostenuto nel ricorso, anche se il dato appare ai fini di causa non influente - alla Stazione C.C. di C. quale "addetto al rilevamento dati". Si deve poi tener conto, ai fini suddetti, ma anche più in generale per la prova di tutti gli ulteriori fatti di causa rilevanti, della condotta processuale della p.a. intimata, la quale ha solo chiesto "cautelativamente" il rigetto del ricorso. In proposito, il Collegio deve ripetere quanto già affermato nella propria sentenza 9 giugno 2011 n. 860, peraltro conforme a consolidati principi dottrinali e giurisprudenziali. Da un lato, ai sensi dell'art. 39 comma 1 c.p.a., che peraltro riproduce una precedente norma applicata in via pacifica, al processo innanzi al giudice amministrativo "si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali"; dall'altro, così come affermato in giurisprudenza, è necessario, se non altro per il rispetto del principio di uguaglianza, riconoscere alle situazioni giuridiche dei pubblici dipendenti, pur se devolute come nel caso presente alla giurisdizione esclusiva del G.A., un trattamento processuale non deteriore rispetto a quello accordato agli altri lavoratori; su detta linea, in particolare, C. cost. 28 giugno 1985 n. 190 ha dichiarato illegittimo l'art. 21 dell'allora vigente l. TAR nella parte cui non riconosceva agli stessi la medesima tutela cautelare disponibile presso il Giudice ordinario del lavoro. In tale quadro concettuale, non si può non ritenere applicabile al giudizio su un rapporto di pubblico impiego non contrattualizzato in sede di giurisdizione esclusiva il principio di cui all'art. 416 comma 3 prima parte c.p.c., che è indubbiamente tale se non altro perché conforme al novellato art. 167 c.p.c.: il convenuto nel processo di lavoro nel primo suo atto difensivo "deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda". Con riguardo alle circostanze specifiche, del rapporto di servizio, dell'iniziale malattia del ricorrente e della sua assegnazione a C., va comunque detto, ad abbondanza, che si tratta di fatti non contestati anche in prosieguo di causa. Il ricorrente ha poi provato la specifica obbligazione inadempiuta, ovvero il fatto storico dell'infortunio sul lavoro occorsogli: presso la Stazione di C., egli venne adibito in particolare al Casellario, e in tale mansione, avente in buona sostanza contenuto archivistico, si trovò nella necessità di spostare a mano, per prelevarli dalle scaffalature e riporli, pesanti faldoni cartacei; nell'espletare tale attività salì su una scala in dotazione per sistemare alcuni fascicoli che reggeva in mano, perse l'equilibrio, precipitò dalla scala stessa da una altezza di circa tre metri e batté il capo sul pavimento, perdendo i sensi e venendo ricoverato all'ospedale. Il ricorrente ha infine dato la prova del danno subito e del nesso causale fra l'inadempimento ed il danno. Le conclusioni dell’ulteriore CTU, sono risultate sostanzialmente in linea con quelle della CTU C. per quanto riguarda l'accertamento della patologia in atto e delle relative cause, e quindi ne costituiscono una sostanziale conferma di validità sul punto, discostandosene solo in punto di liquidazione del danno. Il Collegio condivide appieno le conclusioni delle CTU svolte, ritenendosi accertato che A., a causa del trauma subito, ebbe a soffrire una lesione inquadrabile "nella compromissione delle funzioni cognitive" compromissione che è ulteriormente descritta nella CTU dott. S. in termini di difficoltà a concentrarsi, a mantenere l'attenzione, ad apprendere e a ricordare. Il CTU dott. C. qualifica poi in termini sintetici tale patologia come "danno aggiuntivo rispetto alla patologia preesistente", ovvero alla sclerosi multipla in essere, e il CTU dott. S. è concorde con tale conclusione. E’ interessante notare che a tali considerazioni di ordine prettamente medico legale sul nesso di causalità fra l'infortunio occorso e il danno subito, ne va ad abbondanza aggiunta un'altra che assume valore per lo meno indiziario: vi è infatti anche l'apprezzamento dell'amministrazione, la quale, come da verbale 2xxx della Commissione medica di B., richiesta dal Comando C.C. di appartenenza, ebbe a giudicare come dipendente da causa di servizio il trauma cranico occorso. Se è vero che il giudizio della Commissione è limitato, dichiaratamente, al solo trauma cranico, non si deve infatti sottacere che nel verbale relativo si parla degli "esiti" del trauma in questione e si dà ampio conto della situazione neurologica del paziente. L'amministrazione, infine, non ha dato prova alcuna della dipendenza dell'infortunio da causa ad essa non imputabile, nel senso di avere adottato tutte le misure antinfortunistiche idonee nel caso concreto; di contro, è stata raggiunta la prova positiva che carenze nelle misure antinfortunistiche vi furono. L'amministrazione non ha contestato la complessiva ricostruzione dell'infortunio svolta dal ricorrente; per quanto attiene all'uso delle scale, esiste in proposito una disciplina specifica, che all'epoca dei fatti era quella di cui agli artt. 18 e ss d.p.r. n.547/55 e 8 del d.p.r. n.164/56, sicuramente applicabili anche all'amministrazione militare: non risulta infatti che un uso potenzialmente pericoloso delle scale a mano faccia parte delle "particolari esigenze connesse al servizio espletato" che ai sensi della norma in questione limitano l'applicazione delle norme antinfortunistiche ai Corpi militari ed equiparati. Rileva in particolare l'art. 19 del D.P.R. 547/1995, secondo il quale "quando l'uso delle scale, per la loro altezza o per altre cause, comporti pericolo di sbandamento, esse devono essere trattenute al piede da altra persona"; rileva ancora l'art. 8 del D.P.R. 164/1956, per cui "durante l'uso le scale devono essere sistemate e vincolate. All'uopo, secondo i casi, devono essere adoperati chiodi, graffe in ferro, listelli, tasselli, legature, saettoni, in modo che siano evitati sbandamenti, slittamenti, rovesciamenti, oscillazioni od inflessioni accentuate (comma 4). Quando non sia attuabile l'adozione delle misure di cui al precedente comma, le scale devono essere trattenute al piede da altra persona (comma 5)." E' poi rilevante anche il disposto dell'art. 113 comma 7 d.lgs. n.81/08 che, pur non in vigore all'epoca dei fatti, appare a sua volta recepire regole di buona prassi e comune diligenza da osservare in ogni caso: esso dispone che "Il datore di lavoro assicura che le scale a pioli siano utilizzate in modo da consentire ai lavoratori di disporre in qualsiasi momento di un appoggio e di una presa sicuri. In particolare il trasporto a mano di pesi su una scala a pioli non deve precludere una presa sicura." Alla luce di quanto appena esposto, si deve concludere che nell'infortunio occorso ad A. la condotta dell'amministrazione va qualificata come negligente; tra l’altro, in tale contesto l'amministrazione stessa provvide a nominare i rappresentanti per la sicurezza solo nel maggio 1998, ovvero a più di tre anni di distanza dall'entrata in vigore del d. lgs. 626/94 (pubblicato in G.U. il 12 novembre 1994 ed entrato in vigore, secondo la regola generale il quindicesimo giorno successivo): si tratta ad avviso del Collegio di una violazione del sopra ricostruito obbligo di diligente promozione, considerando sia il tempo passato sia il modesto onere economico connesso a tale adempimento. In proposito, non vi è poi dubbio che la nomina tempestiva del rappresentante, incaricato come per legge di segnalare le carenze nella prevenzione infortuni, avrebbe potuto evitare il fatto, ad esempio promuovendo una più tempestiva eliminazione delle scale in questione. Per completezza va considerata di per sé negligente la condotta dell'amministrazione che nella specie adibì A. ai descritti compiti di archiviazione: questa non disconobbe le condizioni particolari del ricorrente attivandosi per trovargli una sede di servizio che lo potesse agevolare, ma essendosi assunta tale obbligo, doveva secondo logica adempierlo in modo compiuto, verificando che le mansioni in concreto assegnate fossero effettivamente adatte alle condizioni di A, il che come si è detto invece non si verificò. In punto di quantificazione e liquidazione del danno, essa si compie con il noto sistema della tabella dei punti percentuali di invalidità, ad ognuno dei quali, in relazione con l'età del soggetto, corrisponde una data somma di danaro; si fa in particolare riferimento alla cd. tabella di Milano, elaborata per iniziativa di quel Tribunale, che, secondo quanto affermato dalla argomentata decisione Cass. sez. III 7 giugno 2011 n°12408, costituisce comunque criterio valido su scala nazionale, in quanto esplicazione dell'equità di cui all'art. 2056 c.c. Applicando i suddetti criteri al caso concreto, bisogna farsi carico della divergente conclusione, come si è detto l'unica di rilievo, raggiunta sul punto dagli esperti nominati. Il dott. C, facendo riferimento alla citata tabella di Milano, ha infatti determinato l'invalidità dipendente dal disturbo cognitivo di cui si è detto nel 40%, come danno derivante dalla sola caduta. Il dott. S. invece determina la stessa invalidità in un valore inferiore, del 30%, a titolo di invalidità permanente, cui aggiunge l'invalidità temporanea Il Collegio ritiene di far propria tale ultima valutazione, per i motivi di cui subito. In primo luogo, il dott. S., che come si è detto è in possesso di specifica preparazione medico legale, non riscontrabile nel primo perito, si è riferito a prontuari di riferimento ben precisi, puntualmente citati, riguardo ai quali stavolta l'amministrazione intimata non ha ritenuto di avanzare critica alcuna. In secondo luogo, lo stesso CTU si è fatto specifico carico di individuare il metodo migliore per calcolare il danno, escludendo che si possa nella specie applicare il criterio del c.d. danno differenziale, che avrebbe determinato una liquidazione maggiore. In proposito, è sufficiente ricordare che tale criterio, tuttora di per sé controverso e non universalmente accettato in letteratura, si applica sul presupposto di più lesioni succedutesi nel tempo a carico del "medesimo distretto organo funzionale", mentre nel caso presente sono interessate "due funzioni neurologiche distinte", ovvero "l'area motoria", colpita dalla sclerosi, e quella "cognitiva", interessata dal trauma (elaborato dott. So., pp. 31 e 32). Infine, il dott. S. ha operato una delimitazione più precisa del danno subito, escludendo che ne possa far parte la sindrome depressiva riscontrata nel ricorrente dopo il trauma, sindrome che da un lato è spiegabile come reazione alla grave malattia già in atto, dall'altro non è stata oggetto di specifici approfondimenti. Tutto ciò posto, la citata tabella di Milano, per una invalidità del 30% in un soggetto il quale alla data dell'infortunio aveva 27 anni conducono a liquidare un danno pari ad Euro 150.590 (centocinquantamilacinquecentonovanta/00), che il Collegio ritiene di riconoscere senza incrementi per le c.d. personalizzazioni, ovvero per specifici e ulteriori pregiudizi sofferti dall'interessato; alla somma liquidata andranno infine aggiunti gli interessi legali. Fonte: (www.StudioCataldi.it) G.L. DIFFAMAZIONE - MILITARE DELLA GUARDIA DI FINANZA ASSOLTO - DIRITTO DI CRITICA E VERIDICITÀ' DEI FATTI RIPORTATIUna interessante Sentenza della Corte di cassazione riportata dall' Avv. Francesco Pandolfi, sul sito www.studiocataldi.it
Cassazionista diffamazione militare aggravata, diritto di critica. Una bellissima sentenza della Corte di Cassazione sezione 1 penale ( la n. 36045 del 20.08.2014 ), ove il militare viene ritenuto non colpevole perché trattasi di fatto non punibile ai sensi dell'articolo 51 c.p. in relazione alla diffamazione nei confronti dello (OMISSIS) e perche' il fatto non costituisce reato in relazione alla diffamazione nei confronti del (OMISSIS). In fatto, la Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della Corte militare di appello in data 14 marzo 2012, con cui era stata confermata la condanna, condizionalmente sospesa, di (OMISSIS) -militare in servizio presso il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di xxx -per il reato di diffamazione militare aggravata, ridotta la pena a quattro mesi di reclusione militare e confermata la decisione del primo giudice quanto alle restanti conseguenze di legge nonche' alla condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, (OMISSIS), Comandante all'epoca dei fatti di quel Nucleo. Al (OMISSIS) era stato contestato, in riferimento all'articolo 47 c.p.m.p., comma 1, n. 2 e articolo 227 c.p.m.p., commi 1, 2 e 3, di avere pubblicato in data (OMISSIS), mediante uno pseudonimo, sul forum del sito Internet (OMISSIS) un messaggio contenente giudizi ed affermazioni non veritieri offensivi della reputazione della Guardia di Finanza, del Comandante Provinciale di (OMISSIS) Col. (OMISSIS), del Comandante del Nucleo di Polizia Tributaria di (OMISSIS) Magg. (OMISSIS) e segnatamente affermando "il Nucleo di P. T. di (OMISSIS) e' ormai giunto al collasso: gli ufficiali che lo dirigono, su input del Comandante Provinciale ... Esercitano con continuita' e sistematicita' un'azione vessatoria nei confronti del personale ... parlo dell'atteggiamento violento e persecutorio attuato da parte di questi ufficiali della (OMISSIS)". La Corte di merito, nel precedente giudizio d'appello aveva ritenuto non indispensabile la rinnovazione dibattimentale chiesta dall'appellante con riguardo al tema della veridicita' dei fatti narrati nel post, assumendo che non era stata contestata l'aggravante dell'attribuzione di fatti determinati e che le espressioni utilizzate non potevano comunque ritenersi compatibili con il diritto di critica, giacche' il post non faceva riferimento solo ad un atteggiamento prevaricatorio degli ufficiali, bensi' a concetti piu' gravi (vessazione, violenza e persecuzione), addirittura aggiungendo un paragone con la (OMISSIS), sicche' era in ogni caso ampiamente superato il limite della continenza. I motivi di ricorso articolati al proposito venivano ritenuti fondati dalla Cassazione, che osservava: I giudici di merito hanno del tutto svalorizzato il dato della non veridicita' dei fatti narrati, benche' il richiamo ad essa fosse presente nell'imputazione, che faceva riferimento a "giudizi ed affermazioni non veritieri offensivi della reputazione..."; la Corte risolve sbrigativamente la questione, rilevando che non era stata contestata all'imputato l'aggravante dell'attribuzione di fatti determinati. La questione della veridicita' dei fatti narrati deve essere diversamente valutata: per quanto compreso, il messaggio completo conteneva l'indicazione di fatti specifici, cosicche' - benche' (evidentemente per un errore materiale) l'intero contenuto del messaggio non sia stato inserito nell'imputazione - la valutazione delle espressioni menzionate nel capo di imputazione non puo' prescindere dal resto del messaggio; in altre parole, se, ad esempio, il messaggio conteneva l'indicazione specifica di episodi di vessazione, risulta illogica una valutazione astratta come quella operata dalla Corte, secondo cui l'uso della parola "vessazione" e' diffamatoria in ogni caso. Questo vale anche per il riferimento alla "(OMISSIS)": espressione certamente forte, ma che potrebbe assumere una diversa valenza nel caso fossero provate condotte come quelle menzionate nella missiva del brigadiere (OMISSIS), che riferisce di impiego indebito di un militare disabile da parte degli ufficiali (OMISSIS) e (OMISSIS). La rilevanza della questione riguarda sia la valutazione del rispetto del criterio di continenza, dovendosi riconoscere anche ai militari della Guardia di Finanza il diritto costituzionale di critica che, peraltro, deve essere esercitato secondo i limiti generali elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, sia - nel caso il giudice ritenesse non rispettato il limite della continenza - la valutazione complessiva della responsabilita' dell'imputato e, quindi, della determinazione della pena: ad esempio, potrebbe non risultare piu' aderente al fatto e alla personalita' dell'imputato la valutazione sull'intensita' del dolo operata dalla Corte per negare la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti ritenute. La sentenza impugnata veniva dunque annullata con riferimento alla mancata riapertura dell'istruzione dibattimentale, limitatamente alla questione della veridicita' dei fatti narrati nel messaggio, nonche' alla valutazione della natura diffamatoria del messaggio. La Corte di appello militare, quale giudice del rinvio, disponeva la riapertura dell'istruzione dibattimentale; acquisiva in originale la lettera a firma di (OMISSIS) e i documenti prodotti dall'imputato, concernenti la documentazione medica e la determinazione del comandante generale della Guardia di Finanza relativa alla parziale inidoneita' del militare(OMISSIS) nonche' gli ordini servizio allo stesso relativi; procedeva all'audizione dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS). All'esito, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolveva l'imputato dal reato contestato limitatamente alle frasi esercitano con continuita' e sistematicita' un'azione vessatoria, atteggiamento violento e persecutorio, per l'ingrato compito di (OMISSIS), riferite al maggiore (OMISSIS), con la formula "perche' il fatto non costituisce reato"; riconosceva all'imputato le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti; confermava per il resto la sentenza di condanna del Tribunale ma diminuiva la pena a mesi due di reclusione militare e riduceva il risarcimento del danno liquidato in favore della parte civile (OMISSIS) alla misura complessiva di euro 500. A ragione, premesso che la diffamazione contestata si componeva in realta' di due condotte in concorso formale, l'una ai danni dello (OMISSIS), l'altra del (OMISSIS), rilevava che solo per la prima poteva ritenersi dimostrata la veridicita' dei fatti riportati. Da quanto accertato emergeva difatti che effettivamente erano stati effettuati dallo (OMISSIS) i fatti riferiti nel post, di cui avevano dato conferma i testimoni, consistenti: nei continui e ripetuti controlli a sorpresa; nell'utilizzo a tal fine di personale distolto dai compiti di servizio; nelle ispezioni personalmente effettuate per verificare che nessuno consumasse un qualche alimento durante il servizio (anche annusando l'aria e controllando i cestini getta carte); nel frazionamento dei servizi esterni per impedire la fruizione di buoni pasti; infine (ma soprattutto) nella destinazione e nell'impiego del militare (OMISSIS) a servizi esterni dai quali era esonerato per grave invalidita' e che risultavano incompatibili con le sue condizioni di salute. Tali condotte potevano fondatamente qualificarsi ingiustificate e vessatorie, in quanto oppressive, moleste e finanche persecutorie, oltre che violente (almeno dal punto di vista morale) e lesive della dignita' morale del sottoposto con riferimento all'impiego del (OMISSIS) in servizi non consoni alla sua condizione di invalido per ragioni di servizio. Adeguata alla ricostruzione dei controlli demandati dallo (OMISSIS) ai sottoufficiali, poteva ritenersi inoltre la frase che richiamava l'ingrato compito di (OMISSIS). Non altrettanto, ad avviso della Corte di merito, poteva dirsi per le frasi (OMISSIS), stato di terrore e angherie, usate nel messaggio, che trascendevano la realta' e la continenza e si risolvevano in (pura) denigrazione della persona. Con riferimento al (OMISSIS), invece, non poteva per nessun aspetto parlarsi di esercizio del diritto di critica, giacche' non risultava affatto provato che le condotte trasbordanti le esigenze di disciplina e di servizio fossero state da lui poste in essere. I militari (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano riferito che dei comportamenti dello (OMISSIS) era stato messo a conoscenza anche il comandante provinciale (OMISSIS), ma questo non significava che lo stesso avesse posto in essere quel tipo di condotte o che le avesse anche solo in parte giustificate. E non v'era prova che (OMISSIS) non avesse in qualche modo cercato di ostacolare l'atteggiamento dello (OMISSIS) (sul punto non erano state rivolte domande al (OMISSIS) e quelle poste allo (OMISSIS) non erano state ammesse). Ha proposto ricorso il (OMISSIS), personalmente, chiedendo l'annullamento della sentenza di condanna. Con il primo motivo denunzia violazione della legge processuale mancanza, contraddittorieta' - anche esterna, rispetto agli atti acquisiti - e manifesta illogicita' della motivazione con riferimento alla esclusione della verita' dei fatti e all'esercizio del diritto di critica in relazione alle accuse mosse al comandante (OMISSIS). Tutti testi (non i soli (OMISSIS) e (OMISSIS) come aveva riconosciuto la stessa sentenza impugnata, ma anche, espressamente, (OMISSIS) e (OMISSIS), come emergeva dai verbali allegati) avevano concordemente riferito che l'appuntato (OMISSIS) veniva adibito a servizi esterni sia dallo (OMISSIS) sia dal (OMISSIS), e dagli stessi ordini di servizio prodotti, citati a pag. 22 della sentenza impugnata (e allegati al ricorso), emergeva il coinvolgimento del (OMISSIS), che aveva personalmente sottoscritto la maggior parte di detti ordini di servizio. Era dunque patentemente illogico ritenere non dimostrato che il medesimo comportamento definito violento e persecutorio, era stato posto in essere anche dal (OMISSIS). Con il secondo motivo denunzia violazione di legge sostanziale e processuale onche' mancanza e vizi della motivazione, con riferimento alla ritenuta valenza diffamatoria delle espressioni (OMISSIS), stato di terrore, spirale di angherie. La stessa Cassazione, nella sentenza di annullamento, aveva evidenziato che la prima espressione poteva assumere valenza non diffamatoria ove fossero risultati veri gli episodi denunciati. L'esclusione della scriminante del diritto di critica con riferimento a dette espressioni cozzava d'altro canto con il riconoscimento che i comportamenti posti in essere dal comandante erano violenti, vessatori e persecutori, dunque anche contrari alla legge, specie ove riferiti a quanto concerneva l'atteggiamento adottato nei confronti del (OMISSIS). Ingiustificatamente s'era omesso di considerare quindi: da un lato che vessazioni e angherie sono, nell'uso corrente, sinonimi; dall'altro che la stessa sentenza riconosceva che tutti i militari pativano con ansia i controlli ricordati, esisteva un generalizzato malcontento, erano stati manifestati sdegno e paura. Ciò premesso, osserva il Collegio che il ricorso appare, nei termini che verranno precisati, fondato. Va brevemente ricordato che lo scritto pubblicato tramite internet dall'imputato era composto da una parte in cui si riferivano determinati comportamenti dei comandanti, territoriale e provinciale, del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Lecce, da altra in cui si commentavano e definivano in termini aspramente negativi e decisamente, dal punto di vista oggettivo, offensivi, tali comportamenti. I giudici del merito, nelle precedenti fasi, avevano ritenuto che l'obiettiva gravita' e la pesantezza di tali definizioni e commenti, ritenuti di per se' eccedenti la continenza, rendevano superfluo l'accertamento sulla verita' dei fatti cui dette critiche si riferivano. La sentenza di annullamento con rinvio, facendo applicazione dei consolidati principi in tema di diritto alla libera manifestazione del pensiero, in genere, e di diritto di denunzia e di critica in particolare, ha imposto ai giudici del merito di verificare la verita' dei fatti narrati, cosi' spazzando via ogni dubbio sulla astratta possibilita' di ritenere scriminabili le critiche, anche esasperate, formulate nel post alla luce degli eventuali esiti di tale accertamento. Disposta l'audizione dei testimoni richiesti dalla difesa dell'imputato, e acquisiti i documenti che questo aveva chiesto di produrre, la Corte di appello ha ritenuto che quanto alle condotte poste materialmente in essere dallo (OMISSIS), lo scritto dell'imputato dicesse, dal punto di vista obiettivo, la verita'. In particolare ha rilevato che lo stesso era l'autore di particolari modalita' esplicative del proprio comando ... non ortodosse ne' ... giustificate da reali ragioni oggettive; che pretendeva fossero effettuati controlli del personale in servizio anche piu' volte al giorno, in modo seriale e ripetitivo, giungendo persino alla verifica, con una sorta di schedatura, delle momentanee assenze per l'uso dei servizi igienici e del consumo di cibo da asporto; che ad assumere l'ingrata veste di controllori erano costretti gli stessi militari in forza al nucleo; che il personale viveva in modo ansiogeno tali metodi esasperati di presunta disciplina; che il malcontento era generale; che l'appuntato (OMISSIS), affetto da grave invalidita' e formalmente esonerato dai servizi esterni, era stato effettivamente comandato e impiegato in servizi esterni gravosi, durati sino a nove ore consecutive, senza alcuna necessita' legata a carenze di organico; che tutti i militari sentiti avevano riferito con sdegno gli episodi relativi al collega. In altri termini, secondo la sentenza impugnata: era risultato sicuramente vero che il maggiore (OMISSIS) stesse esercitando con continuita' e sistematicita' una azione vessatoria nei confronti del personale, effettuando sullo stesso un controllo in modo stabile e ininterrotto attraverso condotte oppressive, moleste, finanche persecutorie. E l'utilizzazione a turno di colleghi per i controlli giornalieri era evidentemente indicativo della volonta' di creare dissapori. Del pari, secondo la Corte di appello, corrispondeva al vero che lo (OMISSIS) tenesse comportamenti violenti e persecutori, essendo senza dubbio da qualificare comportamento violento e persecutorio (quantomeno dal punto di vista morale) il fatto di adibire a turni esterni di servizio, anche notturni e prolungati ... un militare affetto da grave invalidita' riconosciuta come dipendente da causa di servizio ... che lo costringeva ad utilizzare i servizi igienici con frequenza di gran lunga superiore alla normalita'; sicche' quella posta in essere era senza dubbio condotta violenta ... lesiva della dignita' morale del lavoratore e persecutoria, perche' realizzata non una sola volta ma in ben diciassette episodi, tutti ingiustificati perche' il militare ... poteva essere sostituito. Su questa base, con riferimento alla diffamazione del maggiore (OMISSIS), la sentenza impugnata ha ritenuto giustificate alcune delle espressioni usate (esercitano con continuita' e sistematicita' un'azione vessatoria, atteggiamento violento e persecutorio, per l'ingrato compito di (OMISSIS)), assolvendo per esse l'imputato, ma non altre, quali (OMISSIS), stato di terrore, angherie, ritenendole eccedenti la continenza e attacchi non consentiti alla persona. Cosi' facendo e' tuttavia incorsa in un duplice errore. In primo luogo ha male interpretato la giurisprudenza di questa Corte che, richiamandosi alla giurisprudenza costituzionale ed europea, considera in ogni caso non consentito dal diritto di critica reso legittimo dalla funzione pubblica esercitata dal soggetto criticato e dall'interesse pubblico della notizia, l'attacco "alla persona": da intendersi pero' quale offesa rivolta, senza ragione, alla sfera privata, non coinvolta dall'ambito di pubblica rilevanza della notizia, mediante l'utilizzo di non pertinenti argumenta ad hominem (tra moltissime: Sez. 5, n. 3477 del 8/02/2000, Rv. 215577; Sez. 5 n. 38448 del 26/10/2001, Rv. 219998; Sez. 5, sent. n. 10135 del 12/03/2002, Rv. 221684; Sez. 5, n. 13264 del 2005; Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239). Nel caso in esame, invece, nessuno degli epiteti o delle frasi ritenute offensive si rivolge alle persone offese in quanto uomini, e cioe' al loro privato, tutte concernendo la funzione svolta e il criticato loro modo d'intendere la disciplina militare e la potesta' di comando (in senso analogo, v. Sez. 5, n. 29433 del 16/05/2007, Mancuso, Rv. 236839). In secondo luogo ha sostanzialmente ridotto la facolta' di critica alla esposizione dei fatti e alla loro puntuale, esatta illustrazione e definizione. A differenza della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si concretizza nella manifestazione di un'opinione (di un giudizio valutativo). E' vero che essa presuppone in ogni caso un fatto che e' assunto ad oggetto o a spunto del discorso critico, ma il giudizio valutativo, in quanto tale, e' diverso dal fatto da cui trae spunto e a differenza di questo non puo' pretendersi che sia "obiettivo" e neppure, in linea astratta, "vero" o "falso". La critica postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioe', normalmente, un contenuto di veridicita' limitato alla oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse (Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del 14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 del 14/02/2000, Rv. 216534), ma non puo' pretendersi che si esaurisca in essi. In altri termini, come rimarca la giurisprudenza CEDU la liberta' di esprimere giudizi critici, cioe' "giudizi di valore", trova il solo, ma invalicabile, limite nella esistenza di un "sufficiente riscontro fattuale" (Corte EdU, sent. del 27.10.2005 caso Wirtshafts-Trend Zeitschriften-Verlags Gmbh c. Austria rie. n 58547/00, nonche' sent. del 29.11.2005, caso Rodrigues c. Portogallo, ric. n 75088/01), ma al fine di valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata, e' sempre necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perche', se la materialita' dei fatti puo' essere provata, l'esattezza dei secondi non sempre si presta ad essere dimostrata (Corte EdU, sent. del 1.7.1997 caso Oberschlick c/Austria par. 33). Nella zona tra cio' che e' sicuramente "fatto", la sua rappresentazione connotata da aspetti valutativi, la valutazione, infine, spiccatamente critica, si colloca quindi della continenza, che concerne un aspetto sostanziale e un profilo formale. La continenza sostanziale, o "materiale", attiene alla natura e alla latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione all'interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di denunzia. La continenza sostanziale ha dunque riguardo alla quantita' e alla selezione dell'informazione in funzione del tipo di resoconto e dell'utilita'/bisogno sociale ad esso. L'aspetto non viene pero' in considerazione nel caso in esame, in cui neppure i giudici del merito hanno mai dubitato, e non puo' in astratto dubitarsi, che esisteva non solo un diritto, ma addirittura un dovere militare, e civico, alla denunzia di comportamenti contrari ad una amministrazione della disciplina militare in senso compatibile con l'assetto democratico dell'apparato statuale e con i principi costituzionali che regolano l'ordinamento delle Forze armate (articolo 53 Cost). La continenza formale attiene invece al modo con cui il racconto sul fatto e' reso o il giudizio critico esternato, e cioe' alla qualita' della manifestazione. E per lo piu' riguarda, come nel caso in esame, proprio il giudizio critico, poco spazi di "originalita'" descrittiva consentendo di regola i fatti. Essa postula dunque una forma espositiva proporzionata, "corretta" in quanto non ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da esprimere. Questo comporta che le modalita' espressive non devono essere gratuitamente offensive, o, come detto prima, mere contumelie. Tuttavia coloriture e iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o persino gergale, non possono considerarsi di per se' punibili quando siano proporzionati e funzionali all'opinione o alla protesta da esprimere. La diversita' dei contesti nei quali si svolge la critica, cosi' come la differente responsabilita' e funzione, specie se pubblica, dei soggetti ai quali la critica e' rivolta, possono quindi giustificare attacchi di grande violenza se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi (Sez. 5, n. 45163 del 2/10/2001, Rv. 221013; Sez. 5, n. 22031 del 24/04/2003, Rv. 224674; Sez. 5, n. 19334 del 5.3.2004, Rv. 227754). Sono, in definitiva, gli interessi in gioco che segnano la "misura" delle espressioni consentite. D'altronde, come ricorda la giurisprudenza CEDU, il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni non concerne unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, alla cui manifestazione nessuno mai s'opporrebbe, ma e' al contrario principalmente rivolta a garantire la liberta' proprio delle opinioni che urtano, scuotono o inquietano. E cio' tanto piu' ove dette opinioni veementi siano rivolte a soggetti che detengono o rappresentano un potere pubblico. Nel caso in esame, pertanto, termini ed espressione quali "angherie", "(OMISSIS)", "stato di terrore", usati in senso non storico - letterale ma come figurato, evocative di gestioni esasperate e odiosamente antidemocratiche del potere poliziesco, costituiscono certamente esagerazioni, volte a scuotere, urtare e inquietare i destinatari. Ma, accompagnate come sono dall'illustrazione di adeguata base fattuale che consente di intenderle nel loro giusto valore di espediente retorico, non possono considerarsi estranee al diritto di critica. Per tali ragioni, con riferimento a tutti gli aspetti della diffamazione contestata ai danni del maggiore (OMISSIS), la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perche' l'imputato ha agito nell'ambito del diritto di denunzia e del diritto di critica ed e' percio' scriminato ai sensi dell'articolo 51 c.p. e dall’art. 21 Cost. Per quanto concerne la diffamazione ai danni del comandante (OMISSIS), la Corte di appello si e' risolta invece a confermare la condanna del ricorrente sul rilievo che non risultava provato che le condotte trasbordanti le esigenze di disciplina e di servizio fossero state anche da lui (materialmente) poste in essere e che, seppure i militari ascoltati (in parte motiva si fa riferimento ai testi (OMISSIS) e (OMISSIS), ma nella parte in fatto si da atto che gli altri militari avevano reso dichiarazioni in tutto coincidenti) avevano riferito che dei comportamenti dello (OMISSIS) era stato messo a conoscenza anche il comandante provinciale (OMISSIS), cio' non bastava a dimostrare che quel tipo di condotte fossero riferibili anche al (OMISSIS) o che il (OMISSIS) le avesse, anche solo in parte, giustificate. Cosi' argomentando, tuttavia, effettivamente la sentenza impugnata omette di fare riferimento alcuno agli ordini di servizio che, pure, riferisce versati in atti e che, relativi all'assegnazione del (OMISSIS) a servizi esterni e firmati da (OMISSIS), sono allegati in copia al ricorso, ma che questa Corte non puo' direttamente apprezzare quantomeno perche' la mera controfirma ad opera del comandante del nucleo provinciale andrebbe valutata assieme agli altri elementi acquisiti per trarne la sua sicura consapevolezza in ordine alla situazione personale del comandato e all'illegittimita', percio', dell'ordine direttamente impartito. Dalla motivazione della sentenza impugnata emerge pero', in relazione alla posizione del (OMISSIS) e ai fini della valutazione della diffamazione nei suoi confronti, altra piu' decisiva omissione. La Corte di appello, difatti, ha escluso che in sede giudiziale fosse stata raggiunta la certezza della verita' dei fatti addebitati nello scritto dell'imputato al (OMISSIS), ricordando persino che alcune domande rivolte a tal fine al teste non erano state ammesse in primo grado. Ma non si e' in alcun modo posta il problema della configurabilita' putativa, alla luce di quanto emerso, dell'esimente. Dalla mancanza di certezza in ordine alla falsita' (non verita') della notizia (anche ove dovesse risolversi nel mero dubbio del giudicante), va tenuto infatti distinto il problema della acquisita opposta certezza dell'agente: anche ove fosse appurato che la notizia non puo' ritenersi vera (e' falsa), se risulta pero' che l'agente l'ha diffusa nella ragionevole e giustificabile convinzione che lo fosse, il fatto (anche a stare alla radicata elaborazione giurisprudenziale secondo cui, per quanto promani dal diritto alla liberta' di manifestazione del "proprio pensiero", e' connaturale al diritto di cronaca evocabile per il tramite dell'articolo 51 c.p. la necessita' di "obiettiva" verita' della notizia) non e' punibile, perche' nulla consente di escludere che la regola dettata dall'articolo 59 c.p., comma 4 trovi interamente applicazione con riferimento all'esercizio del diritto in esame (tra molte, Sez. 5, n. 15643 del 11/03/2005, Scalfari, Rv. 232134). Nel caso in esame non puo' dunque non riconoscersi immediata evidenza e rilevanza decisiva: da un lato, alla obiettiva esistenza di ordini di servizio a firma (OMISSIS) e alla circostanza che i testi hanno confermato che il (OMISSIS) era stato informato del comportamento del maggiore (OMISSIS), anche nei confronti del (OMISSIS); dall'altro, al fatto che il (OMISSIS) era sovraordinato allo (OMISSIS) e che la regola che non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico, e la possibilita' concreta, di impedire equivale a cagionarlo, vale a maggior ragione per i preposti a funzioni di comando e garanzia. Deve in conclusione convenirsi che il (OMISSIS), come ogni agente di polizia giudiziaria e ogni militare aduso a tale regola, ha attribuito al comandante provinciale una corresponsabilita' della quale, perlomeno putativamente, era ragionevolmente e giustificabilmente convinto. Annulla quindi senza rinvio la sentenza impugnata perche' trattasi di fatto non punibile ai sensi dell'articolo 51 c.p. in relazione alla diffamazione nei confronti dello (OMISSIS) e perche' il fatto non costituisce reato in relazione alla diffamazione nei confronti del (OMISSIS). Avv. Francesco Pandolfi G.L. FINANZIERE USA IL LAMPEGGIANTE BLU SU UN AUTO pRIVATA QUANDO E' FUORI SERVIZIO.E’ basilare il principio del contraddittorio nei procedimenti disciplinari a carico degli appartenenti alle forze di polizia, come evidenzia la sentenza del T.A.R. Lazio, Sezione prima Ter, 13 ottobre 2011, n.7917, che prende in considerazione le cause di legittimo impedimento dell’appartenente alla forza di polizia nei confronti del quale veniva avviato il procedimento disciplinare. Anche nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1207 sez. IV del 2 marzo 2012, viene evidenziato che: A norma dell'art. 15, primo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 383, "nessuna sanzione disciplinare di corpo può essere inflitta senza contestazione degli addebiti e senza che siano state sentite e vagliate le giustificazioni addotte dal militare interessato. In quest’ ultima sentenza viene però ribadita la legittimità di un ordine impartito da un superiore gerarchico seppur non diretto superiore dell’inferiore in grado.
G.L. Al di fuori dei casi in cui si sia in servizio, l'appartenente alle forze dell'ordine non può usare, su un auto privata, un dispositivo lampeggiante, in quanto incorrerebbe nel reato di possesso di segni distintivi contraffatti. Lo stabilisce la corte di Cassazione con la sentenza n. 32964 del 24 luglio 2014. Nella fattispecie ha ritenuto un appartenente alla guardia di finanza, colpevole del reato di cui all'art. 497-ter c.p., per aver illecitamente detenuto sul tettuccio della propria autovettura un dispositivo lampeggiante di colore blu, uguale a quelli in uso alle forze dell'ordine, mentre si trovava in vacanza.
G.L. PROCEDIMENTO DISCIPLINARE
MILITARI E FORZE DI POLIZIA - BLOCCHI STIPENDIALI - IL COCER INTERVIENE.DOPPIO "BUONO PASTO" AI POLIZIOTTI PRIVI DI MENSAIl Cocer interviene nuovamente contro le decisioni del governo per il blocco stipendiale dei militari e degli appartenenti alle forze di Polizia. Il malumore degli insegnanti è presente e ridondante ma ancor più elettrico è il malessere che serpeggia fra i dipendenti con le stellette e non. E' indubbio che anche l'organo di rappresentanza “COCER” deve essere più incisivo e presente in frangenti come questi, visto che il malumore che si respira non nasce solo ed esclusivamente per questo motivo, ma ha origini più lontane nel tempo, a causa degli interventi, o non interventi, come meglio si vuol leggere, del nostro governo nei confronti dell'apparato militare e di Polizia. L'espressione della forza di un governo si legge dalla dialettica politica e dagli interventi politici e legislativi che ne susseguono, dalla possibilità di agevolare la crescita del lavoro, e dalle condizioni in cui versano le proprie forze dell'ordine. Un sistema che viaggia spesso affianco alla corruzione e lontano dalle reali esigenze dei cittadini, è un sistema che basa le sue fondamenta su basi poco solide e palesemente poco democratiche. Orbene, la situazione economica è sicuramente difficile, ma non si possono ignorare i più , per i pochi eletti.
G.L. finanziere punito per la sua capigliaturaRiportiamo un passo della sentenza allegata, ove vengono esplicitate le motivazioni che legittimano la punizione nei confronti di un militare della Guardia di Finanza che porta i capelli alla "skinhead"
E’ anzitutto caratteristica di tutte le sanzioni di “corpo” la ampia gamma delle infrazioni ad essa correlabili e la loro non corrispondenza a comportamenti dettagliatamente tipizzati dalle norme, ma che cionondimeno radicano la propria legittimità nel generale dovere di osservanza dei doveri previsti dal regolamento. Tale connotazione apre perciò un ampio spazio di valutazione riservato all’amministrazione militare, in particolare in merito ai concetti di decoro e dignità dell’aspetto e del comportamento esteriori. In tale campo, il TAR è certamente entrato affermando che “un tipico e non inusuale “taglio di capelli”, non appare, all’evidenza, in contrasto con il decoro della persona e dell’Amministrazione militare di appartenenza …”. Né tale valutazione trova maggior forza giuridica nel fatto, invero difficile da smentire, per cui la contestata acconciatura risulta oggi tutt’altro che inusuale, ma al contrario un comportamento alquanto diffuso. Tale diffusione, infatti, lungi dal costituire un parametro in favore della decorosità, si riscontra nella società posta all’esterno della comunità “forze armate” e che del tutto liberamente tende ad esprimersi attraverso mode individuali di qualsiasi forma, la cui valutazione in termini di decoro entra peraltro in un campo di assoluta opinabilità. Al contrario le forze armate sono regolate da un complesso di norme e principi (che gli appartenenti si obbligano ad osservare) i quali, in virtù di pubblici interessi ed in quanto rivolti a soggetti cui si chiede una disciplina “speciale”, possono trovare del tutto legittimamente un’applicazione in senso compressivo di alcuni profili di libertà comportamentale, seppur secondari, della persona, praticabili invece senza impedimenti dai soggetti che non vi fanno parte. Né infine potrebbe giovare all’appellato rilevare, come sembra far pensare il richiamo al corpo dei “marines” USA, che alcune fogge non sono incompatibili col decoro ma tipiche; in quei casi, infatti, l’aspetto esteriore non usuale per un militare trova fondamento o in compiti operativi particolari o in immagini caratterizzanti storicamente il corpo di appartenenza, risultando perciò tollerate se non autorizzate da prassi o disposizioni interne al medesimo. G.L.
DEMOCRAZIA NELLE FF.AA.I Cocer dell'Aeronautica e della Marina Militare, in due differenti note, denunciano la necessità di una maggiore democrazia all'interno delle FF.AA, e la possibilità di avvalersi di un organismo di garanzia e di controllo alla pari della Polizia di Stato e di altre forze armate Europee.
Il Dibattito, discusso anche nelle sedi Istituzionali, non da cenno a soluzioni plausibili ed essenziali per gli appartenenti alle FF.AA, i quali, hanno più volte palesato l' esigenza di un maggior egualitarismo per i cittadini con le stellette. La democrazia deve essere palesata , riscontrata e garantita anche in quelle istituzioni regolate da discipline ferree non sempre garantiste dei diritti dei propri appartenenti. Nella gerarchia militare si hanno spesso posizioni ambivalenti, che individuano nella medesima Autorità, chi dovrebbe essere garante dei diritti del subordinato con chi dovrebbe determinarne le sanzioni. Non si può applicare in ambito militare, senza una parte terza, una piena democrazia. Si vede pertanto la necessità di istituire un Organo svincolato dalle dipendenze gerarchiche, che abbia un diretto controllo sull'applicazione delle regole e financo sui rapporti interni fra le parti gerarchicamente istituite. G.L.
L' ACCERTAMENTO DELLA CAUSA DI SERVIZIO rientra fra le competenze di giudizio della CORTE DEI CONTILe Sezioni Unite della Cassazione, in una fattispecie analoga, avevano già
enunciato il principio di diritto ( dal quale la Corte del 2014 non si è
discostata ) secondo cui è devoluta alla giurisdizione della Corte dei conti
non soltanto la domanda di accertamento della causa di servizio, proposta
unitamente alla conseguente domanda di condanna dell'ente
al pagamento del trattamento pensionistico, ma anche la sola domanda di mero accertamento della causa di servizio, quale presupposto del trattamento pensionistico privilegiato, atteso il carattere esclusivo di tale giurisdizione affidata al criterio di collegamento costituito dalla "materia" ( sentenza n. 5467del 2009; cfr. anche, ex plurimis, le sentenze nn. 152 del1999 e 12722 del 2005 ). G.L.
CAUSE DI SERVIZIO E VITTIME DEL DOVEREIl Consiglio di Stato identifica le differenze sostanziali fra le cause di servizio e le vittime del dovere.
Ora, secondo quanto disposto dall’art. 1 della l. 23 dicembre 2005 n. 266, al comma 563: “per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subìto un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: … b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico”; per il comma 564: “Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”. Il successivo D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, recante il “Regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell’articolo 1, comma 565, della L. 23 dicembre 2005, n. 266”, specifica che “si intendono: … c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto” (art. 1) G.L.
IL FESTIVO INFRASETTIMANALE DEVE ESSERE RECUPERATO O REMUNERATO COME LAVORO STRAORDINARIO.Si pensava che il recupero del riposo festivo infrasettimanale fosse argomento esaurito, ritenendo ormai palesato il diritto del lavoratore, seppur turnista, di recuperare il risposo festivo infrasettimanale od eventualmente fruirne il pagamento sotto forma di straordinario. Eppure, ancora oggi, qualche amministrazione ritiene che ciò non sia compatibile con l'indennità percepita dal turnista.
La corte d'appello di Milano, con sentenza n. 1102/2013 , pubblicata il 20/01/2014 RG 2357/2010, ha ribadito il concetto di seguito riportato: Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 907/2007) hanno ritenuto corretto il percorso motivazionale della corte di merito secondo cui “una cosa è compensare il maggior disagio per il lavoro prestato in turni, altra la mancata fruizione del riposo compensativo, atteso che la diversità delle funzioni svolte, rispettivamente, dagli istituti ex artt. 13 e 17 citt., conferma l'infondatezza del motivo di ricorso, con cui il Comune ricorrente erroneamente sostiene che l'applicazione seconda, in forza di un c.d. Principio di specialità che è, invece, inesistente riguardo alle due disposizioni in quanto le stesse sono riferite a istituti con funzioni diverse”. Concludendo, poiché, anche se prestato secondo una turnazione, il lavoro reso nella giornata festiva infrasettimanale costituisce lavoro straordinario, esso deve essere disciplinato dall'art. 24 coma 2 cit., non interferendo con questo trattamento l'indennità per il lavoro prestato in turni di cui all'art. 22 CCNL in considerazione della diversità delle funzioni svolte. G.L.
DOMANDE DI EQUO INDENNIZZO E RICONOSCIMENTO DI CAUSA DI SERVIZIO.Il DPR n. 461/01 è il regolamento che introduce le semplificazioni nei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell'equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie.
La norma specificata prevede, in caso di lesioni e\o infermità derivanti dall'attività lavorativa, due distinti procedimenti e domande: la prima diretta a “fare accertare l'eventuale dipendenza da causa di servizio” delle lesioni o infermità (art. 4 Co1); la seconda diretta ad ottenere l'equo indennizzo, e dunque una precisa prestazione economica (art. 4 Co 6). Pur essendo previsto per entrambe le domande un termine di sei mesi, trattasi di domande e procedimenti autonomi, il primo necessariamente precedente e prodromico al secondo ( Cass. 28.5.13, n. 13222). La domanda deve essere presentata entro sei mesi dalla data in si ha avuto conoscenza dell'infermità o della lesione o dell'aggravamento. Solo quando la conoscenza dell'infermità o delle lesioni non siano immediatamente percepibili al momento dell'evento dannoso, il termine decorre dalla loro conoscenza, mentre laddove esse lo siano, il termine decorre senz'altro dall'evento dannoso. G.L.
TRASFERIMENTO PER ASSISTENZA DISABILEDeve essere affermato il
principio di cui alla L: 5 febbraio 1992, n.104, art.33 Co. 5, sul
diritto del genitore o familiare lavoratore “che assista con
continuità un parente o un affine entro il terzo grado Handicappato”
di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al
proprio domicilio. Tale principio è applicabile non solo
all'inizio del rapporto di lavoro mediante la scelta della sede ove
viene svolta l'attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto
mediante domanda di trasferimento.
G.L.
FINANZIERI - A CHI LAVORA IL GIORNO FESTIVO SPETTA IL RECUPERO E LE VARIE INDENNITÀ.AL FINANZIERE CHE LAVORA NEL GIORNO FESTIVO, SPETTANO INDENNITÀ COMPENSATIVA, RECUPERO SETTIMANALE E STRAORDINARIO PER INTERO.
Il Ministero dell’ Economia e delle finanze – Comando generale della Guardia di Finanza, che ha impugnato la sentenza 4 novembre 2009 n.3111, con la quale il TAR per la Liguria, sez. II, ha accolto il ricorso proposto da taluni militari della Guarda di Finanza , è risultata parte soccombente. Il Consiglio di Stato, con sentenza n.1174 del 2013, ha infatti affermato che ai finanzieri ricorrenti, che lavorano nel giorno festivo, spetta l'indennità compensativa, il recupero settimanale e lo straordinario per intero. G.L. NONNISMO - SQUILIBRIO MENTALE - CAUSA DI SERVIZIO - RISARCIMENTOIl Nonnismo in caserma continua ad essere uno degli atteggiamenti difficili da affrontare e superare, a volte una prassi quasi inevitabile che delinea contorni e situazioni pressoché deprecabili. Taluni ritengono che questo tipo di bullismo mobbizzante possa essere considerato addirittura un beneficio per rinforzare i caratteri dei più deboli. Debbo ammettere che questo pensiero ricalca una visione distorta di quello che può essere l'esercizio fisico e psicologico attinente al ritempramento dello spirito e del carattere del militare.
In alcuni casi si è visto che il destinatario di siffatti comportamenti, ha riportato danni di tipo psicologico e financo l'indebolimento dell'equilibrio mentale. Su una specifica situazione la Corte di Appello di Messina ha ritenuto colpevoli i dipendenti dell'amministrazione militare sia per aver giudicato un ragazzo idoneo al servizio militare sia per non aver adottato le dovute cautele durante la naia per tutelare lo stesso dagli effetti deleteri degli episodi di nonnismo. Ha condannato nel 2008, il Ministero della Difesa al risarcimento dei danni per l'aggravamento delle patologie psichiche del giovane. Lo scorso 26 novembre la Suprema Corte con sentenza n. 4809/2013 ha confermato la decisione di secondo grado, con un'attribuzione di responsabilità (nei confronti del Ministero della Difesa). G.L. TRASFERIMENTI D'AUTORITA'Il Consiglio di Stato pone in evidenza il mutamento giurisprudenziale secondo cui, il trasferimento di unità di personale, sia destinato a soddisfare prioritariamente un interesse vitale dell'amministrazione della pubblica sicurezza e dell'ordinamento in generale, la dichiarazione di gradimento del personale, ai sensi del d.m. 29 dicembre 1992, altro non costituisce che una mera manifestazione di assenso o di disponibilità alla nuova destinazione (Cfr. sez. IV, 19/12/2008, n. 6405 e, da ultimo, sez. IV 07/02/2011 n. 814). Il mutamento è condivisibile nella misura in cui pone un discrimine chiaro nel genus dei trasferimenti (a domanda o d'autorità), sulla base delle esigenze che lo spostamento mira a soddisfare, in guisa che, solo ove vi sia una domanda del dipendente motivata da esigenze o aspirazioni personali possa dibattersi di trasferimento "a domanda". Coglie altresì l'essenza del beneficio riconosciuto, individuabile nella radice organizzativa ed istituzionale dello ius variandi esercitato, contribuendo opportunamente a depotenziare argomentazioni che fondano sull'assenso postumo (le cui ragioni rimangono puramente soggettive e personali) una presunzione iuris et de iure di spontanea e libera volontà, secondo un'inversione logico giuridica che arriva ad obliterare il diritto all'indennità. L'appello è dunque respinto. Avuto riguardo al mutamento del quadro giurisprudenziale, le spese possono essere compensate.
G.L.
SANZIONI DISCIPLINARI - PROPORZIONALITÀ'La proporzionalità delle sanzioni disciplinari. La sentenza del Consiglio di Stato n. 25/2011 mette in evidenza l'esigenza della proporzionalità nell’esercizio dell' azione disciplinare.
La giurisprudenza ha ritenuto sussistente il vizio di eccesso di potere quando il provvedimento disciplinare appare sproporzionato rispetto ai fatti accertati (Sez. IV, n. 6353/2009). Sia ai dipendenti pubblici come ai militari, un isolato comportamento illecito non può giustificare la misura disciplinare estintiva del rapporto di lavoro; a meno che i fatti commessi siano talmente gravi da evidenziare l'assenza delle doti morali, necessarie per la prosecuzione dell'attività lavorativa. Risulta violato il principio di proporzionalità quando la responsabilità per il reato commesso non può essere attribuita direttamente al dipendente civile o militare. Il ricorso al TAR del lazio viene esperito da un agente della Guardia di Finanza contro l'espulsione dal Corpo a causa di un procedimento penale, poi archiviato. Nella fattispecie si era proceduto penalmente nei confronti del ricorrente e della consorte per un furto commesso da quest'ultima in un In prima istanza il ricorso contro il provvedimento viene respinto dal giudice, mentre il Consiglio di Stato ribalta la decisione evocando il principio di proporzionalità. Il Consiglio di Stato non ha infatti condiviso la tesi dell'Amministrazione che ha posto in evidenza, nella fattispecie, un indice di carenza di qualità morali e di carattere e comunque lesivo del prestigio del Corpo – ritenendo, evidentemente, che un isolato comportamento illecito non faccia venir meno gli obblighi assunti con il giuramento. G.L.
SANZIONI DISCIPLINARI - e' NECESSARIO IL CONTRADDITORIO
Il tar del Lazio, con sentenza n. 1431/2013, interviene sulla controversia sorta fra alcuni poliziotti ed il Ministero della Giustizia, riguardante la spettanza del doppio buono pasto qualora manchi la mensa e ci si trovi innanzi ad una situazione di prorogato servizio. Nella fattispecie, la permanenza in servizio prorogata di ulteriori 3 ore, oltre il turno giornaliero di 9, spetta, in assenza della mensa, un ulteriore buono pasto, non superiore a n. 25 mensili, oltre all'indennità di disagio pari ad Euro 15,00 (2010) nei limiti degli stanziamenti di bilancio.
G.L. militari - vfp1 - cause di servizioLe Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3040/2013, condannano il Ministero della Difesa ad indennizzare un militare in servizio volontario di ferma prefissata di un anno per le malattie contratte durante il servizio, a seguito di una aggressione subita da parte di sconosciuti mentre si trovava in libera uscita in divisa. La stessa Corte ha evidenziato che la giurisdizione deve essere del giudice ordinario, atteso che non verte un rapporto di pubblico impiego subordinato a causa della mancanza del requisito volontaristico nello svolgimento delle prestazioni, caratterizzato dalla relazione funzionale tra soggetto obbligato e amministrazione, che implica la partecipazione del medesimo al conseguimento di fini pubblici.
G.L.
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